La strada panoramica dalle Lofoten continua verso nord con ponti costruiti a forma di dorso di mulo

ed ecco spuntare le isole Vesterålen, le cugine meno famose delle Lofoten.


Sono diverse nell’ambiente e nelle attività. Si pratica l’allevamento, la pesca e l’agricoltura nei campi, ai piedi di cime più dolci. Le balle di fieno raccolte dai contadini sono avvolte in teli di plastica bianchi per non essere bagnate dalla pioggia. Sono chiamate “la carta igienica dei troll.”


Nonostante la natura remota di queste zone, si sviluppano forti legami comunitari, con un'atmosfera di solidarietà e supporto reciproco. Alcuni gestiscono attività commerciali legate all'accoglienza dei turisti, offrendo alloggio, ristorazione e servizi di escursioni.
Si vedono distese di boschi di conifere. Il verde è il colore dominante, ravvivato dal rosa intenso della fioritura dell’Epilobium fleischeri, che cresce spontaneamente formando grosse macchie di colore. Sembra di essere in una favola, poi però i porti nei centri principali e il passaggio dei traghetti riportano alla realtà.

Lungo la strada, non solo in questo tratto ma per tutti i 2.500 chilometri percorsi, non ci sono cartelloni pubblicitari. Si vedono i segnali stradali per i limiti di velocità, 50/70/100 km/h, e solo tre cartelli stradali con consigli per la guida. Il primo è il classico segnale triangolare di pericolo per attraversamento animali.
Noi li abbiamo per i cervi e per le mucche, i norvegesi per gli alci.
Il secondo e il terzo sono cartelloni particolari, abbastanza grandi, rettangolari, disegnati in bianco e nero. Uno è un richiamo all’attenzione per la presenza di ciclisti in strada; in Norvegia ce ne sono ovunque, nei grossi centri e nei paesi sperduti, in estate e in inverno e anche nei tunnel dove sono presenti piste ciclabili. L’altro è il viso di una ragazza, metà definita e l’altra sfumata, un invito a fermarsi in caso di stanchezza.

Il clima è gradevole, si sta bene, anzi è molto più caldo di quanto mi aspettassi, per il miracolo geotermico che proviene dal Messico con l’aggiunta del riscaldamento climatico.
Hadseløya è il punto di collegamento tra i due arcipelaghi, e Stokmarknes merita una sosta. I segni che definiscono la cittadina sono il porto e la statua a Richard With, il pioniere dei battelli postali Hurtigruten, letteralmente linea veloce, una sorta di treno marino e una vera e propria istituzione itinerante.


Il battello, dal 1893, ha consentito ai norvegesi di comunicare, prima per le missive e poi per le persone, quando furono adibite le cabine per i passeggeri. C’è un Museo dedicato a ricostruire la storia.

Si attraversa il cuore delle Vesterålen fino a Harstad, il capoluogo. Alcune case hanno il tetto fatto di legno, scorza di betulla e terra. L’erba che cresce viene tagliata dai proprietari o mangiata dalle capre.
Sono solo l’orologio e la fame a suggerire il momento di fermarsi; se fosse per la luce, si potrebbe andare avanti all’infinito e gli occhi cercano il buio per riposare.

Con il viso rivolto all’esterno, appiccicata al finestrino, cerco di fissare nella mente l’ambiente che mi circonda. Sapevo che la Norvegia ha una natura meravigliosa, ma non immaginavo quanto. Nessuna fotografia riesce a riprodurre le sensazioni che questo tipo di natura è in grado di suscitare.
Un riassunto degli arcipelaghi artici si può avere percorrendo la strada panoramica E10 con diversi punti di sosta che permetteno di fotografare o di fare uno spuntino. Come in tutti paesi nordici si mangia in abbondanza al mattino e la sera.


Non è facile pronunciare le parole norvegesi o intuirne il significato, ma dopo un po' ci si abitua. Di certo il suffisso -øya sta per isola.
Se la lingua è una, il norvegese appunto, esistono due varianti ufficiali: il bokmål, usata dalla maggior parte della popolazione come tentativo di ‘norvegesizzazione’ del danese, non appena la Norvegia si liberò del loro dominio, e il nynorsk – neonorvegese, basata sull’antico norreno. E poi la lingua sami, un po' più a nord, dialetti e socioletti. È sufficiente escludere un dittongo dai sostantivi del bokmål per esprimere una vicinanza al danese, come fosse una inclinazione più conservatrice o un’appartenenza alle classi sociali più alte.

La sensazione costante, in Norvegia, è quella di un mondo in cui l'uomo è un intruso benignamente tollerato, e non un tracotante padrone di casa.
(2. continua)