COLORI
E RELIGIONI
IL FASCINO
DI ISTANBUL


LEGGI LA PRIMA PUNTATA

La guida che ci accompagna ovunque, Tarkan,  conosce bene i luoghi di culto delle religioni monoteiste. Per conto del Vaticano ha guidato numerose comitive di pellegrini cattolici alla scoperta di chiese e moschee e sinagoghe. Tra i pellegrini che ricorda con orgoglio cita il cardinale Martini. Tarkan è nato e abita da sempre a Istanbul , la conosce a fondo, e proviene da una famiglia borghese. Parla bene italiano perché ha studiato al liceo dei Salesiani di Istanbul. Suo nonno è stato tra i fondatori del locale e prestigioso Liceo francese, a numero chiusissimo al punto di non ammettere tra gli allievi neppure il nipote di uno dei fondatori : sarebbe stato in sovrannumero. Tra i suoi antenati annovera visir e pacha, titoli - spiega - che si acquisivano più per cultura che per blasone. Si definisce un credente ma non aderisce ad alcuna religione codificata se non a quella di chi ha fede in Dio. Non si professa musulmano, cristiano, ebreo, ma nemmeno si riconosce come ateo.


(Tarkan, la guida)


Appena lo vedo, ho la sensazione di conoscerlo da sempre. Sembra sbucato da un film di Ozpetek o da un romanzo di Pamuk, oppure da uno di quei dipinti ottocenteschi che ritraggono gli ottomani in abiti tradizionali, col turbante e i pantaloni a sbuffo. Se mi chiedessero come immagino un turco di Istanbul, descriverei uno come Tarkan, fisicamente diverso dai bellissimi attori delle serie turche oggi di grande successo anche in Italia, diverso dai giovani con occhi e capelli nerissimi che si incontrano per strada, diverso dai curdi in genere molto magri e con lo sguardo acceso che affollano le periferie. Tarkan veste all’europea e sottolinea con decisione che i turchi non sono arabi ma provengono dall’Asia centrale e anticamente aderivano a tradizioni sciamaniche.


(Un prete ortodosso)


Percepisce una modesta pensione mensile che, afferma, gli basta appena per pagare l’assicurazione sanitaria necessaria per accedere a servizi e cure mediche di qualità, che a Istanbul non mancano e alimentano il turismo degli europei che vanno a sottoporsi al trapianto di capelli, a interventi odontoiatrici e di chirurgia estetica. Abita da solo in un piccolo appartamento tra i grattacieli del centro. Ama cucinare, soprattutto le verdure e racconta che l’anno scorso, per la prima volta da quando è venuto al mondo, il termometro in agosto ha toccato i 46 gradi. “Di solito in estate non andiamo oltre i 32, 33… Dato il caldo insopportabile, l’anno scorso avevamo tutti l’aria condizionata accesa al massimo e a un certo punto l’elettricità è saltata dappertutto. Sono rimasto 56 ore senza aria condizionata, credevo di morire o di uscire di testa… mi sono fatto ricoverare in un ospedale (privato, ndr) per avere un po’ di fresco”.


(La moschea blu)


Il cambiamento climatico tocca anche Istanbul. Non fa particolarmente freddo nei giorni della visita, nonostante in questo periodo di solito nevichi, tanto che il Comune ha già fatto posizionare nelle strade più in pendenza grandi cassette chiuse con dentro sacchi di sale da spargere sull’asfalto in caso di neve o di ghiaccio. Soltanto sul Bosforo fa piuttosto freddo, perché il braccio di mare che separa i due continenti e divide la città è quasi sempre sferzato dal vento gelido del Mar Nero. Nonostante il vento, per me e quasi tutti gli altri è irrinunciabile la minicrociera che sulla motobarca Cemalkaptan2 permette di vedere, navigandoci sotto, due dei tre ponti moderni (il transito sui ponti e nei tunnel sottomarini è a pagamento) che collegano la città e di vedere più da vicino, sia pure dal mare, la sponda asiatica. Lungo quella europea sorgono il sontuoso palazzo di Dolmabahce, costruito a metà dell’Ottocento, dove i sultani si traferirono lasciando la reggia del Topkapi, il liceo navale statale, alcune costosissime università private, alcuni quartieri residenziali circondati dal verde con piccoli yacht attraccati ai moli sottostanti, l’isolotto concesso al Club del Galatasaray e la fortezza che fu l’ultimo presidio occidentale contro il dominio degli Ottomani.


(La moschea tutta maioliche di Rustem Pacha, progettata dall'architetto Sinan)


A bordo, un ragazzo spuntato dal nulla serve tè caldo ai passeggeri per contrastare il freddo causato dal vento. Quando il battello inverte la rotta per tornare indietro, costeggiamo la sponda asiatica. È meno abitata di quella europea. Alcune case d’epoca costruite sulla riva sono ancora fatte di legno, costano milioni di euro e sono uniche e riconoscibili per il colore rosso scuro che le contraddistingue. Spesso, nel retro sono circondate dal verde. Erano per lo più case di villeggiatura dove gli istanbulioti benestanti trascorrevano i mesi estivi. Tarkan racconta che da bambino anche lui passava l’estate oltre il Bosforo , nella parte asiatica della città. Ma non sulla riva, e non in una villa di legno; la sua famiglia aveva un alloggio più modesto nell’interno. Spiccano sulla sponda orientale il lunghissimo edificio bianco con due torrioni dell’Accademia militare e un’altra residenza del sultano, ora in restauro. Dal battello non si vedono i quartieri più interni, abitati da persone di ogni ceto sociale. Nella nuova guida di Istanbul pubblicata dal Touring Club con i percorsi d’autore di Marco Ansaldo, amico personale del premio Nobel turco Ohran Pamuk, si consiglia di visitare nella parte asiatica il vivace quartiere di Kuzguncuch che pullula di librerie antiquarie, negozietti artigianali, bar coi tavolini fuori e dove si mangia un ottimo kebab. La visita di Kuzguncuhi è stata suggerita ad Ansaldo dal regista Ferzan Ozpetek, nativo di Istanbul e innamorato della sua città d’origine, così come lo è Ohran Pamuk. Io visiterò Kuzguncuh quando tornerò a Istanbul. Se nel frattempo non sarà stato snaturato dal turismo di massa.


