ALPINISMO 1573
UN INGEGNERE
SUL GRAN SASSO

La 'storia ufficiale' dell'alpinismo comincia l’8 agosto del 1786, con la prima ascensione del Monte Bianco da parte di Jacques Balmat e Michel Gabriel Paccard, entrambi di Chamonix. Con tutto il rispetto per Balmat e Paccard, due secoli prima della salita alla massima vetta d’Europa, nel cuore dell’Appennino comincia una storia più antica, con la prima ascensione documentata sulla vetta Occidentale di Corno Grande da parte del Capitano Francesco De Marchi. Era il 19 agosto 1573 (nel mondo alpinistico l’Appennino verrà rivalutato solo dopo la metà del secolo scorso).

Quest’anno si celebrano 450 anni da quella impresa. Da una lettura attenta della cronaca di De Marchi emerge una concezione moderna dell'alpinismo per spirito di conoscenza, ambizione e curiosità. Se oggi raggiungere una vetta sembra qualcosa di naturale, secoli fa rischiare la vita per scalare una montagna sarebbe stato considerato pura follia. Il 'resoconto' dell'impresa è articolato in 34 paragrafi, raccolti oggi in un opuscolo. La prefazione al testo, a cura di Alessandro Clementi (professore di Storia medioevale all’Università dell’Aquila, storico della città e appassionato di montagna), spiega con accuratezza le motivazioni e gli equivoci nell’attribuzione della primogenitura dell’ascensione sul Corno Grande.

A lungo si è ritenuto infatti - per un errore editoriale nel trattato 'Della Architettura Militare' scritto e rimaneggiato successivamente da De Marchi - che il primo a conquistare il Gran Sasso fosse stato, il 30 luglio 1794, il teramano Orazio Delfico. In realtà De Marchi per primo aveva conquistato la vetta occidentale, mentre Delfico, due secoli dopo, conquistò la vetta orientale. Delfico e De Marchi, Teramo e Aquila (oggi L'Aquila) le due città divise da una catena di montagne e unite dallo scambio di merci, portate a dorso di muli o sulle spalle, attraversando il Passo della Portella.


(Il libro di Francesco De Marchi)

Non si può omettere qualche cenno biografico sull’anziano e stravagante ingegnere militare autore dell'impresa; un tipico prodotto rinascimentale. De Marchi nacque a Bologna, nel 1504, da un’umile famiglia trasferitasi da Crema. La sua fama non fu legata all’esplorazione del Gran Sasso. Fu uno studioso autodidatta con una grande passione per l’ingegneria militare. Sono sue proposte innovative come i sistemi bastionati, i fronti rettilinei e a tenaglia, mezzelune e controspalti. Scrisse il trattato “Della Architettura Militare” e una sua tavola autografa è conservata ancora oggi al Museo del Genio di Castel Sant’Angelo (Roma). La cronaca dell'ascesa è inserita nel trattato.

Il suo italiano era faticoso e infarcito di termini dialettali. Dal 1533 al servizio di Alessandro de' Medici, affinò la formazione culturale in un soggiorno di 15 anni a Roma, dove si occupò di urbanistica e di arte. “Nel tempo mio - racconta - ho conosciuto di gran valentuomini in Roma… il valente Abramante, poi quel gran Pittore Raffael d’Urbino e quel divin Michelangelo e Daniel di Volterra pittore, e Ticiano pittore tanto eccellente…”

Al periodo romano risale un'altra sua impresa eccezionale per quei tempi, l'immersione nel Lago di Nemi (15 luglio del 1535) per una ricognizione sulle navi di Caligola giacenti sul fondo. Usò degli scafandri disegnati da Leonardo da Vinci. L’anno successivo era presente a Firenze al matrimonio di Alessandro de' Medici con la giovanissima Margherita, figlia di Carlo V, che dopo solo un anno rimase vedova. De Marchi passò al seguito della Duchessa, così si firmava Margherita d’Austria. Due anni dopo Margherita sposò in seconde nozze Ottavio Farnese, nipote di Paolo III. Gli interessi feudali dei Farnese in alcune terre del Regno portarono De Marchi a continui viaggi e spostamenti verso Napoli e via mare nel Tirreno. Come dote, Carlo V concesse alla figlia i feudi della Montagna d'Abruzzo dei quali facevano parte anche Leonessa e Cittaducale (RI).


