Lo vedo felice. Forse così felice non l’ho mai visto. Gli scatto una foto. È davanti a una garitta, alle sue spalle la cancellata di una caserma ormai abbandonata. È qui, più di quarant’anni fa, che lui – mio padre – ha fatto il servizio militare. Siamo a Sequals, nel punto più a nord che mi sia mai capitato di toccare. Una corona di montagne, alte quante mai ne avevo viste, i profili taglienti delle Alpi Carniche a est, verso il Friuli che digrada sempre più verso il confine sloveno. Sotto i nostri piedi, pianura a perdita d’occhio. Una piana regolare, qualche stabilimento qua e là, rotonde e strade deserte. Tutto è stato disegnato alla perfezione. A Ovest dal fiume Meduna, a est dal Tagliamento, il secondo fiume – dopo il Piave – più importante e sacro del nostro paese.

A poche decine di metri da questa caserma abbandonata, un paesino. Trecento anime, e sono pure tante. Un unico bar, la cassiera che ammicca a mio padre dandogli meno anni di quanti ne abbia, un’area di mercato con effluvi di formaggi tanto buoni da instupidire i sensi. In fondo a tutto, il pinnacolo di una chiesa. Tutt’uno con la roccia, sembra un minareto. Una scalinata in calcare locale, lunga e solitaria, sopra un piccolo dono di roccia e testardaggine umana: la chiesa dei Santi Pietro e Paolo. Fa caldo, ma un vento fresco tirato giù dalle montagne rende Sequals una bolla senza tempo e senza storia. Gli abitanti sono discreti, non parlano quasi mai né sorridono. Alla dieci di mattina, con questo caldo, bevono caffè bollente allungato con la grappa che da queste parti è più di una bevanda. Scrivi Sequals, non puoi non leggere, anche se dello sport ti interessa poco, Primo Carnera. La sua villa è poco fuori dal paese. Uno stile liberty coniugato con l’essenzialità montanara. La troviamo chiusa. Basta però una rapida occhiata ai pannelli informativi per rendersi conto di cosa sia stato quest’uomo, questo pugile, nella storia di Sequals e di tutto il nostro paese.

Vicino Sequals c’è Spilimbergo. Un nome che sembra uno scioglilingua. Il Tagliamento è lì, meno placido al passaggio del Piave, ma ardimentoso ed irruento. Spuntoni di rocce, anse in secca, vegetazione brulla a fare da cornice. Sembra dormire, basta però venire in inverno da queste parti per rendersi conto che il Tagliamento è potenza in atto, con le sue piene fuori controllo. Il paese è Sequals con un po’ più di persone. La stessa compostezza, la stessa atavica diffidenza verso chi viene dal profondo sud con una parlata che da queste parti si sente ad ogni morte di Papa. Spilimbergo però mi affascina. Qui, tra queste montagne e la pianura alluvionale forgiata dal Tagliamento ha sede una delle scuole musive più importanti al mondo. I mosaici di Spilimbergo sono rinomati a ogni latitudine. Una tradizione artistica e artigiana che trae linfa vitale dal mondo romano e da quell’Aquileia da qui così poco distante.

Ci rimettiamo in macchina. L’autostrada corre veloce e assieme ad essa tutta la piana del Tagliamento. Al posto dei guardrail filari di vigneti. Vigneti piantati a ribolla, prosecco. Ordinati e protagonisti di una nuova guerra che nulla ha a che vedere con la Grande Guerra. Una guerra di botti e di bottiglie, migliaia su migliaia che tra non molto prenderanno la strada di paesi e interi continenti.

L’autostrada ci riporta indietro, discendiamo verso la marca trevigiana, destinazione Oderzo. Il paesaggio cambia ma fino a un certo punto. Stessa piana, ancora vigneti. Tutto tenuto in ordine da sua eccellenza il fiume Piave. Se non sapessi di cosa sto scrivendo o parlando, c’è un cartello enorme che mi informa subito. Lo trovo all’inizio di un ponte, all’ingresso di San Donà di Piave. Piave – Fiume Sacro alla Patria.

Ho i brividi. Un fiume tutto sommato piccolo nelle dimensioni ma così grande nell’orgoglio e nella forza di tutto un popolo. Fu proprio su queste acque che il fante italiano resistette alle truppe austroungariche nella guerra del ’15-’18. E sempre da qui partì il riscatto di una nazione intera umiliata dopo la disfatta di Caporetto. Non esiste luogo in Italia dove l’orgoglio nazionale trasudia più che qui. Tutto parla di corpi, di sacrari militari e di cippi, di trincee oggi visitabili e, lo ripeto, di orgoglio nel sentirsi parte di un’unica storia. Il vento accarezza la pelle che è diventata ruvida per l’emozione.

Qualche ora dopo ci rechiamo ad Arfanta e risalendo verso le colline tra Conegliano Veneto (da segnalare nel suo bellissimo centro storico un incantevole castello medievale) e Valdobbiadene, patrimonio Unesco per la produzione del vino prosecco, un gruppo di amici, davanti ad un’ottima cena e ad una fila di bottiglie vuote di Prosecco e di Raboso, eccellente vino autoctono del Piave, mi racconta storie su storie. Perché da queste parti la guerra è più di un ricordo. È il volto di qualche nonno che ancora ricorda le storie del suo papà, è un elmetto custodito meglio di una reliquia, è soprattutto una divisa chiusa in una teca. Perché una nazione non è solo fatta di monumenti, ma anche di ossa e cenere di tanti – troppi – che hanno sacrificato la propria vita per qualcosa che è oltre la vita.
1.continua