La storia delle sorelle peruviane Machaca, Marcela, Magdalena, Victoria, Lidia e Maria, della comunità indigena Quispillacta, si svolge nella regione di Ayacucho sulla Cordigliera delle Ande, a 3190 metri. Sono ingegnere agronome che lottano contro la carenza d'acqua causata dalla crisi climatica e dall’intensificarsi di El Niño, che rende il clima sempre più secco. Sulla città di Ayacucho, il capoluogo di regione, si è dimezzato il quantitativo della pioggia che cadeva ogni anno.

Avere acqua fresca e pulita sulle Ande non è mai stato un problema. Bastava aspettare la primavera, che l’acqua della neve e dei ghiacciai si sciogliesse. Da diversi anni non è più così.
L’acqua è diventata sempre più scarsa per più di 200.000 persone, la maggior parte appartenenti alla comunità indigena dei Quechua, che ha visto peggiorare le attività economiche, in particolare l’agricoltura, e la vita quotidiana.
Nella visione occidentale, l’acqua è una risorsa naturale da sfruttare, in quella andina è un essere vivente con sentimenti e pensieri che, come una madre, va rispettata, ascoltata e trattata con amore. Così, tra la comunità e la yakumama - mamma acqua - nasce reciprocità: se la si tratta male soffre e se ne va, se accudita le divinità le permetteranno di emergere per accudire a loro volta.
Insieme alla comunità e all’Associazione Bartolomè Aripaylla - ABA, le ingegnere peruviane utilizzano la ‘semina e la raccolta dell’acqua’, come viene chiamata dai tecnici agricoli lo yaku waqachay, l’accudimento dell’acqua, un’antica tecnica idraulica che non richiede tecnologie sofisticate.

Le sorelle Machaca hanno creato serbatoi di raccolta, lagune e piccoli laghi, con l'aiuto di piante ed elementi locali naturali, per trattenere l’acqua piovana. All’inizio nessuno dava loro retta. Ora il loro progetto contribuisce fino al 20% del volume d’acqua consumata nell’intera regione e per questo il governo peruviano lo ha trasformato in un programma nazionale. Dal 2017 ha istituito il Fondo Sierra Azul per promuovere la costruzione di infrastrutture idrauliche ancestrali nel territorio peruviano.
“Accudire l’acqua non viene compreso dal mondo tecnico, non ci capiscono, non capiscono la nostra visione del mondo” spiega Marcela. “Quindi, quello che abbiamo fatto, per diffondere le nostre pratiche, è stato coniare un altro nome: seminare e raccogliere l’acqua.”
La prima volta che ne hanno sentito parlare erano ancora bambine. Il nonno aveva raccontato loro che il popolo Inca scavava delle buche nel terreno per raccogliere l’acqua piovana, in modo che nutrisse i corsi d’acqua e i terreni a valle nei periodi di siccità; una pratica nata dalla resilienza dei contadini. E così hanno ripreso la tradizione millenaria iniziando a costruire laghi artificiali per ‘coltivare l’acqua’.
“Le lagune svolgono il ruolo che avevano le cime ghiacciate delle montagne. I Quechua considerano sacri i bacini perché nutrono l’acqua all’inizio della sua vita. La nostra comunità è la sua protettrice e noi ne siamo molto orgogliosi” afferma Marcela.

Dal 1995 a oggi, le ingegnere peruviane hanno costruito settantuno lagune, immagazzinando più di 1.700.000 metri cubi d’acqua, favorendo la comparsa di animali e piante, uccelli migratori e diverse specie di alghe, che arricchiscono ancora gli ecosistemi locali.
La loro vita di donne, contadine e indigene, non è mai stata semplice; hanno sempre dovuto compiere un notevole sforzo per farsi sentire.
Negli anni ’80 i tempi dell’università sono stati duri, tra terrorismo e discriminazione di genere. Non era comune per le donne rurali ricevere un’istruzione in aree considerate tradizionalmente maschili. Il padre delle sorelle Machaca ha dovuto chiedere il permesso alla comunità per far sì che figlie più grandi potessero frequentare l’università, con la promessa di tornare e applicare le nuove conoscenze nel villaggio.
Il Perù è tuttora un paese centralista e molte delle decisioni importanti vengono prese senza ascoltare il parere o i progetti delle comunità indigene, tanto meno quelli delle donne.
“Nonostante ci siano piani per contrastare le conseguenze dei cambiamenti climatici e linee guida della regione per valorizzare le conoscenze contadine e ancestrali, nella vita reale siamo ancora invisibili… Il concetto quechua della yakumama non viene considerato” conclude Marcela.

L’acqua è in pericolo da diversi anni e non è un caso che sia al centro di uno degli obiettivi dell’Agenda 2030. La chiamano oro blu. Si punta a fare avere acqua pulita a tutte le persone del pianeta, ce ne sono ancora tante che non ce l’hanno, a sprecarne il meno possibile e a diffondere impianti igienico-sanitari in tutto il mondo.
A partire dal 1997, il Consiglio Mondiale dell’acqua cerca nuove soluzioni ma c’è chi, come le sorelle Machaca, adotta rimedi antichissimi. Cantano, parlano e, insieme alla comunità, realizzano rituali per ringraziare la yakumama.
I risultati ottenuti insegnano che spesso, per poter guardare a un futuro migliore, bisogna ascoltare il passato.