Marco Fraquelli, nato a Milano nel 1957, si è laureato in Storia delle Dottrine Politiche con Giorgio Galli e ha pubblicato diversi saggi storici, tra cui 'Altri duci. I fascismi europei tra le due guerre' (Mursia Editore) e 'A destra di Porto Alegre. Perché la Destra è più noglobal della Sinistra' (Rubbettino Editore). Però fin da giovanissimo era appassionato di musica e la leggenda narra che a quattordici anni acquistò alla Fiera di Senigallia l’album '200 Motels' di Frank Zappa perché attratto dalla copertina. Si innamorò subito di quel bizzarro musicista italo-americano e della sua musica. Da allora l’ha sempre seguito, acquistando tutti i suoi dischi (anche quelli usciti postumi) e leggendo tutti i libri scritti su di lui. Finché, in tempi recenti, ne ha scritto uno lui stesso: 'A nessuno frega un cazzo se siamo grandi musicisti - Tutti gli uomini e le donne di Frank Zappa', pubblicato da Arcana. Non è uno dei tanti libri, pur spesso ben scritti ed interessanti, su Frank Zappa, ma un omaggio a tutti i musicisti che hanno contribuito a rendere grandiosa la sua musica. Con schede in ordine alfabetico, dalla A alla Z, il libro ci aiuta a conoscerli più da vicino attraverso ritratti spesso corredati da retroscena e gustosi aneddoti.
Parlandoci di quanti hanno lavorato con lui in quasi trent’anni di attività, Fraquelli fa inevitabilmente emergere anche la personalità di Zappa.
"Sì, di Zappa si è scritto moltissimo. Sono state pubblicate biografie molto approfondite, tra cui la sua autobiografia scritta con Peter Occhiogrosso. E poi testi con esegesi dei suoi brani. Io volevo fare una cosa un po’ più originale e, consultando i vari siti creati da appassionati zappiani e il volume 'Frank Zappa Tour Atlas', mi è venuta l’idea di parlare dei musicisti che avevano suonato con lui. Il criterio che mi sono dato è citare chi ha suonato con lui dal vivo almeno tre volte. Con qualche eccezione illustre. Non mancano i direttori delle sue composizioni orchestrali (Pierre Boulez, Kent Nagano e Peter Rundel) citando anche i singoli strumentisti di quegli organici. Poi non manca il nostro Fabio Treves, che ha suonato l’armonica per Zappa dal vivo due volte, in un brano a Milano e in un altro a Genova durante il tour del 1988. Con Treves ci siamo visti, gli ho dato il libro e, se uscirà una nuova edizione (già ci sarebbero aggiornamenti da fare causa morte di alcuni musicisti di cui parlo), gli chiederò di scrivere una prefazione. Zappa ha avuto incontri più o meno occasionali, come quello con John Lennon e Yoko Ono nel 1971 sul palco del Fillmore East di New York, che racconto nel profilo di Bob Harris, bassista delle Mothers di allora".
Poi con Jack Bruce ha inciso il brano 'Apostrophe'. Sting cantò in un concerto di Zappa un suo brano, che venne pubblicato sull’album 'Broadway the Hardway'. E Van Morrison cantò il brano di Zappa 'Dead Girls of London', mai uscito nella discografia ufficiale zappiana per questioni di diritti discografici.
"Ne parlo nella scheda del violinista Shankar, in un album del quale, prodotto dallo stesso Zappa, è stata poi inclusa una versione del pezzo senza però Morrison. Tra le collaborazioni occasionali va citata anche quella con i Pink Floyd al Festival di Aumogies in Belgio nel 1968. Zappa suonò la chitarra in un brano del loro set. La cosa strana è che lui ha sempre negato questo evento, anche se è documentato da registrazioni e da riprese video che ora si possono vedere su You Tube".
