Silvia Botti qualche giorno fa ha posto il problema “cosa fare dei sindaci dopo il secondo mandato”.
Certo, a me pare che il suo intervento sia soprattutto finalizzato ad attaccare Beppe Sala, tuttavia il tema esiste. Perché accettare di candidarsi a fare il sindaco di una città o di un paese? Dopo gli ultimi interventi del governo Draghi, che ha aumentato giustamente le retribuzioni degli amministratori, una parte del problema si è risolto. Ho fatto per 10 anni il sindaco di Sesto San Giovanni, la quinta città della Lombardia per numero di abitanti, con 700 dipendenti e progetti per una decina di miliardi di euro e prendevo 2850 euro al mese per 12 mesi, perché per sindaci e amministratori non c’è la tredicesima. I miei assessori che dovevano interloquire con Renzo Piano, con Rubbia o affrontare il drammatico tema degli alloggi per i senza casa o quello altrettanto inquietante dei minori abbandonati, non arrivavano a 1900 euro al mese. I consiglieri comunali poi avevano un rimborso spese per ogni seduta del Consiglio di 36 euro lorde.
In cambio un sindaco lavora senza interruzione. Dopo anni senza sabati o domeniche libere, mia moglie ed io decidemmo di prenderci un fine settimana nella nostra casa di montagna per festeggiare un anniversario di matrimonio. Arrivati in vista del paesello squillò il telefono: la vice questora che guidava il commissariato cittadino mi avvisava che un gruppo di latinoamericani aveva occupato una casa pubblica che era vuota perché dovevamo ristrutturala. Non siamo mai arrivati alla casa di montagna. Ma al fondo di questa crisi c’è stato un sottile lavoro di demagogia che ha svilito la democrazia e i suoi rappresentanti.
Un tempo se eri scelto per essere eletto sindaco il tuo partito, qualunque fosse, ti assicurava un percorso anche personale, tranne che tu non avessi ucciso il segretario. Se fai bene il tuo lavoro, poi avrai un futuro come consigliere regionale, forse addirittura parlamentare. Finiti i partiti questa prospettiva non c’è più. Uno vale uno, fare il sindaco è un impegno alla portata di tutti, non c’è bisogno di particolare competenza e la retribuzione è un furto alla comunità di cui vergognarsi. Così i sindaci della Città metropolitana come Beppe Sala, i Presidenti delle Province lo fanno gratuitamente, come volontariato istituzionale. Con gli svantaggi del volontariato e quelli dell’istituzionale.

Mi sono sempre chiesto perché se uno deve farsi operare di appendicite cerca un chirurgo esperto, e invece per affrontare i problemi complessi di una comunità basta uno o una qualsiasi. L’esperienza non guasta, ma soprattutto ci vuole una straordinaria disponibilità ai rapporti umani e allo studio dei problemi perché nessuno sa tutto. Un sindaco come me passava in pochi minuti da un incontro con Renzo Piano per discutere dell’area industriale dismessa più grande d’Europa all’affannosa ricerca di una soluzione per chi casa non ha, dal tema dell’inquinamento a chi taglia l’erba interstiziale lungo le strade della città, da dove trovare i soldi per le emergenze al dialogo con i cittadini. Non sapevo tutto, ma dovevo decidere, ovviamente insieme ad assessori e tecnici, quale fosse il miglior sistema di sottoservizi per l’immensa area Falck perché tra uno e l’altro ballavano 10 milioni di euro.
Poi, ciliegina finale, un giorno scopri, leggendo i giornali, che sei inquisito o addirittura condannato senza che nessuno ti abbia avvisato, senza essere stato interrogato. Perché per alcuni, compresi certi magistrati, se sei un amministratore e un politico sei colpevole a prescindere. Ci rimetti il sonno, metti in difficoltà la tua famiglia, paghi di tasca tua l’avvocato e non bastano i 2800 euro per l’onorario. Salvo magari essere archiviato, ma solo dopo 5 anni come è successo a me. Poi finisci di fare il sindaco e dopo 5 o 10 anni ti spiegano che puoi tornare tranquillamente al tuo precedente lavoro. Che nel frattempo è cambiato radicalmente e tu hai perso i passaggi, i tuoi ex colleghi ti guardano per sospetto: “Non è che torna per pretendere una posizione di riguardo alla quale miravo io?”
Fare il sindaco è un impegno affascinante se ti appassiona il rapporto con la tua città, con le persone, se ti piace cambiare in mezz’ora l’orizzonte del tuo impegno. Io, per esempio, l’ho fatto con grade piacere. Ma in questi anni sempre più spesso in Comuni minori non si è trovato nessun candidato, o uno solo. E nelle ultime elezioni comunali nelle tre più grandi città d’Italia, Roma, Milano, Napoli, la destra, che pure rappresenta almeno metà dell’elettorato, non è riuscita a presentare un candidato credibile. Sì, c’è un problema dei sindaci, ma in realtà è molto di più, è un serio problema della democrazia.