Cresce ancora la già drammatica impermeabilizzazione dei nostri territori. 2,7 mq al secondo, 159 mq al minuto, 230.000 mq al giorno, l’equivalente annuo di 12.000 campi di calcio, sono sottratti al compito primario che assolve un suolo lasciato libero: assorbire le acque meteoriche anche e soprattutto in occasione di eventi atmosferici eccezionali; rigenerare l’atmosfera con la propria copertura vegetale, catturando la CO2 emessa dalle attività antropiche; fornire cibo per l’alimentazione degli esseri viventi, uomini ed animali, che in quei territori vivono; difendere la biodiversità; contribuire all’abbassamento della temperatura del pianeta e, localmente, a temperare le emissioni di calore, sempre più forti, delle nostre città. Infine – e non per ultimo – consentirci di godere di spazi di relax e di contatto con la natura, indispensabili per contrastare lo stress che, più o meno tutti, accumuliamo nel corso delle nostre attività quotidiane.
È stato presentato nei giorni scorsi a Roma il Rapporto 2025 dell’ISPRA su “Consumo di suolo, dinamiche territoriali e servizi ecosistemici”, accompagnato, come ogni anno da un EcoAtlante contenente mappe interattive e scaricabili che consentono di osservare le trasformazioni del territorio e personalizzare le informazioni in base alle esigenze. Il Presidente dell’ISPRA, Stefano Laporta, e la Direttrice generale dell’Istituto, Maria Siclari, nei loro saluti di apertura, hanno fatto notare come sia da considerarsi significativo che la presentazione del Rapporto sia avvenuta proprio il giorno successivo alla approvazione, in sede europea, della Direttiva che introduce un nuovo sistema di monitoraggio del suolo e della sua resilienza, norma che si affianca al Regolamento già in vigore sul ripristino della natura e sul monitoraggio degli ecosistemi urbani. Una direttiva, hanno ricordato i massimi esponenti dell’Istituto, che molto deve proprio all’esperienza dell’ISPRA e che da questa recupera l’obiettivo di verificare i processi di consumo irreversibile del suolo, figlio della sua impermeabilizzazione, e anche del consumo reversibile, legato in gran parte all’avanzamento di cantieri per le grandi opere infrastrutturali; ma anche alle coperture del terreno connesse alla installazione di campi fotovoltaici.
I dirigenti dell’Ispra hanno ricordato come il consumo di suolo sia uno dei più subdoli fenomeni che contribuiscono ad abbassare la qualità della nostra vita e, se già non bastasse la situazione che decenni di uso anarchico del territorio ha prodotto, finisce per rendere sempre meno attrattivo agli occhi di chi lo percorra ed anche a molti dei turisti che ogni anno lo visitano, quello che una volta era “il bel Paese”. Michele Munafò, Coordinatore e responsabile del numerosissimo Staff che ha permesso anche quest’anno di fornire all’opinione pubblica – in modo inoppugnabile – la fotografia dettagliata sin nei minimi particolari dell’uso e, ancor più, dell’abuso di suolo, ha poi proceduto alla presentazione dei contenuti principali del rapporto. Rapporto che, come ogni anno, è già presente e scaricabile, con tutti i numerosi allegati ed una serie di infografiche e video pensati per consentire la più ampia ed immediata trasmissione dell’allarme contenuto nei dati messi insieme dagli estensori del Rapporto. E che ci sia bisogno che di questi dati si parli è stato messo in evidenza da un gioco in cui l’ISPRA ha voluto coinvolgere anche il pubblico e gli esponenti della stampa, presumibilmente già sensibilizzati al tema e che sarà, successivamente, diffuso nelle scuole e in altri specifici eventi. Attraverso appositi Qrcode da aprire sui telefoni cellulari, è stato chiesto a tutti di rispondere ad alcuni semplici quiz del tipo “quali sono, secondo voi, le Regioni con il maggiore ed il minore consumo di suolo nel 2024? E quelle con maggiore compromissione del proprio territorio? Quali sono, allo stesso modo, i migliori ed i peggiori Comuni?”
