Phuket perché, se già sai cosa ti aspetta? E se, ciononostante e nonostante ti offra di tutto e di più in fatto di attrazioni, ristorazione, shopping, intrattenimento ed escursioni, il degrado ti sorprende talmente tanto che decidi di scappare anzi tempo?
Phuket perchè, se non ne puoi più del traffico costante e paralizzante: un'ora e venti per fare 26 km, non so se mi spiego. Volevamo solo recarci a Porto de Phuket, un agglomerato di boutique e ristoranti più esotici e raffinati. Se siete in vena di spendere e di farvi 90 minuti a passo d'uomo, ve lo consiglio.

Phuket perchè, mi vergogno a confessarlo, se ci ha sopraffatto la moltitudine di turisti russi e cinesi? Singoli, in coppia, accasati, con la nonna al seguito, chi in fuga dalla guerra, chi dall'inverno, chi per festeggiare il suo Capodanno. Troppi, tanti, si spostavano in piccole orde vocianti, cosa che li faceva sembrare più invasivi e arroganti. Siamo scappati perché a disagio nel caos di baracchini, lettini scassati, ombrelloni sdruciti, perché avrei voluto raccogliere tutte le decine di bottiglie di plastica abbandonate sulla spiaggia mal tenuta, perché per fare un bagno bisognava schivare la moltitudine di corpi stravaccati, unti e arrostiti sulla sabbia rovente, perché una volta in acqua, dovevi guardarti dalle meduse in agguato. Quest'anno, dato il caldo, ce n'era un'invasione, ma non delle più pericolose. Seccanti, comunque.

Perciò Phuket perché? Proverò a raccontarlo partendo dal prequel.
Come dicevo, ero partita consapevole che Phuket sarebbe stata un carnaio, il posto più visitato di tutta la Thailandia, a pari merito con Bangkok, capitale e megalopoli sorprendente, fatta di estremi e di contrasti, dove ci si arriva di default.
Mi correggo, se per questo anche a Phuket atterrano voli internazionali diretti, il che spiega l'afflusso spropositato.

Torniamo al Perché.
Avevamo deciso che, dopo Chiang Mai, avremmo passato due settimane a Koh Tao,; la cosiddetta Murder Island che ci era rimasta nel cuore quando, l'anno scorso, ci avevamo passato tre piacevoli giorni, nonostante arrivarci avesse significato quattro penose ore su un malandato traghetto da Koh Samui, sballottati dal mare agitato, accompagnati dai conati di vomito dei nostri compagni di viaggio. L'isola ci aveva da subito conquistati, sebbene io e il beneamato fossimo fuori target tra i tanti aitanti ragazzotti e ragazzotte in shorts, infradito e zaino in spalla, i più venuti per prendere quel patentino da sub che a Koh Tao viene via con poco. Così avevamo deciso di ritornarci, e di passarci quindici giorni, concedendoci, una volta tanto, un albergo fronte mare immerso in un giardino tropicale, con un bungalow tutto per noi e tutto in teak, in puro stile "tropical paradise", perché, mi ero detta, va bene il budget, ma si vive una volta sola e anche se sforiamo un pochino vorrà dire che stringeremo la cinghia tornati a Torino.

L'avevo scelto con cura, il resort, mi ero assicurata che fosse vicino alle spiagge più fascinose, Chalok, Freedom Beach, Shark Bay, il top de gamme per fare il bagno e lo snorkeling.
Poi, giorno dopo giorno, l'attesa pregustata si era tramutata nella certezza che l'isola sarebbe stata troppo giovanilista per i nostri bisogni. Alla nostra età non c'è fascinosa palma mossa dal vento e impalpabile sabbia che tenga; fatemi stendere su un asciugamani e sono spiaggiata come una foca monaca, per di più impanata e predisposta ad eritema certo. Aggiungo che il beneamato con il sole ha un rapporto peggiore del mio, anche se si abbronza persino quando lo evita.

Dopo aver scoperto che nessuna delle spiagge limitrofe era attrezzata a misura dei nostri acciacchi, che l'albergo offriva solo qualche lettino intorno a una piscina poco più grande di una jacuzzi, si era aggiunta la certezza che saremmo morti di pizzichi, perché come lo ammazzi il tempo su un isolotto che, a parte sballarsi di erba, bere galloni di birra e fare snorkeling - dopo averlo fatto nel Mar Rosso e sulla Barriera Corallina, al riguardo siamo un po' blasè - non ha altro da offrire, se non qualche faticosa e accaldata camminata su impervi sentierini, attenti a dove si mettono i piedi, magari su un cobra?
Tratte le debite conclusioni, Koh Tao era stata molto a malincuore scartata, ma l'esperienza ci aveva insegnato ad evitare di arrivare a Koh Samui a Febbraio, perché la coda del monsone garantisce piogge e venti frequenti, mare mosso e; spiagge schifosette. Checché se ne dica.

Tutto questo lungo preambolo per giustificare la scelta di andare a Phuket, dato che, sul lato Andamane, il monsone invece aveva già dato.
Sapevamo che sarebbe stato affollato e caro, ma speravamo ancora di ritagliarci un angolino adatto a noi. Avevo analizzato tutti i pro e contro delle tante spiagge a disposizione, scartando Patong e il Porno Ping Pong, a prescindere. Ci siamo stati una sera a cena e il carnaio ci era bastato. Karon, stando a una coppia di amici che ci ritorna da anni, è un'ansa spettacolare, però affiancata da una specie di superstrada, quindi occhio, perché proprio l'amico era stato investito e ci aveva rimesso tibia e perone.

