25 APRILE
DI BANDIERE
E SIA UNA FESTA DIVISIVA

Il 25 Aprile, sibila qualche anestesista delle coscienze, è “divisivo”. Lasciamola nel cassetto quella data, "sopire, troncare (…) troncare, sopire” come dice il Conte zio nei “Promessi Sposi”, perfetto funzionario dell’ipocrisia che diventa guasto morale. No, oggi è giorno di bandiere, come se fosse passato un anno e non settantotto, perché sappiamo sulla nostra pelle che chi in piena luce vuol sopire, quando cala lo scuro passerà a troncare. Piano, un pezzo alla volta, riscrivendo la Storia, omettendo di qua, evidenziando da un’altra parte, chiedendo non dovuta pietas ma venia per i “ragazzi di Salò”, elencando gli uccisi di mano comunista dopo la Liberazione come fossero state vendette o esecuzioni nate nel vuoto pneumatico e non dopo una sanguinosa guerra civile tra neri scarafaggi e disinfestatori, sadici torturatori e ventenni che restavano muti mai tradendo, infanticidi e futuri genitori di una Italia libera che avevano visto bruciate le Case del Popolo, i crani sfracellati dei sindacalisti, i fratelli e i mariti deportati in Germania per aver rifiutato di aderire alla repubblichina finta governata dal burattinaio nazista.

LEGGI ANCHE

IL CASO SCURATI
di VITTORIO RAGONE


IN MARCIA CONTRO LA RESISTENZA
di LAURA GNOCCHI


RAZIONALISMO NEL VENTENNIO
di ROBERTO ROSCANI


FASCISTISSIMUS
di FABRIZIO FUNTÒ



Oppure, gli stessi ipocriti, ascrivendo con opportunismo l’intero movimento a quinte colonne dello stalinismo. Le Brigate Garibaldi egemonizzavano in alcune aree, ma era vero sussulto di popolo, di sensibilità offese, prevaricate per un ventennio, azionisti, socialisti, monarchici, soldati sbandati dopo l’8 settembre. Voglia di lavarsi le impurità, di un’Italia migliore. Di speranza. I partigiani sentivano a nord, nell’inverno del ’44, il terribile silenzio di Appennini e montagne, nessun aereo inglese lanciava armi, aspettavano la primavera e in tanti non avrebbero visto spuntare una primula. Tanti, quarantacinquemila.



“Ma che ethos gavìo voialtri?” scrive nei “Piccoli maestri” il vicentino Luigi Meneghello, con la sua eleganza aristocratica e popolare, così, normalmente, quotidianamente. Che tavola di valori rispettavano, fino al sacrificio, i suoi compagni di lotta sulle Dolomiti e gli altri ragazzi e ragazze, i professori, operai, gente comune di pensato coraggio? Una risposta si trova a Bologna, in piazza Maggiore, nella scritta sopra il sacrario con le foto dei partigiani uccisi: “Caduti della Resistenza per la Libertà e la Giustizia, per l’Onore e l’Indipendenza della Patria”. Parole impegnative, qualcuna contaminabile da forme di nazionalismo ottuso e nostalgico, ci si augura perdente nell’Europa che vorremmo, l’altra Patria più grande.



Libertà dai nazifascisti, prima chiave per tutte le altre libertà conculcate dal Buce (cit. Carlo Emilio Gadda), arrogante negli anni del consenso, fantasima sgomenta dopo averci mandati al macello nei Balcani, in Africa, in Russia. Voleva sedersi, in virtù di qualche morto, a un posto d’onore nelle trattative di pace, ottenne per l’Italia disastro e vergogna, la fece mutilare di Briga e Tenda, di Trieste e più giù ancora, terre italianissime. Scatenando la vendetta delle foibe, maturata dopo l’occupazione fascista. Troppo a lungo la sinistra ha balbettato e molto ha pesato come un macigno sul destino di Trieste la doppiezza del Partito Comunista giuliano, ideologicamente infeudato all’internazionalismo di scuola sovietica, regalando così ai nostalgici eredi dei violenti prevaricatori degli slavi argomenti di polemica, giusto a loro, che erano la prima causa degli eccidi nelle foibe carsiche.


(Archivio storico Luce)


Onore ritrovato per l’Italia indipendente nel concerto degli Stati dopo il disonore massimo delle leggi razziali, apice di una corsa verso l’abisso. Giustizia poi, che senza libertà non esiste. Il 25 aprile è divisivo? Certo che lo è. Separa chi ha messo i mattoni della Costituzione, albero di buoni frutti piantato dalle forze democratiche resistenti e chi il nesso d’acciaio tra la lotta di Liberazione e la nostra legge fondamentale non lo riesce a digerire. Se ne facciano una ragione, non c’è l’una senza l’altra. Il 25 Aprile divide chi difende la legalità repubblicana e chi mastica ancora il fiele degli sconfitti dalla civiltà ritrovata. Ci sono stati anni in cui quasi si pensava a questa data come una tediosa, burocratica ricorrenza, un’occasione per insipidi cortei e riti fiacchi. Ma più sbiadivano nel sentire comune i moventi profondi delle celebrazioni, più si incrinavano i pilastri della Carta, spuntavano minacce: perché stanno insieme Liberazione e Costituzione, lo accettino una buona volta i reticenti che non vogliono dirsi antifascisti, i qualunquisti 2.0 che equiparano i fronti combattenti dal settembre ’43 alla primavera del ’45, annacquando la Storia in una deprecazione generica della violenza.



Non è mai una liturgia vuota celebrare il nostro rinascimento democratico. Ne siamo intrisi, è costato caro. È questione attualissima. Parliamo, discutiamo, ci riuniamo, scriviamo, scioperiamo, confrontiamo opinioni e pretendiamo giustizia anche contro multinazionali smisurate, possiamo farlo perché siamo stati liberati e subito dopo, in tempi eccezionalmente rapidi, ci siamo dati una bellissima legge fondamentale. Il discrimine non è confuso, c’è un prima e un dopo. E non ha tradito la Resistenza chi ha dovuto fare i conti con i rapporti di forza interni e internazionali dopo il ‘45, ha superato bufere elettorali, repressioni e lavorato concretamente giorno dopo giorno per rendere più decente il nostro Paese.



L’hanno tradita e la tradiscono gli evasori ladri di diritti, i ciechi e i sordi davanti alle nuove povertà, alle migrazioni, gli opportunisti che fanno affari coi criminali o vendono voti. Gli insegnanti che non si specchiano negli studenti, gli spacciatori di bugie. Chi fa solo marketing politico e non ricerca l’unità. La tecnica sembra sopravanzare la politica in nome di algoritmi, ma ci sono sempre una parte giusta e una sbagliata, scelte da compiere nel 25 Aprile che cade ogni giorno. Siamo disegnati dal passato e se la Storia è ancora in marcia ringraziamo padri e madri del Secondo Risorgimento che, pure nelle ore buie della paura, ci hanno sognati liberi.

Press ESC to close