TRADIZIONE
E MODERNITÀ
ISTANBUL
CITTÀ DIVISA

Visito Istanbul per la prima volta a un’età non più verde. Partecipo a un viaggio di gruppo, organizzato. Da giovane non avrei scelto la stessa formula, avrei programmato un tour “fai da te”, ma ora va bene così. Sono emozionata e contenta di vedere, sia pure da turista ordinario, una città immensa, dalla storia millenaria, divisa tra Europa e Asia, unica al mondo, affacciata sul Corno d’oro, sul Bosforo e, nella parte sudorientale, anche sul mare di Marmara.


(Il nuovo aeroporto internazionale di Istanbul)


Parto con un volo della Turkish Airlines, sulla rotta Milano-Malpensa-Istanbul. Arrivo nel nuovo aeroporto internazionale (ce n’è un altro, più vecchio ma ancora in funzione) della megalopoli turca e l’autista che mi porta nell’hotel dove incontrerò il mio gruppo mi spiega - a gesti perché non parla inglese - che saranno necessari circa 45 minuti per arrivare alla meta. La superstrada che porta in città è ampia, a più corsie in ogni senso di marcia, e il van sul quale sono salita come unica passeggera procede spedito. Ma in direzione opposta alla mia le auto sono quasi ferme in coda. Il traffico è intenso. Più tardi ne capirò il motivo: numerosi abitanti di Istanbul stanno tornando a casa, dal centro alle periferie, dopo aver assistito alla partita di calcio del Besiktas , terza squadra di calcio di Istanbul oltre al Galatasaray e al Fenerbahce. Perfino il Besiktas, la squadra col minor numero di tifosi fra le tre, ha uno stadio privato tutto suo. A riprova del fatto che il calcio a Istanbul muove passioni profonde e interessi economici importanti.


(Agia Sofia, l'ex chiesa di Santa Sofia che Erdogan ha traformato in moschea)



(Installazione artistica nella Cisterna basilica)


Mi rendo conto di essere in Turchia quando osservo il tettuccio interno del van nero sul quale mi trovo. È rivestito da un tessuto trapuntato e punteggiato di lucine. Al led, immagino. Sembra un cielo stellato. Non credo ne troverei uno simile a Roma o a Milano.


(La moschea di Solimano)



(La Torre di Galata)


Il mio viaggio dura 5 giorni, compresi i voli di andata e ritorno, e promette le visite ai siti più famosi e classici della città: Santa Sofia, per quasi mille anni chiesa cristiana, oggi moschea dove i mosaici bizantini sono stati quasi tutti coperti da un intonaco giallo con decorazioni floreali, e dove gli stessi musulmani non pregano perché la considerano un museo più che un luogo di culto; la Moschea blu con il suo splendore seicentesco e i suoi sei minareti; l’ex Ippodromo che ha un’aria viennese fine secolo; la stupefacente Cisterna basilica dove ancora negli anni ’60 del ‘900 i visitatori si spostavano tra le antiche colonne sotterranee a bordo di piccole barche a remi, e dove l’acqua raggiungeva almeno un paio di metri di profondità (attualmente arriva a una ventina di centimetri che i turisti oltrepassano camminando su passerelle di ferro); l’immensa corte del Topkapi, residenza dei sultani per alcuni secoli con il suo harem, un luogo mitico nelle fantasie di molti; il Gran bazar oggi meta turistica per eccellenza, la torre e il ponte di Galata, il Mercato delle spezie che i vecchi di Istanbul chiamano ancora “il mercato egiziano”, la Moschea e la tomba di Solimano, capolavori dell’architetto seicentesco Sinan, i pittoreschi quartieri di Fener e Balat, e la minicrociera sul Bosforo per godere, sia pure dal battello, dei quartieri asiatici della metropoli.


(Uno scorcio di piazza Taksim)


Tutta la parte monumentale e più antica si trova sulla sponda europea di Istanbul, compresa la celebre piazza Taksim, che si apre oltre il ponte di Galata, al di là del Corno d’Oro. Nel 2013 Taksim fu teatro delle proteste contro Erdogan per il salvataggio degli alberi di Gezi park. Erdogan e la municipalità progettavano di costruire un grande centro commerciale sull’area. Il progetto scatenò la protesta collettiva, principalmente giovanile, che presto si trasformò in rivendicazione di una maggiore democrazia. Gli alberi di Gezi Park sono ancora al loro posto, il centro commerciale non è stato costruito ma Erdogan è stato rieletto ed è oggi un leader mondiale influente, forse non più intenzionato a portare la Turchia nell’Unione europea ma certamente a farne un paese sempre più strategico tra Occidente e Oriente. Piazza Taksim probabilmente ha cambiato pelle rispetto a dodici anni fa: ai miei occhi sembra un enorme luogo di transito pedonale e nulla più; pulitissimo, dove campeggiano una grande moschea, tante bandiere turche, un ritratto fotografico di Erdogan e, sul fondo verso Nord, una porta fittizia con all’apice un ritratto di Ataturk. La finta porta immette nella città vera ed è vicina alla stazione della metropolitana.


