Tanti anni fa, quando cominciai a frequentare Marina di Camerota, nessuno chiamava Cilento quella zona costiera della provincia di Salerno che inizia ad Agropoli e finisce a Sapri, e anche le cartoline d’epoca ci mostrano immagini stereotipate che oggi ci fanno sorridere.

Poi, a un certo punto, tutte quelle località hanno acquisito fama, turisti e bandiere blu, e abbiamo scoperto che il Cilento non era solo mare, ma anche natura ed entroterra, prodotti tipici e siti Unesco.

Una bella spinta è venuta sicuramente dal film di Alessandro Siani “Benvenuti al Sud” (2010) ambientato a Castellabate, eppure ancora mi capita di parlare con persone che confondono Cilento con Salento, e allora mi chiedo se c’entri più il declino della geografia come materia di insegnamento nelle scuole o il fatto di non guardare più una cartina ma solo lo schermo del cellulare aperto su una porzione di Google Maps.

Ma all’epoca della mia frequentazione, a cavallo tra la fine degli anni ‘80 e l’inizio dei terribili ‘90, di Cilento non si parlava proprio. La gente fittava le case a mese ad Agropoli, Palinuro continuava a campare di una sua rendita chic per avere avuto un Club Mediterranee e a Camerota c’erano molti villaggi sul mare che facevano la gioia di camperisti e campeggiatori. Il resto delle località conosceva soprattutto un turismo di tipo familiare che si rinnovava di anno in anno grazie al mare pulito e alla relativa vicinanza ai vari capoluoghi della regione.

In uno di questi campeggi camerotani, l’azienda per cui lavoravo aveva un parco roulotte che affittava a settimane ai suoi dipendenti e anche un campo estivo per adolescenti dove a turni di quindici giorni si alternavano ragazzi provenienti da tutta Italia. Nell’organizzare i pullman che alla stazione centrale di Napoli raccoglievano questi “figli della luce” per portarli in campeggio, scoprii Marina di Camerota e anche quanto questa invenzione del “campeggio adolescenti” fosse una specie di Erasmus delle vacanze, un’esperienza divertente e formativa che mescolava le mentalità, i dialetti e anche la saliva nei baci appassionati dell’addio a fine turno.
Cominciai ad andare a Camerota anch’io, nei fine settimana, con i treni regionali (che all’epoca partivano ogni ora, signora mia!), adattandomi a roulotte e a tende, immergendomi nell’odore e nella frescura della pineta del Camping Pineta, godendomi il mare magnifico, la spiaggia enorme e mai affollata e qualche rara sortita a Marina. E sbirciando con una punta di invidia le emozioni di quei ragazzi per i quali una serata in discoteca al “Ciclope” o un’uscita in gommone a Punta Infreschi diventavano esperienze memorabili da trasferire agli amici tornando dalla vacanza, insieme naturalmente ai pezzi di Pino Daniele che erano colonna sonora e lingua veicolare del periodo in campeggio.
Come tutte le cose della gioventù, perché anch’io ero abbastanza giovane allora, quei soggiorni a Camerota sono rimasti impressi nella memoria come cristalli preziosi, e il ricordo di quelle benedette giornate tutte uguali sulla spiaggia è incrinato solo da un incendio che arrivò a lambire le piazzole del camping e dalla notizia degli attentati a Falcone e Borsellino, uno di sabato e l’altro di domenica, e io lì tutte e due le volte, che uscivo dall’acqua e mi accostavo ai capannelli di persone che commentavano la notizia e improvvisamente mi vergognavo di stare al mare.
E insomma, a rischio di restare delusa, sono voluta tornare a Marina di Camerota nell’ultimo fine settimana di giugno, con il marito, in auto e in albergo e, incredibile a dirsi, non c’è stato disinganno.
Intanto la spiaggia del Mingardo, sormontata dalla provinciale che in 7/8 chilometri collega Palinuro a Marina di Camerota, è sempre una signora spiaggia, punteggiata di qualche lido in più, di villaggi e di camping i cui nomi mi sono tornati quasi tutti alla memoria, con la pineta e la macchia mediterranea che arriva a tratti fino al mare e un mare aperto, profondo e pulito, dove in moltissimi accedono liberamente portandosi dietro il proprio armamentario di ombrelloni e sedioline.