Potrà sembrare incredibile, ma persino da un uditorio così selezionato la percentuale di risposte esatte non è riuscita a raggiungere, per nessuna domanda, più di un misero 3%. Questa incredibile – e forse inaspettata – dimostrazione di scarsa conoscenza del fenomeno, conferma che, quando si getta un grido di allarme sul consumo di suolo si tratta non solo di esprimere semplici preoccupazioni etiche, né di farsi portatori di una sensibilità genericamente ambientalista, ma di trasmettere un allarme che consenta a tutti i cittadini italiani di aver chiaro come il consumo di suolo sia un danno che impatta direttamente sulla loro qualità della vita. Peraltro, come membri dell’Unione Europea dovremmo tenere bene a mente che l’azzeramento del consumo netto di suolo è un obiettivo necessario per il raggiungimento dei target previsti dall’Agenda Globale per lo sviluppo sostenibile, dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza e dal Piano per la Transizione Ecologica, e che il Regolamento europeo sul ripristino della natura impone l’azzeramento della perdita netta di aree verdi urbane entro il 2030 e il loro incremento dal 2031. È del tutto evidente che il trend che contraddistingue, nel nostro Paese, il consumo di suolo dal 2006 (primo anno di analisi disponibile) al 2024 mostra come, senza una ormai pressoché incredibile inversione di tendenza, questi obiettivi non saranno raggiunti, con una sconfitta secca non solo in termini di qualità della vita degli italiani, ma anche con il rischio di pesanti ricadute finanziarie, ove si ponga mente che una parte delle risorse del PNRR ci sono state assegnate dalla UE solo a condizione del raggiungimento di target che, peraltro, siamo stati noi stessi ad assegnarci.
Iniziamo col dire che, se in merito al consumo di suolo e di obiettivi da raggiungere sono ben pochi i Paesi dell’Unione che possano anche solo sorridere, l’Italia ha tutti i motivi per piangere. Nel nostro Paese, infatti, sono ormai più di 21.500 i Kmq coperti artificialmente, cosa che ci fa arrivare al 7,14% dell’insieme del territorio nazionale, quando la pur negativa media europea è del 4,4% Non bastasse, il consumo di suolo continua a crescere nel 2024 e accelera significativamente rispetto all’anno precedente rappresentando il valore più alto degli ultimi 12 anni, anche al netto dei miseri 5 Kmq per i quali si è potuti passare da suolo consumato a suolo non consumato. I territori che mostrano, nel 2024, una dinamica accelerata nel consumo di suolo, sono, infatti, l’Emilia-Romagna (+1.013 ha), la Lombardia (+834 ha), la Puglia (+818 ha), la Sicilia (+799 ha) e il Lazio (+785 ha). Anche nell’ultimo anno in alcune aree del Paese si concentra la maggior parte del consumo di suolo: la pianura Padana, in particolare lungo l’asse Milano-Venezia e lungo la direttrice della via Emilia; il Salento; quasi tutta la costa adriatica; il Lazio, la Campania e la Sicilia occidentale e meridionale. Solo tre Regioni hanno perduto quest’anno meno di 50 ettari: la Valle d’Aosta (+10 ha), la Liguria (+8ha) e il Molise (+49 ha).
LEGGI IL RAPPORTO
Resta il fatto che tre Regioni hanno ormai coperto artificialmente parti rilevanti del proprio territorio. A guidare la “classifica della dissipazione” sono la Lombardia (12,22%) ed il Veneto (11,86), seguite, ad un’incollatura, dalla Campania (10,61%), dall’Emilia-Romagna, e, ancora, da Lazio, Puglia e Friuli, tutte con oltre l’8% del territorio ormai definitivamente impermeabilizzato. Spiccano alcune situazioni macroscopiche: la Provincia di Monza Brianza ha perso altri 47 ettari ed ha toccato ormai la soglia del 41% del suo territorio consumato. Ma anche province che non sembrerebbero particolarmente interessate da fenomeni espansivi appaiono voler conquistare posizioni in questa sorta di graduatoria a perdere: così Viterbo, solo l’anno scorso, ha reso artificiali ben 424 ettari; Sassari 245 e Lecce 239. Per Viterbo il dato è probabilmente “drogato” da quanto avvenuto in soltanto due comuni, entrambi in una delle parti più integre del territorio, quella maremma che molti conoscono finora solo per le sue spiagge e l’estensione dei suoi fertilissimi terreni agricoli: Tarquinia (+150 ettari) e Montalto di Castro (+140 ettari). Uta, un Comune di 8000 abitanti nella provincia metropolitana di Cagliari, continuando un trend che l’aveva già visto ai primi posti negli ultimi tre anni nel consumo del proprio suolo, nel 2024 ha visto ben 148 ettari comunali letteralmente ricoperti da estensioni di campi fotovoltaici, Ma se anche si volesse prescindere dall’ espansione delle coperture del terreno con giganteschi parchi di pannelli fotovoltaici, troveremmo che Ravenna ha perso 84 ettari, Venezia 62, Sassari 60 e Roma (che magari si consola per un dato inferiore a quello del 2023) altri 57. Ad essi fanno compagnia le aree metropolitane di Napoli, Bari e Catania.
