Nell’immaginario collettivo l’Olanda è il paese delle biciclette, dei mulini a vento e dei canali. Ma al mio secondo breve tour nel paese che ha sottratto la terra al mare posso serenamente affermare che l’Olanda è anche il paese delle panchine. Perché ovunque, nelle grandi città come nei minuscoli centri, davanti all’ingresso delle case c’è sempre una panchina, o un paio di sedie con un tavolino, che i lungimiranti residenti utilizzano per intrattenersi a bere qualcosa, leggere, lavorare al computer, insomma stare quando il clima lo consente.

Insieme a finestre di ampie vetrate, dietro le quali c’è spesso un davanzale interno ingentilito da una pianta, un soprammobile o un gatto che sonnecchia, queste panchine dicono qualcosa della filosofia di vita degli olandesi, permeata secondo molti osservatori da quello spirito calvinista che indica nel lavoro la salvezza e nel riposo, anche esibito, il giusto premio.

Come che sia, e nonostante recenti statistiche dicano che attualmente in Olanda solo il 15% della popolazione si professa protestante, gli Olandesi sembrano un popolo che sa godersi la vita e che ricerca il bello anche nelle piccole cose.

La prima tappa del viaggio è stata Delft, elegante città dell’Olanda meridionale che nella luce brillante e tiepida di un pomeriggio di fine maggio si è presentata vivace e carica di storia. Qui infatti è nato ed è sepolto il maestro olandese Johannes Vermeer, che tutti conoscono anche per il ritratto de 'La ragazza col turbante' diventata 'La ragazza con l’orecchino di perla' grazie al fortunato romanzo (poi film) della scrittrice Tracy Chevalier.

Ma qui è stato assassinato ed è sepolto anche Guglielmo d’Orange, che guidò la guerra di indipendenza degli Olandesi dagli Spagnoli ottenendo nel 1648 il riconoscimento delle Sette Province Unite e di fatto la nascita dello stato olandese. Guglielmo, nonostante fosse detto il Taciturno, non le mandava a dire e, per far capire agli Spagnoli come la pensava, nel 1573 si convertì dal cattolicesimo a quel calvinismo che poi influenzerà nel commercio, nelle scienze e nelle arti il cosiddetto Secolo d’oro olandese.

Tra i canali su cui si specchiano le strette facciate degli edifici ogni tanto si apre una grande piazza come quella del Beestenmarkt (il mercato degli animali), oggi affollata di locali e tavolini, mentre allontanandosi di poco dal centro si trova anche un vecchio e restauratissimo mulino. La piazza di rappresentanza è naturalmente quella del Mercato (Grote Markt), che continua a tenersi ogni giovedì, e su cui si affaccia l’imponente torre della quattrocentesca Nieuwe Kerk e l’antico Municipio. 5

Il nuovo Stadhuis (municipio), non lontano, ha una modernissima hall che lo collega alla stazione ferroviaria. Proprio di fianco, un avveniristico edificio a specchi celebra la Blue Delft, la famosa ceramica blu di Delft che tra Sette e Ottocento era il vanto della città, arrivando a contare oltre trenta fabbriche produttrici.

Oggi che di fabbriche ne è rimasta solo una, pare che gli imprenditori locali si siano buttati sul gin, blu ovviamente.

Il giorno dopo piove e la temperatura è calata. È con il cielo grigio che ci accoglie L’Aia, che pur non essendo la capitale ufficiale dello stato (ruolo di Amsterdam) è sede del parlamento, del governo, del capo dello Stato e di tutte le ambasciate straniere presenti nel paese.