Ora si parcheggia (anche) nelle strisce blu e il costo di 12 euro per un ombrellone e due lettini in prima fila ha qualcosa di stupefacente, in questa stagione di polemiche per i costi e le concessioni del mare attrezzato. Il paese di Marina è rimasto come lo ricordavo, tranquillo, pulito e ora protetto dalla ZTL. Sono aumentati i ristoranti e i baretti, le gelaterie e i negozi di prodotti pseudo tipici, i B&B e i turisti di fuori regione e stranieri, ma il clima è quello di un posto di mare che vive anche d’inverno, che multa chi butta i mozziconi a terra e che è consapevole di offrire di suo e per i suoi dintorni un’esperienza di vacanza di ottimo livello e, almeno in questa stagione, a prezzi più che abbordabili.
I dintorni, come in quasi tutte le nostre località costiere, sono centri abitati arroccati in collina per difesa (e anche per stare più freschi) che via via col tempo hanno perso la loro centralità a favore delle filiazioni costiere. Succede qui in Campania, e ancora di più in Calabria, ma arrivando di pomeriggio a Camerota alta, poco più di 300 slm e una popolazione di circa 6.000 abitanti, ci ha accolto l’armoniosa melodia del coro locale che provava nella chiesa di Santa Maria delle Grazie.
Un gradevole benvenuto e un’ancora più gradevole passeggiata per i vicoli e le scale del centro antico, che conserva ancora la sua impronta medievale, che risuonava di voci e rumori degli abitanti e che era tutto adornato di centrini all’uncinetto realizzati, come ci ha spiegato una ragazza, per la festa della Madonna tenutasi nel mese di maggio.
È stata una passeggiata senza impegno e molto piacevole. on abbiamo scaricato l’app “Discover Camerota” (dove tra le altre info si trova il sentiero delle 12 chiese, quello delle terrecotte e molti altri suggerimenti per approfondire la conoscenza del sito e dei suoi dintorni, anche quelli naturalistici), ma assecondato la voglia di girare senza meta, semplicemente facendoci guidare da suggestioni e silenzi, da scorci di panorama, dal saluto ricambiato con un vecchio seduto all’ombra, e da casuali incontri con facciate di palazzi nobiliari, targhe, archi di marmo e altre reminiscenze del tempo che fu.
E che vuoi di più, per lenire il logorio della vita moderna? Sicuramente una buona cena. E anche questo ci è stato dato, da “Rianata ‘a vasulata”, che significa pizza schiacciata all’origano servita nella strada dei basoli (a dimostrazione che a volte il dialetto riesce a essere anche più sintetico dell’inglese), una trattoria di specialità cilentane a chilometro zero e intelligenza cento. Qui fanno una versione non fritta delle napoletane zucchine alla scapece, cotte per pochi minuti nel forno delle pizze la mattina, quando è ancora caldo dalla sera precedente, e condite con aglio, olio, aceto e menta, ottenendo un risultato indimenticabile.
Tante le cose che non abbiamo fatto, ma senza rimpianto, anzi con l’idea di esserci conservati la scusa per tornare: una visita al teatro di Kamaroton, un’uscita in barca per vedere dal mare la bellezza della costa, un trekking (per esempio l’Anello delle 4 spiagge e delle 7 torri), un giro per antichi frantoi e per altri borghi e paesini, una rinfrescata delle leggende e dei miti che sono all’origine della toponomastica dei luoghi…
Davvero c’è tanta roba da queste parti come in tutto il nostro paese. Diamo merito al Covid ieri e all’aumento delle tariffe aeree oggi di spingerci verso il turismo di prossimità. A volte ritrovando brandelli di memoria personale che con quei luoghi stabiliscono anche un legame affettivo.
Tina Pane