MAGIE
DI VENEZIA
UN BIGLIETTO
PER LA STORIA

Via della libertà, un ponte. Lungo quanto quello di Brooklyn. Acqua torbida da un lato, bagliori di bellezza dall’altro. Tuttavia, se non si attraversa questo ponte, è praticamente impossibile passare dal buio di Mestre, e del suo fantasmagorico mostro industriale, alla luce di Venezia. È lì, Serenissima da sempre, che la città si staglia come la più bella delle favole. Pinnacoli, cupole, tetti e chiese. Sembra uscita dalla fantasia di Walt Disney. Tutt’intorno, il mare. Non si sa se sia già Adriatico o semplicemente il prolungamento di questa fantasia di profumi e acqua. Entrare per la prima volta a Venezia, come mi sta succedendo, equivale a staccare un biglietto per la storia. Nel senso letterale del termine. Perché da qualche settimana, vengo a sapere, per entrare in città è necessario un biglietto. Per controllare il flusso turistico e salvaguardare la laguna, tranquillizzano dal sito.


(Venezia, la Basilica di San Marco. Facciata)


Basta poco per accorgersi che la fiumana di turisti, in questa caldissima giornata estiva, è praticamente impossibile da controllare. Barche e motoscafi, altoparlanti dai quali fuoriesce una babele di lingue. Una cafarnao di effluvi, unita agli scarichi dei diportisti, che fa girare la testa più dell'incudine solare. Nonostante questo provo a camminare per Venezia con rispetto. Mi fermo ad ogni angolo, anzi in ogni calle come i veneziani chiamano i vicoli stretti e lunghi che portano alla laguna, mi soffermo su qualche vetrina, sento gli odori - di pane e spezie -, lancio uno sguardo alle bifore esterne di un antico palazzo o al corrimano di uno dei tanti ponti che collegano tra loro i tanti quartieri cittadini.


(Il campanile)


La mia fantasia corre veloce. Ai secoli andati, quando qui, in questi canali oggi trafficati da turisti del sol levante, si sarebbero incontrati mercanti da tutto il Mediterraneo. Genti del nord, facce levantine, arabi, turchi, greci, genti del Maghreb. Tutte tenute insieme, e in scacco, da uno degli imperi commerciali più potenti che il nostro mare abbia ospitato, dopo quello romano. Venezia è nella laguna, nei suoi miracolosi e splendidi palazzi, certo. Ma è anche in Grecia, in Turchia, nei Balcani, nell’Egeo. Posti lontani, ma dove è possibile leggere la stessa magnifica storia. Storia di navigatori e di mercanti, di dogi e di arsenali, di guerre e di conquiste, di depredazioni e di miserie.


(Il ponte dei sospiri)


Una calle dopo l’altra, un corridoio dopo l’altro ed eccomi arrivato. Il ventre più profondo di Venezia, il sancta sanctorum. Piazza San Marco. Affollata. Nemmeno il campanile è capace di assicurare un poco di frescura. La facciata della Basilica dedicata all’evangelista, che ospita le sue spoglie, è in ristrutturazione. Un’ingessatura di impalcature che però non mi impedisce di fissare la quadriga in bronzo. Non c’è accordo tra gli studiosi. Ma pare, secondo la tesi più accreditata, che i cavalli sormontassero l’arco di ingresso al grande circo di Costantinopoli. Un connubio tra due imperi, una saldatura tra due storie. Entrambe cadute, entrambe - un tempo - monumentali.


(Rialto)


Basilica e palazzo ducale, sede da secoli del doge e del consiglio, aprono un varco verso il punto più panoramico e aperto della laguna. In uno sguardo si ha la possibilità di cogliere tutto: gli isolotti con le chiese di San Giorgio e Santa Lucia, il lazzaretto e più lontano l’Arsenale. Alle mie spalle, invece, il ponte dei Sospiri e prima ancora i Piombi, le temibili carceri della repubblica veneziana. So di aver visto pochissimo della Serenissima. Eppure mi sento appagato nonostante il caos e le acque della laguna che sbattono sui vari pontili in attesa dei vaporetti.


(Una calle)


E mi capita di pensare, alla stregua di queste stesse imbarcazioni, quanto non sia la stessa Venezia, da centinaia di anni, a galleggiare su se stessa in un equilibrio - oggi - sempre più precario. Perché Venezia è bellezza, fatta di palazzi e chiese, di maschere carnevalesche e di quartieri raffinati; ma è soprattutto un delicatissimo ecosistema che si regge su due piedi di argilla. Mentre vengo dondolato dal vaporetto che mi riporta indietro, mi capita di lasciare un pensiero su queste acque. Un pensiero che è soprattutto di speranza. La speranza che anche le generazioni che verranno potranno ammirare la bellezza di Venezia così come ho fatto io.

(2. fine)

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