SCOSSE, SCHIZZI
E SAPONE
COSÌ SCOPRIMMO
LA LAVATRICE

Quella mattina noi tre cugini non fummo svegliati dal profumo dello gnocco fritto. Quello era un rito straordinario, che spesso lo zio Mimi – così chiamato da tutti, ma lui in realtà era nato Demetrio – si e ci concedeva, improvvisandosi cuoco preferibilmente alle prime ore del mattino. No, quella mattina nella grande casa in vicolo Voltino, nei pressi di piazza Virgiliana, fu piuttosto un suono ad accompagnare il nostro risveglio. Un suono strano, mai sentito prima. Uno stantuffare ritmico, che proveniva dal magazzino-garage al pianterreno. Proprio sotto le nostre camere da letto.

Quel ritmo strano era intervallato da risatine piuttosto nervose di mia zia Elsa. Alle quali seguivano indicazioni perentorie, un po’ sbrigative da parte di mio zio: “Fai così! Metti l’acqua! Chiudi il rubinetto! Chiudi!!!”

Scendemmo in cortile, noi tre, e ci affacciammo oltre il portone del magazzino. Gli zii erano indaffarati intorno al nuovo arrivo, mai visto prima: la lavatrice. Un prototipo, dato che si era immersi nei favolosi anni Sessanta. Spettacolo misto di meraviglia e di sconcerto, che inducevano a un riso da tutti trattenuto, per non offendere lo zio che, appassionato da tutte le novità della tecnologia, da perito industriale che era, senza perdersi in preannunci aveva fatto arrivare da chissadove quel marchingegno. Aspettandosi, naturalmente, tanta gratitudine da parte della moglie, che da quel momento sarebbe stata alleviata nella cura della biancheria di quella bella e numerosa famiglia.



Sarà che le istruzioni non brillavano per completezza; sarà che il prototipo non era proprio automatizzato nelle varie fasi del bucato; sarà che la scarsa dimestichezza con quella macchina era accompagnata anche da una comprensibile diffidenza. Sta di fatto che l’esordio della lavatrice fu piuttosto faticoso. Il manufatto si presentava come un grosso cilindro con vasca in alluminio, montato su quattro zampe che finivano con delle rotelle. Sul cilindro era poi previsto un coperchio. In aggiunta c’era un doppio rullo per strizzare la biancheria al termine del lavaggio.

Il carico della biancheria avveniva da sopra, così come il detersivo, che andava aggiunto dopo l’ammollo. L’acqua si versava nello stesso modo. Lo svuotamento era possibile soltanto accostando la lavatrice a uno scarico: di qui la dotazione di rotelle, alla base delle quattro zampe. Presenza preziosa, quella delle rotelle, per le operazioni di carico e scarico dell’acqua. Ma durante il lavaggio, assicurato da un meccanismo rotante in un senso e nell’altro, le rotelle rivelavano la loro ambigua efficacia, dal momento che la rotazione interna, accentuata dalla massa pesante della biancheria bagnata, imprimeva alla lavatrice un moto difficilmente controllabile. Se le rotelle non venivano bloccate, la macchina prendeva a girare per la stanza, mettendo in pericolo astanti e suppellettili.



Quella mattina di tanti anni fa la scena che si presentava ai nostri occhi increduli fu proprio questa. La lavatrice, avviata dopo tante incertezze sul reale funzionamento, aveva preso a stantuffare spruzzando acqua saponata da tutte le parti, perché il coperchio non era stato chiuso come si sarebbe dovuto. Il pavimento del magazzino era più scivoloso di una pista di ghiaccio. La zia rideva per non piangere. Lo zio cercava di impartire direttive risolutive, che non mettessero a repentaglio l’accettazione, in famiglia, del nuovo arrivo tecnologico. Una scena simile, diversi anni dopo, l’avrei vista in un cartone animato del primo Disney: protagonista una lavatrice che, al culmine del funzionamento, si animava sommergendo di schiuma tutta la casa. Versione tragicomica, neanche troppo distante da quel risveglio mantovano.

Superato lo shock del primo impatto, la zia fece presto amicizia con quell’arnese. D’altra parte, fin dalla prima comparsa sul mercato i produttori di lavatrici, prima in America e poi nel resto del mondo, avevano puntato sul miglioramento della vita e delle abitudini delle donne. Da noi la prima lavatrice Made in Italy arrivò nel 1946, l’anno in cui hanno avuto finalmente diritto al voto. Certo, l’emancipazione dalla fatica non fu totale, poiché comunque la donna non si liberò dalla schiavitù delle incombenze domestiche. Tuttavia, è vero che la lavatrice contribuì ad alleviarle almeno in parte dalla fatica. La data precisa in cui la lavatrice fu presentata al grande pubblico fu il 12 settembre 1946, alla Fiera Campionaria di Milano, tre anni dopo la fine della guerra.


(Dal sito Dannata Vintage)


Il modello che esordì a casa dei miei zii è probabilmente la Candy 50, realizzata dalle Officine meccaniche Eden Fumagalli, un’azienda di Monza con una esperienza decennale nella meccanica leggera. Un saggio pubblicato dalla rivista Il Mulino racconta che la famiglia Fumagalli “nella seconda metà degli anni Sessanta porterà il settore italiano degli elettrodomestici ai vertici della produzione europea e mondiale”. Il prototipo della Candy pare sia stato “progettato da Eden (Fumagalli, ndr.) e da suo figlio Niso, disegnatore tecnico, sulla scorta degli schizzi realizzati dal secondogenito Enzo, prigioniero di guerra negli Stati Uniti, impressionato dagli avanzati modelli americani, nonché affascinato complessivamente dalla cultura d’oltreoceano. A ispirare lo stesso nome della prima lavatrice sarebbe stata la nota canzone del pianista e cantante jazz, Nat King Cole”.

Non so se sia vero, ma mi piace pensare che anche questo particolare abbia influenzato, nella scelta della lavatrice, lo zio Mimi, perito industriale e pianista per diletto.

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