Passando
all’analisi qualitativa del consumo di suolo, ci
sono alcuni fenomeni su cui il Rapporto Ispra
appunta la propria attenzione:
- 1. Si assiste a una
crescita delle superfici artificiali anche in
presenza di stabilizzazione o, in molti casi,
perfino di decrescita della popolazione residente, a
conferma di una non corrispondenza automatica del
legame tra la demografia e i processi di
urbanizzazione e di infrastrutturazione.
- 2. Si conferma anche quest’anno la tendenza a consumare
suoli maggiormente accessibili (fascia costiera,
pianure e fondi valle) e le aree a vocazione
agricola in prossimità dei grandi poli urbani; ma,
soprattutto, il consumo di suolo annuale all’interno
delle aree a pericolosità idraulica conferma la
tendenza al rialzo (+1.303 ettari in zone a
pericolosità media). Evidentemente non sono servite
le tragedie – pensiamo alle inondazioni in
Emilia-Romagna - che hanno visto enormi estensioni
di territorio letteralmente sommerse da acque che
non trovano sfogo a causa del restringimento
artificiale degli argini, quando non addirittura
della tombatura di torrenti e corsi d’acqua che,
periodicamente tornano a prendersi il proprio
territorio, spazzando via ogni cosa che si trovi sul
loro cammino.
- 3. Anche nelle aree a pericolo di
frana torna ad accelerare il consumo annuale (+608
ettari), dopo il rallentamento registrato nel 2023,
così come avviene nelle aree a rischio sismico (+
2652 ettari in zone a pericolosità sismica alta).
Basterebbe pensare all’isola d’Ischia, che vede
tutti e tre questi rischi presenti e che, nonostante
le sciagure degli scorsi anni e persino costretta dalla
nomina di un Commissario per riportare ordine in un
territorio devastato dall’abusivismo, continua, non
appena ci sia qualche situazione metereologica
estrema, a fare regolarmente notizia.
- 4. Il consumo
di suolo ha effetti diretti o indiretti su circa due
terzi del territorio nazionale, con un impatto
significativo sul microclima urbano. Le analisi
mostrano differenze di temperatura tra aree urbane e
rurali che superano i 10°C, con picchi di +11,3°C al
Nord. La vegetazione urbana si conferma
fondamentale: nei quartieri dove la copertura
arborea supera il 50%, le temperature sono fino a
2,2°C più basse, eppure la ripiantumazione delle
strade e dei territori urbani, come pure la
sostituzione periodica delle coperture arboree,
procede con una lentezza esasperante.
- 5. La
questione del consumo di suolo nelle aree urbane è
particolarmente importante in relazione agli
obblighi imposti dal Regolamento europeo sul
ripristino, tra cui l’azzeramento della perdita
netta di aree verdi e della copertura arborea negli
ecosistemi urbani entro il 2030 e il loro incremento
a partire dal 2031. Nell’ultimo anno quasi il 70%
del consumo di suolo netto è stato registrato
proprio in quel terzo dei comuni italiani coinvolto
nel Piano Nazionale di Ripristino della Natura e
negli obiettivi di ripristino degli ecosistemi
urbani.
- 6. Infine, a dimostrazione che proteggere
l’ambiente non è solo utile alla salute ed alla
qualità della vita, ma è anche un affare per le
finanze pubbliche, i costi del consumo di suolo
dovuti alla perdita di servizi ecosistemici
variano, nel periodo 2006-2024, da un minimo di 8,66
a un massimo di 10,59 miliardi di euro (una mezza
Finanziaria) persi ogni anno da nostro Paese.
Se si escludono le nuove aree
di cantiere, il consumo permanente rappresenta il
35% del totale, con una prevalenza di edifici,
piazzali pavimentati e strade, mentre sono solo 5 Kmq
quelli per i quali si è potuti passare da suolo
consumato a suolo non consumato. Le principali
destinazioni d’uso delle superfici di suolo
consumato sono ormai ben note, già protagoniste dei
Rapporti ISPRA degli scorsi anni.
- 1. Le aree
destinate a nuovi cantieri (4.678 ettari) restano la
componente prevalente (il 56%). Quello dei cantieri
potrebbe apparire, a prima vista, come un consumo di
suolo reversibile: finito il cantiere,
tutto torna come prima…. L’esperienza
purtroppo smentisce questa ottimistica visione e
conferma che si tratta di aree che saranno in gran
parte convertite, negli anni successivi, in aree a
copertura artificiale permanente (come edifici e
infrastrutture) e solo in misura minore saranno
ripristinate.
