Il fatto che il neoeletto Presidente Trump abbia modi un po' bruschi e, a volte, esuberanti non deve deviare l’attenzione su come venga detta una cosa rispetto a cosa viene detto. Trump è lontano dalla diplomazia in stile europeo tanto quanto lo è il suo amico Musk. Non ancora (ufficialmente) insediato, sta scoperchiando una serie di pentole. Un po' per vedere ciò che vi bolle dentro, un po' per farlo vedere ai suoi elettori ma soprattutto per definire che è arrivato il momento della resa dei conti in cui ognuno deve decidere da che parte stare. Il metodo che segue, una delle tecniche di negoziazione, è quello di mettere subdolamente la controparte in una posizione tale da vedersi attribuire la responsabilità di ogni decisione avversa. Lo strumento utilizzato sono i dazi; il ragionamento è: “se non fai questo, applicheremo XX% di dazio sui tuoi prodotti.” Non è più complicato di così. La complicazione sta nel numero di pentole e nel fatto che molte pentole sono collegate tra di loro, per cui ciò che bolle in una è subordinata a ciò che bolle in un’altra.
Prendiamo la pentola “Canale di Panama”, già affrontata su foglieviaggi da Massimo Cavallini e Giorgio Oldrini La questione, come già chiarito, non ha a che fare con mire espansionistiche in stile imperialistico che il verbo “riprendere” implica. Trump non ha alcuna intenzione di riprendersi il canale. In realtà intende riprendersi la sfera di influenza che gli USA hanno sempre esercitato in Sud America e che hanno poi abbandonato da anni. Trump parla a Panama ma guarda alla Cina. Parla di Panama ma intende Perù, Cile, Brasile, i paesi che affacciano sul Mar dei Caraibi, Nicaragua.
Cosa c’è in questa pentola? Il canale di Panama, come quello di Suez, è strategico per il commercio marittimo internazionale. Fu costruito dagli Stati Uniti e ultimato nel 1914. Dal 1999 la sua amministrazione è passata nelle mani di Panama. Le tariffe di passaggio incassate dal paese ammontano a circa 5 miliardi di dollari e rappresentano circa il 4% del PIL nazionale. Attraverso il canale passa poco meno del 6% del commercio mondiale. Le merci che vi passano sono principalmente acciaio, minerali, cereali, petrolio e altri carburanti, prodotti chimici. Il 40% circa del traffico è degli USA, cui appartiene più o meno il 75% delle tonnellate di merce che vi transitano.

Segue la Cina. Il canale è stato di recente ampliato. In occasione della cerimonia di inaugurazione nel 2016, il primo passaggio fu concesso a una mega portacontainer della cinese COSCO, una delle più grandi (se non la più grande) società di trasporti marittimi di proprietà della Repubblica Popolare Cinese. L’anno dopo, Panama interruppe i rapporti diplomatici con Taiwan riconoscendo ufficialmente la Repubblica Popolare Cinese, che da allora ha considerato Panama un importante alleato per le proprie politiche in Sud America. Una zona di libero scambio (Free Trade Zone – FTZ) è una zona, quasi sempre in prossimità di grandi porti o aeroporti, in cui, in base ad accordi bilaterali, sono possibili scambi di merci esenti da dazi, quote o altre forme di tasse. In linea teorica, servono per consentire ai paesi attraverso cui transitano le merci di trarre beneficio dai commerci. La più grande FTZ è Hong Kong. La seconda più grande si trova a Panama, nella regione di Colòn, dove il volume di affari annuo delle importazioni supera i 16 miliardi di dollari, di cui 1,5 miliardi dalla Cina. La quale ha annunciato la costruzione di una struttura portuale per container da 900 milioni di dollari a Colòn che non solo potrà gestire lo stoccaggio di gas liquido (GPL) ma potrà ospitare navi di grandi dimensioni “Neopanamax”, ovvero le più grandi che possano transitare attraverso il canale.

A questo si aggiunge l’interesse espresso dalla Cina per la costruzione di una rete ferroviaria tra la capitale e la regione di Chiriqui, il raddoppio dei collegamenti aerei con Pechino ed infine il consolidamento dei rapporti finanziari trentennali tra i due paesi. Tutto ciò dovrebbe anche soddisfare gli interessi dei 135.000 cinesi già residenti a Panama, che rappresentano il 3,5% della popolazione totale panamense di 4 milioni. Ma la pentola Panama è accanto alla pentola “Porto di Chancay”, mega porto da 3,5 miliardi di dollari appena ultimato nella città di Chancay in Perù ad opera (sempre) della cinese COSCO. La posizione strategica del porto consentirà di accorciare i tempi di percorso tra il Sud America e la Cina dagli attuali 55-60 giorni di 23 giorni, abbattendo i costi di almeno il 20%. E dal Perù al Brasile il passo è breve. La “B” di BRICS sta per Brasile e la “C” per Cina.
Se l’Argentina non ha interesse ad aderire alla struttura BRICS, le dittature “anti- imperialiste” del Venezuela, Nicaragua e Cuba, sottoposte a sanzioni di ogni genere, hanno richiesto l’ammissione. Al summit BRICS, tenuto di recente in Russia, si sono visti anche i presidenti della Bolivia (ricca di miniere di litio) e del Messico. E la partecipazione di tanti paesi africani lascia intendere che quanto interessa il sud America non è diverso dalle realtà africane dove, da anni, la presenza cinese è piuttosto importante. Ecco, quindi, che il “riprendersi il canale di Panama” di Trump è un capitolo del volume Make America Great Again (MAGA) e, di fatto, mette tutti con le spalle al muro, costringendo chi non ha ancora preso una posizione netta a decidere da che parte stare. Chi starà dalla parte sbagliata si beccherà il suo dazio.