Dai racconti riportati nel libro emerge uno Zappa artista dalle molte facce: rigoroso sul lavoro, di grande intelligenza e dotato di un forte sense of humour. Ma doveva essere molto difficile rapportarsi con lui e lo dimostra il continuo avvicendarsi dei musicisti nei suoi gruppi. Dalle sue dichiarazioni sembra quasi che tutta la sua carriera sia stato un continuo inseguire i musicisti perfetti, i più bravi in assoluto. Non a caso un album live tratto dall’ultimo tour, quello del 1988, si intitola 'The Best Band You Never Heard in Your Life'. In realtà Zappa ha avuto partner eccezionali fin dai primi tempi: ad esempio negli anni settanta Jean Luc Ponty e George Duke, ma anche la prima formazione degli anni sessanta, le 'Mothers of Invention', aveva una freschezza, una sintonia interna, una creatività tutte particolari, anche a fronte di eventuali limiti tecnici di qualcuno dei musicisti.
"Vero. E fondamentali per Zappa sono stati anche Ian Underwood, sassofonista/tastierista, e la allora sua moglie Ruth Underwood, che suonava vibrafono, xilofono e marimba. In generale poi sono stati sempre importanti i tastieristi. Oltre a George Duke: Don Preston, Tommy Mars, Robert Martin, e anche Allan Zavod che pure con Zappa ha suonato poco".
Poi c’è stato il rapporto di amicizia ma anche conflittuale con Captain Beefheart, musicista e vocalist stralunato, vicino al blues. Lo chiamò a cantare il brano 'Willie the Pimp' sull’album 'Hot Rats' e poi per un tour a nome di entrambi da cui scaturì l’album live 'Bongo Fury'.
"Si conoscevano dall’adolescenza, quando insieme cazzeggiavano, ascoltavano dischi. Beefheart, al secolo Don Van Vliet, al contrario di Zappa era un artista istintivo, molto creativo. Ha pubblicato numerosi album ma in seguito tornò alle arti visive, suo primo amore. Zappa nel 1969 produsse 'Trout Mask Replica', considerato il capolavoro di Beefheart, mettendo un po’ d’ordine in quel caos di idee".
Zappa è stato spesso accusato per i suoi testi molto espliciti riguardo al sesso, con un’ironia che a volte sconfinava un po’ nella misoginia e nella pornografia.
"Lui intendeva fare satira sui costumi e i luoghi comuni della cultura puritana americana, sulle canzonette sentimentali. Però in effetti sul sesso qualche volta è andato un po’ oltre. In generale a Zappa interessava fare prevalentemente musica, si sentiva costretto dal mercato discografico e dalla programmazione delle radio a scrivere canzoni. E a volte si è vendicato divertendosi con i suoi testi a scandalizzare l’America benpensante. Testi che ha difeso anche in tribunale, in nome della libertà di espressione".
Molti di questi musicisti, pur ottimi e preparati professionisti, spesso si ricordano soprattutto per quello che hanno fatto con Zappa. Vale per George Duke e per lo stesso Ponty, che pure è stato un affermato violinista jazz.
"Hai ragione. Uniche eccezioni sono forse Steve Vai e Adrian Belew, due chitarristi virtuosi che hanno avuto popolarità a proprio nome o, nel secondo caso, anche con gruppi come 'Talking Heads' e 'King Crimson'.
Quali sono per Marco Fraquelli i cinque dischi più significativi della discografia zappiana?
"Per il primo periodo consiglio il cofanetto di tre CD, da poco pubblicato, 'Whisky a Go Go', 1968, registrato dal vivo a Los Angeles con le 'Mothers Of Invention'. È un piccolo capolavoro che fa capire cos’era Zappa ai suoi inizi. Poi sicuramente 'Hot Rats', del 1969, forse il disco più iconico della sua produzione e 'Live at Fillmore' del 1971, con il vaudeville dato dalla presenza dei due ex-Turtles Howard Kaylan e Mark Wolman. Quindi 'Roxy&Elsewhere' con la straordinaria formazione del 1974, e un album del 1979 a scelta tra 'Sheik Yerbouti' e 'Joe’s Garage'. E infine, è inevitabile, un sesto album: 'The Best Band You Never Heard in Your Life', con la nutrita formazione del suo ultimo tour (1988), ben documentato anche dal recentemente pubblicato The Last US Concert.