(In metropolitana verso piazza Taksim)


Per ora mi accontento di prendere la metropolitana che dalla stazione di Vezneciler in Sultanahmet mi porta in piazza Taksim. È pulita, direi quasi asettica, niente scritte o graffiti con lo spray. Non ci sono cartacce a terra o cattivi odori nell’aria, le scale mobili funzionano tutte e scendono in profondità, i passeggeri sono in uguale misura uomini e donne, giovani e meno giovani. Un ragazzo che indossa jeans e t-shirt e potrebbe essere cittadino di una qualsiasi nazione occidentale suona la chitarra e canta in turco all’interno della carrozza della metro sulla quale sono salita. Finita la canzone, raccoglie appalusi e oboli da tutti i passeggeri . Quando scendo, in un tunnel della metro, un altro ragazzo suona la tastiera e canta una melodia più orientaleggiante. Tre giovani salgono sull’ascensore che trasporta me e alcune ragazze di Istanbul in superficie, all’uscita. Hanno un’aria da bulli di periferia, ma quando le porte dell’ascensore si aprono i tre scendono e si allontanano senza aver rapinato o infastidito alcuna donna. La mia si è rivelata una paura ingiustificata. Attraverso la grande piazza Taksim da sola, senza difficoltà.


(Gli sposi alla moschea di Solimano)


Invece provo solo incanto e meraviglia nella moschea di Solimano con la sua vista panoramica sul Bosforo e la sua cupola enorme, e davanti alle antiche maioliche azzurre e blu, di cui è interamente rivestita, della piccola moschea di Rustem Pacha. Progettate e costruite entrambe dall’architetto Sinan, sono capolavori dell’arte islamica del 1600, epoca d’oro dell’impero Ottomano. Nel giardino adiacente la prima, la più importante, si trova anche la tomba di Solimano il Magnifico. In mezzo al verde noto donne turche con il caftano che le copre fino ai piedi (fuori ogni donna veste come vuole e spesso le ragazze più giovani mettono jeans e piumini ma portano in testa l’hijab) e, dentro la moschea, una coppia di sposi indonesiani già uniti in matrimonio altrove - l’Islam non celebra nozze in moschea - ma vestiti da cerimonia per le fotografie di rito. Lei indossa un lungo abito bianco di pizzo con strascico, molto coprente e accollato come prescrivono i costumi musulmani, mentre lui è in completo beige, cravatta e camicia bianca. Entrambi non calzano scarpe come d’obbligo nelle moschee che hanno i pavimenti coperti da tappeti o moquette. Evidentemente gli sposi sono turisti dell’Estremo Oriente che hanno scelto la celebre moschea per le fotografie del loro album dei ricordi.


(Al mercato delle spezie)


Visitiamo il Mercato delle spezie , conosciuto dai residenti come “mercato egiziano”, dove i negozi per turisti con cumuli di spezie coloratissime e souvenir di ogni tipo si alternano a botteghe del caffè, affollate di compratori locali e negozi che vendono unicamente molte varietà di ottimo tè. Fuori dalle antiche volte decorate del mercato, le viuzze laterali pullulano di vetrine sfavillanti di gioielli in oro e argento. Ai piani superiori non di rado le gioiellerie celano la vendita di accessori falsificati di brand internazionali. Questa zona di Istanbul sembra la nuova capitale del commercio di beni di lusso contraffatti.


(In coda per comprare il caffè)


L’ultima sera ceniamo in un ristorante di pesce a Pera. Tarkan assicura che non si tratta di un locale per turisti e che il posto è frequentato solo da turchi. Si chiama Zeytinli (L’olivo) e ci propone buoni antipasti a base di ceci, melanzane, pomodori secchi , e poi pesce al forno con contorno di purè di fave e infine, per dessert, un dolce casalingo differente dai soliti, ancorché ottimi, baklava e lokum: è una cupoletta di semolino cotto nel latte al cui interno si nascondono pezzi di frutta secca. Viene servito con una piccola pallina di gelato. Per accompagnare il cibo si possono bere acqua, the, birra, vino.


(Festeggiamenti turchi al ristorante di pesce)


Il ristorante è davvero frequentato da turchi e, a parte il nostro gruppo italiano, il locale è interamente occupato da tre tavolate in festa. Sembra il set di una fiction. Ma è realtà. Sembra si festeggi qualcosa o qualcuno. Gli invitati alla festa sono in prevalenza donne vestite e truccate all’occidentale. Una bella coppia, lei con lunghi capelli color miele e lui con una chioma nerissima, dapprima sembra intimidita dalla presenza e dagli sguardi curiosi dei turisti. Poi anche la bella ragazza dai capelli color miele si lascia andare e segue il ritmo travolgente della canzone cantata e suonata dal vivo da due musicisti in sala. Uno di loro pizzica uno strumento a corda che tiene appoggiato sulle ginocchia come fosse una tastiera, l’altro batte il ritmo su un tamburello gigante. Le donne turche conoscono le parole della canzone, le cantano a voce alta e cominciano a danzare restando sedute e muovendo sinuosamente le braccia e le mani. È una melodia tradizionale, parla d’amore, ripete “Quando mi chiamerai?”.


(2 - FINE)


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