(Istiklal Caddesi di sera)


Dall’altro lato della piazza, verso Sud, inizia Istiklal Caddesi, via centrale ed elegante, con un’aria fin de siècle. È costellata di bei palazzi alti, alcuni in stile art déco, restaurati o in fase di restauro, ed è stata pedonalizzata (ci passano solo i tram d’epoca ancora funzionanti e riverniciati di fresco). La circondano alberghi a quattro e cinque stelle. Percorrendo Istiklal Caddesi verso il mare si arriva direttamente al ponte di Galata che oltrepassa il Corno d’Oro e porta a Sultanahmet nella zona di Santa Sofia, Moschea Blu, Cisterna basilica, ex Ippodromo, Topkapi … l’area monumentale descritta da decine e decine di guide turistiche. In fondo a sinistra, scendendo, spunta l’antica Torre di Galata, che nei genovesi suscita ancora una certa emozione. Anche perché a Genova tuttora esiste una via Galata, nel reticolo di vie dedicate agli ex domini della Repubblica.





La strada del passeggio è pulita, non si vedono senzatetto, per terra ogni tanto spicca un mucchietto di croccantini lasciato per i gatti randagi, amatissimi a Istanbul, detta anche la “città dei gatti”. Ed è vero, i mici sono ovunque, sono rispettati e appartengono a tutti e a nessuno. Il Comune li censisce e applica loro dei microchip. C’è un gatto che dorme beato nella vetrina di una profumeria alla moda e in un bar della catena europea “Caffè Nero” un grosso micio rosso è acciambellato su una poltrona arancione. Nessun cliente del locale si sognerebbe mai di farlo spostare per sedersi al suo posto, è lui il vero re del luogo.


(Pescatori. Sullo sfondo il quartiere monumentale di Sultanahmet)


Prima del ponte di Galata, chioschi e negozietti di frutta propongono a buon prezzo il succo spremuto di melograni freschi e, a sera, spuntano banchetti volanti di venditori di cozze da consumare sul posto. La città è disseminata di altri carretti un po’ più grandi che vendono pannocchie di mais bollite e grigliate e caldarroste gigantesche. “Sono castagne cinesi” - avverte il nostro accompagnatore - “fate come volete, ma se le mangiate avrete problemi di intestino….” . Sul ponte di Galata sono posizionati decine di pescatori con lunghe canne. Pescano un pesce azzurro locale, una specie di sardina. Aspettano con pazienza per ore, incuranti del via vai di battelli che transitano sotto il ponte per risalire il Corno d’oro o per raggiungere il Bosforo, oppure che attraccano sulle banchine per caricare e scaricare migliaia di passeggeri ogni giorno. Con la stessa indifferenza i pescatori ignorano i turisti, europei, orientali o arabi che siano, e le donne coperte fino ai piedi da lunghi caftani neri che scendono a frotte dai pullman turistici.


(I traghetti dal ponte di Galata)


Su Istiklal si affacciano le due chiese cattoliche di Sant’Antonio e Santa Maria dove ogni giorno si celebrano messe in più lingue, non solo in turco e in latino ma perfino in coreano. Davanti alla facciata di Sant’Antonio, rientrante dalla strada, è stata collocata una statua di Papa Giovanni XXIII, papa Roncalli, che fu nunzio apostolico a Costantinopoli.


(La statua di Giovanni XXIII)



(Il quartiere di Pera)


Scendendo da Taksim, sul lato destro di Istiklal, si entra nell’antico quartiere di Pera dove nacquero le prime banche turche a opera di facoltose famiglie ebree e dove sorge le sinagoga più importante della città. Gli ebrei più poveri abitavano a Balat, un quartiere piuttosto distante da Pera, dove oggi gli istanbulioti vanno a fare colazione il sabato mattina dopo le 11. Molti ebrei che un tempo risiedevano a Balat sono emigrati in Israele. La zona è un intreccio di vicoli e casette colorate, molte restaurate o, benché cadenti, dipinte a tinte forti per invogliare potenziali compratori. I negozi sopravvissuti alla globalizzazione a Balat hanno prezzi buoni. I turchi di Istanbul ci vanno per fare la spesa e trovare articoli difficili da reperire altrove, ad esempio le caffettiere tradizionali in alluminio.


(Un ferramenta di Balat)


Adiacente al quartiere ebreo, tanto che quasi non ci si accorge del passaggio dall’uno all’altro, si estende Fener, il quartiere greco. La tipologia edilizia è simile a quella di Balat: i colori delle case, spesso di legno, sono vivaci anche se lievemente meno sgargianti. La comunità greca, un tempo numerosa e ben inserita nella vita di Istanbul, ha mantenuto l’amicizia col popolo turco ma è tornata in massa in Grecia, soprattutto a Salonicco. Tuttavia gli scambi commerciali tra i due popoli sono tuttora intensi.


(La chiesa di ferro degli ortodossi bulgari)


Sul confine di Fener spicca la chiesa celestina degli ortodossi bulgari, tutta realizzata in ferro. Un vero gioiello di fine Ottocento. È un’opera “smontabile”: la si potrebbe scomporre e ricostruire altrove. Gli ortodossi bulgari la fecero forgiare e rifinire a Vienna , trasportandola smontata e infine montandola a Istanbul, dove volevano avere un luogo di culto tutto per loro. Ma è nel cuore di Fener che sorge la chiesa principale dei cristiani greco-ortodossi , sede del patriarcato. E’ una chiesa meno sfavillante rispetto a quella bulgara, ma ricca di decorazioni e di icone dorate, dove è possibile e facile assistere a complesse liturgie in greco antico e ascoltare litanie cantate da alcuni preti ortodossi.


(1 - continua)


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