Kamala sembrava avesse la giusta dose di charme, ma avevo scoperto che, a sud, era penalizzata da un inquietante canale di scolo, il che è un vero peccato perché ha un lungomare sabbioso e delizioso, dove si cena fronte tramonto. Consiglio Lillo's Island, basta prepararsi all'attesa, ma ne vale la pena. Una tantum ce la siamo goduta, grazie allo Smart Bus che per 100 bath a testa ogni ora copre la tratta Rawai/Aereoporto e ritorno. Kata mi aveva tentato, specie Kata Noi, la baietta più piccola, ma ci si va a fare il surf, quindi No grazie, delle onde faccio volentieri a meno, dopo quelle che mi hanno frullato ben bene a Chaweng, in quel di Samui, che a tutt'oggi batte Bandiera Rossa e ha mietuto anche qualche vittima.

Rimaneva, citata tra le più belle, la piccola ansa di Surin, descritta come un paradiso di acque cristalline.
Vero! Accidenti, tutto vero. Acqua calma e trasparente. Una goduria.Quella per la quale ti sei fatto 14 ore di volo. Peccato solo che la spiaggia sia un troiaio, con la sopracitata overdose di baracchini, ombrelloni e ristorantini, e se ti scappa la pipì o peggio, beh auguri, le poche toilette non sono un bel sentire e vedere.

Detto questo, ignari, avevamo prenotato e pagato sette giorni presso un albergo che aveva visto giorni migliori, gestito però con amorevole cura da uno staff sempre gentile e sorridente, che ci cambiava ogni giorno gli asciugamani lisi e ci forniva gli ottimi teli da spiaggia. Per gli altri sette avevo prenotato, speranzosa, un posticino vicino a quella di Ao Narn, proprio a sud, non lontana da Rawai, dove già pregustavo cenette a base di gamberoni e pesce appena pescato. Anche a Ao Narm, avevo letto, acque cristalline, qualche fila di ombrelloni e frequentazioni intense ma soprattutto locali. Sembrava giusto il posto per noi. Se lo fosse non lo sapremo mai, perché dopo sette giorni di Surin - dove oltre ai baracchini, c'è poco e niente, solo uno stradone trafficato con qualche ristorante con più infamia che lode - avevamo dato forfait e anticipato l'andata a Samui, previo passare tre giorni a Phuket Old Town che sembrava l'unico posto fascinoso rimasto.

Ebbene Phuket Old Town è un amore. Lo è nonostante la calca, il caldo mortifero, quasi da svenire, e un certo diffuso odore di fogna che aleggia, tavolta, girando un angolo. Però l'abbiamo amata, e lo dico prima che si dica "ma quella vecchia criticona perché non se ne sta a casa sua, se non le sta mai bene niente?"
No, non sono, non credo almeno e spero, una rompiballe, ho solo l'imprinting da cronista, e se noto qualcosa non posso non condividerlo, ecco. Mi sembra più onesto. Anche se, prima o poi, mi interdiranno dalla Thailandia.

Avevamo scelto di soggiornare al The Memory On Hotel, un gioiellino vecchio di cent'anni, ristrutturato con cura, nell 'esaltazione di quel prezioso gusto coloniale tipico dello stile sino-portoghese che si ritrova nella parallela, più famosa, Thalang Road, con la sua sfilza di case bianche di stucco e colorate di tinte pastello, ognuna con sotto il suo negozietto, baretto, ristorantino. L'offerta è tanta, è varia e diversificata nei prezzi. Anche cari. Durante il giorno la strada si spopola perché il caldo tramortisce , ma la sera si affolla, specie la domenica, quando la stradina si riempe di banchetti al punto da diventare un unico blocco brulicante di gente.

A Phuket Old Town abbiamo ripreso a sognare quella Thailandia che ci affascina con la sua storia, la sua grazia, per l' incontro e l'accettazione delle diverse culture, quella indigena, quella malese, quella cinese, un'integrazione che ha un nome: Peranakam, come ci ha raccontato l'omonimo museo, che consiglio di visitare. Corroborati dallo charme che finora ci era mancato e dagli zuccherosi succhini di frutta tropicale, freschi di ghiaccio e spremitura, ci sentivamo stracchi ma felici di essere qui. Felici della pasticceria francese con le "danesi" più buone del mondo, del ghiacciolo al mango forgiato come l'iconico palazzo dell'orologio, del ristorante cinese che si pregia ripetutamente dell'insegna Bib Gourmand Michelin, felici di aver scovato nell'adiacente negozio di passamanerie e bottoni il posto più fornito, felici del caffè ben tostato, felici di scoprire angolini remoti e silenziosi, di essere invitati a partecipare alle festose celebrazioni del tempio cinese, dove una simpatica creatura pelosa, giocosa e rosa Barbie, ci aveva accolto spalancando la bocca in un sorriso sdentato.

Qualche delusione, che metto per non smentirmi: il Museo 3D, andateci solo se avete bimbi al traino, perché onestamente... e la mega mall Central Festival, con i suoi marchi d'alto bordo, qui è doveroso citare l'unico posto dove abbiamo osato mangiare un pregevolissimo sushi con tanto di capesante freschissime.
Phuket Old Town, un dulcis in fundo che ci aveva rimesso in pace col mondo. Certo vi deve piacere il genere, ma a noi aveva permesso di affrontare a cuor leggero le cinque noiosissime ore di pullman super stipato fino al Donsak Pier dove ci aspettava il catamarano della Lomprayah, diretto a Samui, felici di tornare a Maenam, che lo scorso anno ci aveva fatto innamorare. Siamo qui da una una settimana e posso dire che nulla, grazie a Dio, è cambiato.