Il 2024 finisce con la dichiarazione di Donald Trump: “Ci riprenderemo il Canale di Panama e la Groenlandia”. E non si capisce se è uno scherzo di pessimo gusto o un proposito. Sulla Groenlandia non so molto, se non che tanti pensano che nel nome ci sia la prova che il cambiamento climatico è indipendente dall’operato dell’uomo. “Green land”, terra verde allude ad un passato lontano e senza ghiacci. Invece su Panama so di più. L’idea del canale venne per la prima volta a Simon Bolivar e si misurarono col progetto De Lesseps, quello del canale di Suez, e Eiffel. Un fallimento dopo l’altro con annesso scandalo che scosse la Terza Repubblica francese con accuse di corruzione a ministri, parlamentari, giornalisti. Fino al 1901, quando il governo colombiano, di cui Panama era una provincia, e quello statunitense sottoscrissero un accordo che i latinoamericani non ratificarono accusando gli Usa di avere cambiato le carte in tavola. Così che gli statunitensi provocarono una insurrezione che finì con la dichiarazione di indipendenza di Panama e con l’accordo per il canale che nel 1914 iniziò a funzionare.

Un percorso di 82 chilometri, costellato di chiuse (dato che è di 26 metri il dislivello da superare fra l’Oceano Pacifico l’Atlantico) dal quale oggi passa circa il 5% di tutto il traffico marittimo mondiale, più di 14 mila navi all’anno. Non c’era solo il fondamentale passaggio tra i due oceani in quella zona, ma una serie di strutture, tra cui una enorme caserma militare, la Escuela de las Americas, nella quale si sono formati più di 30 mila militari latinoamericani, golpisti e torturatori compresi. “Siamo l’unico Paese al mondo che ha una frontiera interna”. Con questo slogan Omar Torrijos, colonnello panamegno, condusse una lunga battaglia per conquistare al suo Paese anche la Zona del Canale. Era un personaggio controverso e in qualche modo degno di un romanzo latinoamericano. Divenne il vero leader di Panama, ma mai Presidente. Aveva messo fuori legge il Partito comunista, ma alcuni membri del Pc erano ministri, e aveva una spiccata propensione per i superalcolici. Era insieme furbo e ingenuo, capace di mobilitare i suoi concittadini e di trattare con l’Amministrazione Carter fino a sottoscrivere l’accordo che dalla fine del 1999 rendeva la Zona a Panama.

Nel 1976 era arrivato a Cuba in visita ufficiale e tutto il mondo americano seguì quella visita con attenzione estrema. I cubani sono molto formali, e quando Torrijos scese dall’aereo Fidel Castro lo accolse e lo accompagnò lungo la passatoia rossa per sfilare davanti al picchetto d’onore. Ma a metà del cammino il colonnello si fermò, incurante delle televisioni che lo ritraevano, prese dalla tasca posteriore dei pantaloni una fiaschetta e diede un generoso sorso. Poi riprese a camminare con Fidel davanti ai militari schierati. Un paio di giorni dopo, grande manifestazione in una piazza di Santiago di Cuba. Prima parla Fidel: “Noi siamo solidali con la richiesta di Panama di riavere la Zona, ma naturalmente non ci immischiamo”. Qualche anno prima Torrijos era in visita all’estero e ci fu un tentativo di colpo di stato contro di lui, organizzato dagli Stati Uniti. Tornò rapidamente, sconfisse i golpisti e riprese il potere e la sua battaglia per il Canale. In quella manifestazione a Santiago, dopo l’assicurazione di Castro di non ingerenza di Cuba, Torrijos disse: “Io sono molto riconoscente a Fidel, perché quando sono tornato e ho ripreso il potere ero così furibondo che stavo per invadere la Zona e punire gli Stati Uniti. Lui mi ha telefonato ‘Fermati, non fare il cretino. Se entri nel Canale ti fanno fuori un un’ora’. Mi sono fermato, grazie Fidel”. E Castro si concesse un sorriso di circostanza.

Il suo successo fu la firma dell’accordo con Carter che riconosceva il ritorno a Panama della Zona a partire dalla fine del 1999. A quella cerimonia Torrijos arrivò completamente ubriaco, barcollando vistosamente. Ma qualche anno dopo morì in uno strano incidente del suo aereo. I sospetti che fosse stato punito per la sua battaglia non sono mai stati fugati. C’è un'altra considerazione che mi ha molto colpito. Nel 1996 John Le Carrè pubblica il suo romanzo “Il sarto di Panama”. Una spia inglese ricatta il sarto dei vip locali perché mentre mette in prova gli abiti carpisca segreti sul Canale. Lui non riesce a sapere nulla, ma si inventa una trama oscura nella quale tra pretesi colpi di stato e corruzioni la Cina si sta appropriando della via d’acqua. Bene, una ventina di anni dopo due società commerciali cinesi governano le due entrate del Canale. Le Carrè ha imbroccato una soluzione a caso, o sapeva fin da allora cosa sarebbe successo? Peccato sia morto, altrimenti potremmo chiedergli di scrivere un romanzo su “Il Canale e il Presidente”.