- 2. Tra le cause di consumo
potenzialmente reversibili, i pannelli fotovoltaici
a terra (+1.702 ettari, di cui l’80% su superfici
precedentemente utilizzate ai fini agricoli)
rappresentano la porzione più importante,
il 20,37% del consumo totale di suolo
del 2024. Per i pannelli solari, peraltro, il trend
appare in fortissimo aumento rispetto ai 420 ettari
rilevati nel 2023, ai 263 ettari del 2022 e ai 75
del 2021. Tutti i partecipanti alla tavola rotonda
che ha concluso la mattinata di presentazione del
rapporto hanno denunciato come non vi sia, oggi,
alcun tipo di reale incentivazione – fiscale o
finanziaria – per chi volesse, ad esempio, procedere
sulla via del riutilizzo delle superfici del già
costruito per installarvi pannelli fotovoltaici.
Dagli insediamenti industriali ai capannoni della
logistica agli edifici di civile abitazione a quelli
che ospitano gli uffici pubblici, fino alle barriere
antirumore delle autostrade e delle ferrovie, sono
pochissimi gli esempi virtuosi. Si sono spesi
miliardi per favorire il restauro – beninteso non
disprezzabile – delle facciate dei condomini delle
nostre città, ma se soltanto andassimo a vedere, con
l’aiuto di un qualsiasi piccolo drone, il panorama
urbano, scopriremmo che è risultato molto più
conveniente trasformare quelle che un tempo erano
terrazze e lavatoi condominiali in miniappartamenti
e “superattici” che installarvi pannelli per
l’autoproduzione di energia elettrica. E allo stesso
modo la mancanza di una politica ben indirizzata di
incentivi e disincentivi fiscali ha fatto sì che,
per i grandi player del fotovoltaico, è risultato
molto più semplice, a questo punto, procedere,
giocando sulla debolezza strutturale dei piccoli
agricoltori, alla acquisizione a buon mercato di
ettari ed ettari dove si coltivavano cereali,
foraggi o frutta, per installarvi sterminati campi
di produzione energetica.
- 3. La crescita degli
edifici nel 2024 è stata pari a 623 ettari (7,5%);
quella di cave ed aree estrattive di 436 ettari
(5,21%); la realizzazione di infrastrutture vale 351
ettari (4,2%); le aree destinate alla logistica sono
aumentate di 432 ettari (5,17%), soprattutto in
Emilia-Romagna (+107 ettari), in Piemonte (+74
ettari) e in Lombardia (+69 ettari). Infine, le
altre coperture artificiali come piazzali, cortili,
campi sportivi o discariche hanno sommato 581 ettari
(6,95%).
- 4. Come se non bastasse, nel 2024 un’altra
destinazione d’uso ha fatto la sua comparsa e benché
abbia a suo carico solo l’’utilizzo di 37 ettari
promette di scalare
velocemente la classifica dei consumatori di suolo.
Stiamo parlando delle strutture, tutto meno che
“nuvole”, destinate a ospitare i Data Center
necessari a far funzionare i servizi di Cloud
Computing e, ancor di più, a stivare i dati
necessari agli LLM dell’intelligenza artificiale.
L’espansione di queste strutture, se non
attentamente monitorata e indirizzata, rischia di
essere particolarmente preoccupante. Non richiede,
infatti, particolari vincoli di vicinanza a
infrastrutture o ad altre strutture produttive, né
richiama necessariamente grandi unità di personale
per il suo funzionamento ed ha, come unico vincolo,
la possibilità di collegamenti con la rete elettrica
primaria. Si tratta di strutture che possono,
quindi, essere localizzate pressoché dappertutto,
anche in aree relativamente vergini, dove,
ragionevolmente, ci sia l’occasione di acquisire
terreni a un buon prezzo. E cosa c’è oggi di più
facile - sia per l’invecchiamento della popolazione
che per l’esodo continuo dalle campagne – che
convincere gli agricoltori a vendere terreni fino ad
ora destinati alla produzione agricola? A dire il
vero un altro vincolo ci sarebbe, ovvero il consumo
abnorme di acqua per il raffreddamento di cui queste
strutture hanno bisogno, ma questo richiamerebbe un
altro ragionamento, pure assolutamente necessario ed
urgente: quello del consumo idrico nel nostro Paese,
della sua anarchica regolamentazione e del suo
pressoché inesistente controllo.