(Francesco De Marchi)

La vita di De Marchi si svolse tra Roma, Napoli e l’Abruzzo. Nel periodo abruzzese, riprese la vecchia passione dell'alpinismo e delle escursioni. Si recò sulle montagne di Norcia e sul Monte Terminillo anche se già da diversi anni aveva in mente un'altra ascensione assai più significativa: il Corno Grande del Gran Sasso, ancora inviolato. Era già stato in Abruzzo, una prima volta nel 1535, poi nel 1541 e nel 1547. In questi anni stabilisce i primi contatti con la montagna abruzzese, scrivendo una relazione che sarà poi da lui stesso cancellata. “Un monte che si dice Corno - scrive - nel quale monte vi è una aria così sottilissima, e così vi è freddo, così m’hanno contati molti homini del Paese che vi sono stati sopra, e io alle radici de esso son stato più volte del che considerai il sito al meglio ch‘io puoti”.

Nel 1572 la regina decise di ritirarsi definitivamente a L’Aquila in quello che è chiamato tuttora palazzo Margherita, la sede comunale della città (attualmente inagibile per i danni subiti nel sisma del 2009). De Marchi, ormai anziano, si ricorda della sfida. Negli appunti certifica il suo essere stato pioniere dell’alpinismo moderno. “Hora descriverò e dissegnerò - scrive - un Monte che è detto Corno, il quale è il più alto che sia in Italia, et è posto nella Provincia d’Abbruzzo…”

Nell’ascensione De Marchi fu accompagnato dal milanese Cesare Schiafinato e da Diomede dell'Aquila; si recò ad Assergi (Sercio) alla ricerca di qualche montanaro che potesse fargli da guida e convinse Francesco Di Domenico, un cacciatore di camosci che aveva già scalato la cima, e i fratelli Simone e Giovanpietro di Giulio “a preghi e premi”. “Il detto Monte - racconta - erano trenta du’anni che io desiderava di montarvi sopra per levar le dispute dell’altezze di altri Monti. Così andassimo d’Aggosto l’anno 1573, il signor Cesare Schiafinato milanese, e Diomede dall’Aqquila. Et andammo ad un Castello nominato Sercio, potemmo trovar nessuno che mai ci fusse stato, dico alla cima, ancorché questo castello sia il più presso verso l’Aqquila. Mi fu detto che vi erano certi Chacciatori di Camocce che vi erano stati sopra, e così dimandai à molti di loro e non trovai se non uno, nominato Francesco Di Domenico, il qual’era stato alla cima un’altra volta, e malamente vi voleva più tornare.”


(Il Corno Grande e il laghetto Pietranzoni)

Chissà cosa avrebbero potuto raccontare i cacciatori di camosci che erano già saliti in vetta spinti dalla sopravvivenza, prima degli uomini illustri. Solo Francesco Di Domenico ha goduto, rispetto agli altri, del privilegio di essere stato ricordato come prima guida ufficiale nella storia dell'alpinismo. Non si conosce con precisione l’itinerario seguito. Il gruppo partì a cavallo da Assergi (Sercio) fino a Campo Pericoli (Campo Prìviti) da dove iniziò l’ascensione. Furono più volte costretti a tornare indietro e tentare sentieri più praticabili. Salirono probabilmente per il canalone Sud (il Bissolati) o forse per la Via Normale attraversando la Conca degli Invalidi. Pare che Di Domenico non ricordasse il percorso. “Così andammo a cavallo fino al detto Campo Priviti, e qui cominciassimo à considerare per dove noi pottevamo andare alla cima di quest’asprissimo Monte… Qui non si vede strada ne sentiere ne scala, ma à giudicio bissogna andare, dimodoche cominciassimo à caminare dove io arrivai in una vena di pietra altissima dove io non potteva andar più innanzi se non avesse havute le ali. Et così tornai in dietro con grandissimo pericolo e pigliai un’altra strada… Francesco ch’era la guida diss’ - io voglio andare in ogni modo -. Et io dissi - dove tù anderai venirò anc’io-”.