Dopo la gradevole e modernissima esperienza del Social Hub di Delft, una catena che si sta diffondendo in tutta Europa e che offre ospitalità anche sul lungo periodo a studenti e lavoratori, il B&B di Scheveningen, sobborgo marino di l’Aia, ci mostra un aspetto più modesto dell’ospitalità olandese, gestita in questo caso da un rude proprietario che dice di conoscere un po’ di italiano e invece storpia lo spagnolo. E così, per ripicca, la sua Villa Insulinde diventa per noi Villa Insulina. 9

Arrivati in centro con un comodo tram, troviamo l’atmosfera e la confusione della grande città, le strade pedonali che si alternano a quelle carrabili, folla, movimento e naturalmente tante biciclette. Il nucleo storico dell'Aia è costituito dal Binnenhof (corte interna) e dal Buitenhof (corte esterna), un insieme di edifici secenteschi oggi in ristrutturazione che accolgono parlamento e governo. In un girovagare un po’ confuso incontriamo la Porta della Prigione, oggi museo, edifici storici che si alternano ad altri modernissimi, grandi viali alberati e tanti spazi di verde con installazioni artistiche.

La città prensenta la sua migliore fisionomia quando, dopo essere impattati nel sold out del Museo Mauritshuis, facciamo una lunga e casuale chiacchiera con una giovane italiana di Pordenone, che vive all’Aia da più di dieci anni e insieme al suo compagno olandese sta per comprarsi casa. Con il tempo messo al bello, la visita allo straordinario Museo Escher, una lunga camminata per quartieri più periferici fino al Palazzo della Pace (sede dalla Corte Internazionale di Giustizia) e il ritorno verso il centro attraverso il trendissimo quartiere Zeeheldenkwartier, ricco di gallerie d’arte, ritrovi alternativi, botteghe artigianali e tanti begli edifici liberty, la nostra conoscenza della città può dirsi conclusa.

Salvo, l’indomani, di nuovo con il cielo coperto e tanto vento, fare due passi per Scheveningen, lo sbocco a mare dell’Aia, ricco di strutture ricettive. La più importante è il Kurhaus, un imponente stabilimento termale, albergo e sede di eventi e spettacoli, preceduto da una scultura in sabbia che ricorda che proprio qui nel 1964 si tenne un concerto dei Rolling Stones.

La spiaggia su cui il Kurhaus si affaccia insieme a molti altissimi edifici è larghissima, e nonostante i lavori in corso per la realizzazione di una strada e la fitta nebbia si capisce che a perdita d’occhio vi sono eleganti lidi e ogni genere di intrattenimento, compreso un centro Lego e un Acquario. Fare il bagno nel Mare del Nord non deve essere proprio il primo pensiero di chi viene a fare le vacanze da queste parti.

Nato come villaggio di pescatori, poi diventato importante porto commerciale al punto da essere una delle sei sedi della Compagnia Olandese delle Indie Orientali, oggi Enkhuizen è una ridente e attraente località che conserva un porto turistico di grandi dimensioni.
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Oltre il curatissimo centro storico, la cittadina si snoda su canali solcati da una miriade di piccoli ponti, molti dei quali mobili. Le case di mattoncini rossi, la torre Drommedaris (ex porta di accesso alla città) e il famoso museo all’aperto Zuiderzee che propone una ricostruzione dell’Olanda dei primi del ‘900, con fattorie, abitazioni, laboratori e figuranti in abiti tradizionali, completano l’offerta per il turista,

che potrà dirsi veramente soddisfatto solo dopo aver provato le deliziose aringhe locali, servite in un panino morbido e condite solo di una delicata cipolla. Da Vishandel van der Veen, ammesso che riusciate a ricordare il nome.

Se sull’autostrada da L’Aia a Enkhuizen ci era capitato di sfiorare le piste dell’aeroporto di Amsterdam Schiphol vivendo la strana esperienza di passare sotto un cavalcavia mentre un aereo ci transitava sopra, nel tragitto da Enkhuizen a Groninga sperimentiamo la strada N307, un nastro di asfalto che si snoda dritto per oltre 30 chilometri nel Mare del Nord avendo sempre mare da entrambi i lati. Si tratta in effetti di una diga realizzata negli anni '30 del Novecento, che oltre alla carrabile accoglie la pista ciclabile e un unico punto panoramico. L’ennesima, impressionante prova di quanto gli Olandesi siano riusciti a dominare il mare.

