La Pastasciutta Antifascista è un piatto simbolo nella storia della resistenza. Siamo abituati a festeggiare il giorno della Liberazione d’Italia il 25 aprile, ma già 20 mesi prima ci fu un momento generale di festa; la prima sensazione di libertà dopo tanti anni. Il 25 luglio 1943, sfiduciato il Duce dai suoi stessi gerarchi, il fascismo rovinò, e la famiglia Cervi organizzò una grande festa offrendo pastasciutta a tutta la popolazione. Dopo 21 anni era caduto Mussolini. Era stata annunciata la fine della guerra e della dittatura. In realtà si aprirono settimane di incertezza e ambiguità sotto Badoglio. Questo non impedì i festeggiamenti della famiglia Cervi. Caricarono il carro con la pastasciutta e la portarono nella piazza di Campegine. Fu una festa in piena regola, un giorno di gioia in mezzo alle preoccupazioni per la guerra ancora in corso. Anche un ragazzo con una camicia nera fu invitato a unirsi e a mangiare il suo piatto di pasta. Un modo simbolico per riappropriarsi del luogo della socialità cittadina, da anni dedicato unicamente agli eventi legati al partito fascista.
Sono trascorsi 80 anni dalla storica Pastasciutta dei Cervi. “Fu un inganno storico. La pastasciutta è stata un marchio di antifascismo per la mia famiglia, sterminata come tutti quelli che festeggiarono l’arresto di Mussolini, quando poi tornò al potere con la Repubblica di Salò” afferma Adelmo Cervi, figlio di Aldo. Aveva quattro mesi quando il padre fu fucilato. Oggi ha ottant’anni, percepiti trentaquattro. “La mia famiglia organizzò la festa il 27 luglio perché la notizia della caduta di Mussolini arrivò la sera del 25. Occorreva del tempo per organizzare una pastasciutta per tutto il paese che pativa la fame” continua Adelmo Cervi “e si doveva svolgere di sabato perché tutti potessero partecipare. La data simbolica del 25 luglio è stata stabilita dall’Istituto Cervi per evitare confusioni.”
A raccontare quella prima pasta antifascista fu papà Alcide Cervi. “Il 25 luglio vengono e ci dicono che il fascismo è caduto, che Mussolini è in galera. È festa per tutti. La notte canti e balli sull’aia. Facciamo subito un gruppo di contadini e andiamo a Reggio, per la strada tutti si aggiungono e la colonna diventa un popolo. Ognuno sembrava che aveva vinto lui, e questa era la forza. Ma il piacere è breve, è Aldo che ci ricorda la frase di Badoglio: la guerra continua al fianco dei tedeschi. Ma è sempre Aldo che ci dice di far esplodere la contentezza, intanto si vedrà. E propone: papà, offriamo una pastasciutta a tutto il paese. Bene dico io, almeno la mangia. E subito all’organizzazione. Prendiamo il formaggio dalla latteria, in conto del burro che Alcide Cervi si impegna a consegnare gratuitamente per un certo tempo quanto basta. La farina l’avevamo in casa, altri contadini l’hanno pure data, e sembrava che dicesse mangiami, ora che il fascismo e la tristizia erano andati a ramengo. Facciamo vari quintali di pastasciutta, insieme alle altre famiglie. Le donne si mobilitano nelle case, intorno alle caldaie, c’è un grande assaggiare la cottura, e il bollore suonava come una sinfonia. Ho sentito tanti discorsi sulla fine del fascismo, ma la più bella parlata è stata quella della pastasciutta in bollore. Guardavo i miei ragazzi che saltavano e baciavano le putele, e dicevo: beati loro, sono giovani e vivranno in democrazia, vedranno lo Stato del popolo. Io sono vecchio e per me questa è l’ultima domenica. Ma intanto la pastasciutta è cotta, e colmiamo i carri con le pile. Per la strada i contadini salutano, tanti si accodano al carro, è il più bel funerale del fascismo. Un po’ di pastasciutta si perde per la strada per via delle buche, e i ragazzuoli se la incollano sotto il naso e sui capelli. Uno dice: mettiamoli tutti in fila, per la razione. Nando interviene: perché? Se uno passa due volte è segno che ha fame per due. E allora pastasciutta allo sbrago, finché va. Chi in piedi e chi seduto, il pranzo ha riempito la piazza grande, e tutti fanno onore alla pastasciutta celebrativa”. ('I miei sette figli', di Alcide Cervi).
Ne cucinarono più di 380 chili, conditi solo con burro e parmigiano.
Saranno i sette figli di Alcìde a perdere la vita cinque mesi più tardi, il 28 dicembre del 1943, proprio a causa di quella pastasciutta, potente più di un manifesto politico. I figli erano nove, c’erano anche due sorelle. Il vecchio Alcìde trovò la forza di tornare a coltivare la terra insieme alle donne superstiti e agli undici nipoti. “Nessuno poteva dare una mano a casa Cervi; era una casa di ribelli” continua Adelmo “anche se la mia era una famiglia di contadini e di mezzadri. Mio padre Aldo, all’università del carcere, acquisì una cultura che non aveva avuto prima e apprese i rudimenti della dottrina comunista, che coniugò con la militanza nell’Azione Cattolica, sperimentata prima del fascismo. Sarà proprio lui a seminare in famiglia il germe della ribellione”.
Il 24 aprile 1972 a Gattatico, nella pianura reggiana, nasce l'Istituto Cervi che, alla fine degli anni Ottanta, ebbe l’idea di riproporre il gesto dei sette fratelli. Nel corso degli anni, la festa della pastasciutta antifascista è diventata una delle manifestazioni dell’antifascismo italiano.
La prima rievocazione storica si è svolta a Casa Cervi nel ‘96. Oggi, ogni anno si tengono decine di Pastasciutte Antifasciste in tutta Italia, unite dagli stessi valori e principi in una grande comunità: la Rete delle Pastasciutte Antifasciste. È diventata una ricorrenza nazionale e è in continua crescita. In Abruzzo siamo alla quinta edizione e il prossimo 25 luglio sarà organizzata a L’Aquila dal circolo Querencia, ARCI, ANPI, CGIL e ANPPIA nella sede del Circolo in piazza d’Arti.
I fratelli Cervi non videro il 25 aprile. È rimasta la Pastasciutta a ricordo dell’inizio della Liberazione.