(L'altopiano di Campo Imperatore)

Dovettero cercare a lungo un passaggio che “l’huomo non si puol dare aiuto l’uno all’altro perché bissogna stare attaccato alla pietra con le mani, massima quando si è appresso alla sommità un terzo di miglio, dove la pietra è fragilissima.” Arrivarono in vetta dopo cinque ore e un quarto di cammino ma la bellezza del panorama ripagò di tutte le fatiche. “Quand’io fuoi sopra la sommità, mirand’all’intorno, pareva che io fussi in aria, perche tutti gli altissimi Monti che gli sono appresso erano molto più bassi di questo. Così pigliai un Corno e cominciai la a suonare, dove si vedde uscire fuori dalle vene di questo monte assai Uccelli, cioè Aquile, Falconi, Sparvieri, Gavinelli, e Corvi.”

Il Capitano incise con uno scalpello il suo nome, oggi invisibile, a suggello della sua salita e annotò che non lontano “si vede il Mare Addriatico, il Ionico, et il Tireno, et se no vi fossero tanti moti trà mezzo si vederebbe ancora il Mar Ligustico. Dico che vi son tali precipitii, che passano cinque miglia dove non possono andar Huomeni, ne Animmali, se non Ucelli: dicendo che chi lassa cadere una pietra giù per di quelle vene che per piccola che ella sia ne muoverà tante de l’altre che faranno un Tuono per un’hora che pareà cosa orrenda e spaventosa”. Con molta probabilità il Mar Ionio era la linea del Lago Fucino che egli confuse con il mare.


(Il Cippo De Marchi al Forte Spagnolo)

De Marchi osservò il ghiacciaio del Calderone: "Tutti quelli che non sono stati alla cima dicano che vi è una Fontana in cima. Dico che non vi è Fontana nessuna, ma che vi è ben un gran vallone tra il Monte di Santo Niccola (Monte Brancastello?) et il Corno Monte, dove sempre vi è la nieve alta quindeci o venti piedi, e più in alcun luocho dove la nieve e ghiaccio sta perpetuamente”, descrisse Campo Imperatore e il vallone della Portella con il passaggio dei commercianti di lane provenienti da Pietracamela (TE), il borgo alle pendici di Corno Piccolo.

Il Capitano morì a L'Aquila tre anni dopo. La sua tomba fu collocata nella chiesa di San Francesco a Palazzo, di fronte alla dimora della Duchessa (l’attuale Palazzo Margherita, sede del Municipio dell’Aquila), demolita tra il 1876 e il 1881, per far spazio alla costruzione dei portici del Liceo Classico “D. Cotugno”. Il 19 agosto 1973, in occasione dei 400 anni dall’ascensione di De Marchi, il Presidente del CAI in carica, Nestore Nanni, fece porre un cippo nel bastione est del Forte Spagnolo dell’Aquila, a memoria della prima ascensione. Sullo sfondo le cime di Corno Grande e Pizzo Cefalone del Gran Sasso ben visibili dalla città.

L’idea di far rivivere l’esperienza di De Marchi si deve all’ATAM (Associazione Teatrale Abruzzese e Molisana), l’ente nato nel 1975 per la distribuzione degli spettacoli teatrali, che commissionò al Teatro Stabile dell’Aquila lo spettacolo, “Parea che io fussi in aria: cronaca della prima salita al Gran Sasso di Francesco De Marchi, bolognese (1573)”. Fu interpretato da Riccardo Cucciolla con la regia di Lorenzo Salveti e realizzato alla stazione di partenza della funivia del Gran Sasso (1992).


(Il Libretto di sala Teatro Stabile dell’Aquila)

Da allora, per motivi diversi, più nulla è stato fatto. Quest’anno, il 25 e 26 luglio sono iniziate, sul Gran Sasso, le riprese del film “Monte Corno. Pareva che io fussi in aria”, prodotto da Visioni Future e dal regista aquilano Luca Cococcetta. Un progetto realizzato con il patrocinio del Comune dell’Aquila, del Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga, del Comune di Bologna, di Santo Stefano di Sessanio, del CAI, del GSSI (Gran Sasso Science Institute), del Centro Turistico del Gran Sasso e con l’ausilio di geologi, storici e conoscitori per tutti gli aspetti documentaristici e storico-geografici.

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