Giusto per continuare a tenere conto delle sistemazioni alberghiere, che in Olanda risultano estremamente care, a Groninga, estrema propaggine nord del paese, abbiamo dormito all’Happy Traveller, un hotel molto alternativo (e centralissimo), tutto ispirato nell’arredamento al mondo del viaggio e dove però ogni camera era dotata di un asse e di un ferro da stiro che, si sa, sono il primo pensiero del viaggiatore contemporaneo.

L’ultima tappa è stata a Giethoorn, un villaggio immerso in un parco naturale dove gli scarsi 3000 abitanti possono muoversi solo a piedi, in bicicletta e in barca. Solcato da 176 ponticelli, alcuni dei quali interdetti al pubblico perché di esclusivo accesso a case private,

il paesino, che si caratterizza per avere le case con il tetto in paglia, ha conosciuto negli ultimissimi anni un boom turistico e nei giorni festivi è preso d’assalto soprattutto da gruppi di giovani donne giapponesi e da famigliole musulmane, tutti impegnati a farsi selfie e a salutare gli altri passanti dalle barche.

Sulla via del ritorno c’è stata una velocissima sosta a Utrecht. Antico centro religioso sia per i cattolici che per i protestanti, importante sede universitaria, polo industriale, la città si sviluppa su una pianta molto irregolare e i suoi due principali canali, Oude Gracht e Nieuwe Gracht, l’attraversano tutta, presentando la particolarità di trovarsi a un livello assai più basso di quello stradale; le strade che li costeggiano riposano su potenti archivolti e sotto di questi le vecchie abitazioni sono ormai quasi tutte destinate a locali di ristorazione e intrattenimento.

Non lontano dalla piazza principale, dove troneggia l’imponente campanile della cattedrale di San Martino nel cui chiostro si avvicendano per le foto un gruppo di cosplay e una coppia di futuri sposi, vincendo tutti i pregiudizi che ci hanno finora guidate nella scelta del cibo finiamo per fare la sosta pranzo da Nonna Rosa, un takeaway di focacce e schiacciate infarcite di prodotti rigorosamente italiani, dalla finocchiona alla porchetta, dallo stracchino al parmigiano. Nonostante la capillare offerta di pizzerie e ristoranti italiani trovata ovunque, fino a quel momento non avevamo mai ceduto, e sì che la cucina olandese non ha molta attrattiva. Ma la focaccia di Nonna Rosa si è rivelata buonissima nell’impasto ed eccellente per i prodotti. 12 euro ben pagati, naturalmente “no cash, only cards”.

A bilancio consuntivo di questa seconda volta in Olanda a distanza di un anno, confermo la precedente impressione: l’Olanda sembra un paese che funziona e i suoi abitanti, se non felici, sereni.
Dei Dutch, degli olandesi, si dice che siano differenti da tutti gli altri popoli europei per la loro mentalità open minded, determinata secondo alcuni dal fatto che al suo nascere il calvinismo spinse i fedeli a leggere e interpretare le sacre scritture da sé, senza aspettare l’interpretazione del clero (con ciò favorendo anche il processo di alfabetizzazione della popolazione).
Un altro punto di forza degli olandesi è il cosiddetto polder model, un’espressione che indica la capacità dei singoli nei processi decisionali di accettare il compromesso pur di raggiungere un importante obiettivo comune. E da dove viene questo atteggiamento? Dall’antica pratica di strappare la terra al mare, di conquistare nelle zone costiere piccoli appezzamenti di terra (i polder, appunto) da proteggere con le dighe e mettere a coltivazione. Un processo che ha costretto gli olandesi a lavorare insieme, a cooperare appunto per il bene comune.
La conquista del primo polder risale addirittura al XIII secolo con la bonifica del lago di Beemster, a nord di Amsterdam, portata a termine qualche secolo dopo. Oggi Beemster è considerato il più antico polder olandese e, in qualità di “capolavoro del genio creativo umano”, è stato inserito dall’Unesco nel 1999 nella lista dei siti patrimonio mondiale dell’umanità. 23

Magari ci vado la prossima volta.