MATTEOTTI
SCURATI
E LA CENSURA

Una piccola storia ignobile di servaggio a favore del governo, che si ammala di orticaria politica ogni volta che si tratta di celebrare l’antifascismo e la Liberazione? Oppure un caso di clamorosa insipienza comunicativa? La polemica intorno alla Rai ieri è risalita a temperature altissime. Casus belli, il delitto Matteotti e la data-simbolo del 25 aprile. La domanda nell'aria, a consuntivo dopo 24 ore di fendenti e accuse, rimane questa: l'azienda tv di Stato è consapevole strumento di un regime in costruzione, o è l’incapacità di chi la dirige a condannarla a un rapido declino? La padella e la brace.


IL MONOLOGO DI SCURATI


I fatti. La mattina del 20 aprile Serena Bortone, giornalista e conduttrice del programma ‘Chesarà’ su Rai3, racconta su Instagram: avevo invitato lo scrittore Antonio Scurati per un monologo sul 25 aprile, ma ho appreso “con sgomento e per puro caso” che il contratto “è stato annullato senza spiegazioni plausibili”. Il problema – scrive scusandosi con Scurati e il pubblico - è “che questa spiegazione non sono riuscita a ottenerla nemmeno io”. Seguono, come inevitabile e sacrosanto, la rabbia dell’opposizione e la rivolta social.

Paolo Corsini, direttore dell'Approfondimento Rai, non ci sta, contesta l’accusa di censura: esistono solo problemi “di natura tecnica e contrattuale”, garantisce. In Rai il vincitore del premio Strega 2019 non ci andrà perché secondo l’azienda 1800 euro di cachet sono una richiesta esosa. Purtroppo per la tv pubblica, c’è un documento interno in cui lo stop allo scrittore viene attribuito non alla somma, ma a generali “questioni editoriali”. Il sospetto resta, e pure la polemica. Proprio quello che serve all’azienda, abbandonata dai nomi di punta (Amadeus per ultimo) e già ampiamente in odore di colonizzazione da parte della affamatissima destra postfascista.


IL POST DELLA MELONI


A questo punto sale sul palco la Meloni dall'account Facebook, con il tono sprezzante che normalmente indossa quando si rivolge all’opposizione. Non sa nulla – Dio non voglia – della faccenda, non sa dove stiano la ragione e il torto. Però scrive: “In un’Italia piena di problemi anche oggi la sinistra sta montando un caso”, e rilancia la tesi corsiniana del cachet esorbitante: l’azienda - ricorda - sostiene “di essersi semplicemente rifiutata di pagare 1800 euro (lo stipendio mensile di molti dipendenti) per un minuto di monologo”.


LA REPLICA DI SCURATI


Il monologo lo pubblica la medesima Meloni su Facebook, con questa motivazione: “Chi è sempre stato ostracizzato e censurato dal servizio pubblico non chiederà mai la censura di nessuno. Neanche di chi pensa che si debba pagare la propria propaganda contro il governo con i soldi dei cittadini”. Riassumendo: Scurati non va in tv, ma si consolerà con un bel lancio sull’account social della presidente del Consiglio.

E veniamo al vituperato monologo, nel frattempo diffuso da Repubblica (e letto da Bortone in trasmissione). Che cosa dice? Scurati racconta il delitto Matteotti ricostruendo le responsabilità – storicamente accertate e accettate – di Mussolini (“le sue infamie”) e del regime fascista. Rievoca poi le stragi italiane, da Sant’Anna di Stazzema a Marzabotto, per constatare che “il fascismo è stato lungo tutta la sua esistenza storica - non soltanto alla fine o occasionalmente - un irredimibile fenomeno di sistematica violenza politica omicida e stragista. Lo riconosceranno – si chiede retoricamente Scurati - una buona volta, gli eredi di quella storia”? “Tutto purtroppo - si risponde - lascia pensare che non sarà così”.


SERENA BORTONE LEGGE IL MONOLOGO DI SCURATI


“Il gruppo dirigente post-fascista – accusa infatti - vinte le elezioni nell'ottobre del 2022 aveva davanti a sé due strade: ripudiare il suo passato neo-fascista oppure cercare di riscrivere la storia. Ha indubbiamente imboccato la seconda via”. Alla fine Giorgia Meloni viene chiamata direttamente in causa: “Mentre vi parlo, siamo di nuovo alla vigilia dell'anniversario della Liberazione dal nazifascismo. La parola che la Presidente del Consiglio si rifiutò di pronunciare palpiterà ancora sulle labbra riconoscenti di tutti i sinceri democratici, siano essi di sinistra, di centro o di destra. Finché quella parola - antifascismo - non sarà pronunciata da chi ci governa, lo spettro del fascismo continuerà a infestare la casa della democrazia italiana".

È fazioso Scurati, un agit-prop con i soldi del canone? La contestazione è paradossale, perché tutto il monologo poggia su argomenti che dovrebbero essere condivisi anche da Giorgia Meloni e dal suo gruppo dirigente, che hanno giurato fedeltà alla Costituzione e non dovrebbero avere difficoltà a tirare le somme: l’antifascismo è un valore assoluto della democrazia italiana, la memoria del ventennio è stata condannata nella storia nazionale. Da dove nasce allora l'incapacità del gruppo dirigente postfascista di fare i conti fino in fondo col proprio passato, quello politico ma anche quello psicologico e ‘sentimentale’? A questo nodo dà voce Scurati, al retropensiero diffuso in tutta l'Italia che ancora crede nel senso e nella dignità della sua democrazia.


IL DOCUMENTO RAI DA REPUBBLICA


La risposta come si è visto non è un confronto magari aspro ma civile. È l'ostracismo, se serve il ludibrio. Scurati alla presidente del Consiglio ha poi risposto: “Quanto lei incautamente afferma (…) è falso sia per ciò che concerne il compenso sia per quel che riguarda l'entità dell'impegno”. “Pur di riuscire a confondere le acque, e a nascondere la vera questione sollevata dal mio testo – accusa a sua volta - un capo di Governo, usando tutto il suo straripante potere, non esita ad attaccare personalmente e duramente con dichiarazioni denigratorie un privato cittadino e scrittore suo connazionale tradotto e letto in tutto il mondo”. La calunnia, in assenza di altri argomenti.

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