Al termine della presentazione del Rapporto, l’ISPRA ha chiamato in causa alcuni rappresentanti delle Regioni, cui compete la pianificazione del territorio, e l’ANCI, la rappresentanza dei Sindaci, che dei loro territori dovrebbero essere non solo gli Amministratori, ma anche i guardiani. Tutti hanno insistito sull’esigenza di mettere mano alla revisione delle norme urbanistiche nazionali che in molti casi risalgono all’immediato dopoguerra.
Peraltro, come ha fatto notare il rappresentante di Legambiente, proprio le Regioni che si sono dotate di una propria legge urbanistica con il fine dichiarato di consentire un maggior controllo sull’utilizzo del territorio e di impedire gli stravolgimenti che soprattutto la logistica ha determinato, sono quelle in cui anche quest’anno il consumo di suolo è continuato a crescere. Nessun segno che queste norme siano riuscite ad indurre all’inversione di tendenza verso il riuso del già costruito, che potrebbe, in molti casi, permettere di dare risposta alle esigenze di sviluppo delle attività economiche senza dover compromettere ulteriore territorio, né che si sia riusciti a controllare davvero le scelte di chi, nell’accettazione di insediamenti sempre più enormi e impattanti sul proprio territorio, si illude di poter ottenere un dividendo finanziario per il proprio Comune o una soddisfacente ricaduta occupazionale.
Al contrario, è ormai ampiamente dimostrato come proprio gli insediamenti della logistica producano non solo le ovvie conseguenze di un aumento abnorme del traffico pesante, ma vere e proprie “migrazioni interne” di popolazione, molta costituita da migranti di prima generazione, attratta da lavori che pur se scarsamente qualificati costituiscono una risposta alla loro fame di lavoro. Con il piccolo corollario che, quando in un territorio finora prevalentemente agricolo si insediano centinaia di nuovi residenti, cresce in modo abnorme la richiesta di case e di trasporti, crescono i prezzi e, quando giustamente, i nuovi residenti procedono a ricongiungersi con i propri familiari, cresce anche l’esigenza di nuovi servizi - dagli asili nido alle scuole – e non basteranno certo gli oneri concessori a suo tempo pagati da chi ha costruito i giganteschi capannoni a fornire le risorse a quegli sprovveduti che hanno scelto di svendere il proprio territorio al miraggio di uno sviluppo inesistente.
Dal canto loro i rappresentanti degli agricoltori hanno messo in luce come il consumo di suolo stia mettendo a rischio la stessa sovranità alimentare del Paese, che vede sempre più ridursi le aree agricole, persino quelle che storicamente hanno saputo specializzarsi in produzioni di qualità capaci di competere su tutti i principali mercati europei e mondiali. A loro volta gli amministratori locali hanno denunciando come ormai, con una semplice SCIA, sia possibile realizzare praticamente qualsiasi cosa, senza che l’Ente locale possa minimamente opporsi. Anche per evitare, come si è sottolineato, il rischio di sottoporsi al giudizio di un TAR le cui decisioni, spesso del tutto opinabili, possono determinare conseguenze anche personali. Senza contare che il pressoché totale smantellamento delle strutture tecniche ed amministrative, soprattutto nei piccoli comuni, ha sottratto ai Sindaci gli strumenti elementari per garantire il governo del territorio comunale e interloquire, su un piano non drammaticamente squilibrato, con i grandi gruppi finanziari e le loro richieste.
Richieste che talvolta sono vere e proprie imposizioni, utili esclusivamente a ricavare profitti immediati, senza alcun interesse a garantire il destino, nel tempo, delle strutture, dei capannoni, degli impianti che prenderanno il posto di prati, campi coltivati e aree alberate. È questo il paesaggio, che tra un paese e l’altro, è ormai tipico di molte parti della pianura padana, dal Veneto alla Lombardia: un cimitero di capannoni, piccoli e grandi, ormai abbandonati, di rotonde e svincoli stradali ormai da anni senza più traffico. Di qui, la richiesta unanime di rivedere una liberalizzazione eccessiva delle procedure, come pure quella di mettere mano alla riforma di alcune norme urbanistiche che risalgono addirittura ai primi anni del dopoguerra. Peccato che il grido di dolore lanciato dall’ISPRA, le richieste, le rimostranze e le proposte non abbiano potuto trovare alcuna risposta, visto che, nonostante le previsioni, nessun rappresentante del Governo, nessun esponente politico, né della maggioranza né delle opposizioni, abbia ritenuto di essere presente. Non stupiamoci, quindi, se, fra dodici mesi, ci troveremo a commentare un nuovo rapporto che, sconsolatamente, ci informerà di quanto suolo il nostro “bel Paese” sia riuscito ancora a consumare.