Aveva un rimpianto che era insieme un vanto “Non sono riuscito a diventare famoso con il calcio, ma come ladro sono stato il più popolare della Norvegia”. È morto una settimana fa a soli 57 anni a Helsinki Pål Enger, l’uomo che aveva rubato “L'urlo” di Edvard Munch. Col calcio ci aveva provato, anche con qualche promettente successo. Giocava nelle giovanili della squadra di serie A della Norvegia Valerenga Fotbal, e quando aveva 18 anni aveva persino calcato per qualche minuto il campo principale con la prima squadra nella finale di quella che si chiamava allora Coppa Uefa (oggi Europa League) contro il Beveren del Belgio.

I suoi compagni di squadra però lo ricordavano perché era l’unico che non aveva un lavoro, ma esibiva una ricchezza senza pari. Alla fine della partita, mentre tutti portavano a casa calzettoni, maglietta e calzoncini perché la mamma li lavasse, lui li buttava nella spazzatura. “Per la prossima partita ne compro di nuovi”. Un giorno arrivò agli allenamenti con una macchina vistosa e altrettanto costosa, suscitando l’invidia dei suoi compagni. Diceva di amare Maradona, ma poi confessava che aveva la casa piena di ritratti di Marlon Brando e di Al Pacino protagonisti del film 'Il Padrino' ed era andato a New York per visitare i luoghi in cui il film era stato girato. Come per prendere ispirazione.
Ma molti si chiedevano dove avesse trovato i soldi per un viaggio tanto costoso, lui che era nato in uno dei quartieri più poveri di Oslo, Tveita. Come si mantenesse fin da ragazzo con tanta disponibilità di denaro fu chiaro dopo i primi arresti per furto; e una volta venne addirittura catturato dall’ufficiale della polizia norvegese Knut Arild Loberg che era stato suo compagno sui campi di calcio del Valerenga. La sua seconda passione era per la pittura. Dipingeva con un qualche successo e riusciva a vendere i suoi quadri, ma soprattutto aveva scelto di diventare prima di tutto un ladro di opere d’arte. Per questo ebbe l’idea di rubare quel quadro di Munch. Insieme a due complici aveva preparato quel furto per quattro anni, anche se venne realizzato con la massima semplicità.

La data fu scelta accuratamente. Era il 2 febbraio 1994 e in Norvegia tutti erano davanti a un televisore per seguire la cerimonia di inaugurazione delle Olimpiadi invernali che si volgevano proprio a pochi chilometri di distanza da Oslo, a Lillehammer. Motivo di orgoglio e di passione per tutti i norvegesi e di lavoro straordinario per le forze dell’ordine, impegnate a garantire la sicurezza e il successo organizzativo dei Giochi. Quando venne arrestato, Enger spiegò che lui e i suoi complici erano arrivati con la sua automobile davanti al Museo, avevano scaricato una lunga scala a pioli, l’avevano appoggiata al muro, erano entrati da una finestra, avevano staccato il quadro dalla parete ed erano discesi dalla stessa scala. Tempo impiegato 50 secondi. Poi via con tranquillità per le strade deserte fino alla casa del ladro. Che però, prima di ridiscendere in strada, aveva attaccato alla parete dove prima c’era il quadro un cartello “Grazie per la scarsità della sicurezza”.

Non era stata l’unica eccentricità. Perché un mese dopo il furto, mentre la polizia brancolava nel buio e le notizie dell’inchiesta confinavano in secondo piano i risultati delle Olimpiadi, il fax della Ministra della cultura Aase Kleveland sputò uno stravagante messaggio proveniente dell’avvocato Nils Christian Nordhus che in sostanza diceva così: “Un mio cliente, di cui ovviamente non posso fare il nome, offre notizie che permetteranno di riavere 'L'Urlo' in cambio di un milione di dollari”. Enger però negò sempre di avere rubato il capolavoro di Munch per denaro. “L’ho sempre tenuto in un cassetto del tavolo in sala e ogni tanto lo aprivo per ammirarlo. La pittura è la mia passione”.

In altre occasioni, durante i processi per i suoi furti, aveva dichiarato: “Non rubo per soldi, ma per la sfida che comporta. Per l’adrenalina”. Ma certo poi in realtà l’attività di ladro rendeva bene. E gli permetteva di essere un personaggio. Nel 1999 era fuggito dal carcere, ma non era andato lontano. Si era seduto ai tavolini di un caffè alla moda nel centro di Oslo e per alcune ore, mentre la polizia lo cercava, aveva concesso interviste a giornalisti dei quotidiani e della televisione. In una di queste raccontò che non era mai stato sposato, ma aveva quattro figli da quattro donne diverse. Una di queste confermò: “È la persona più affascinante del mondo”.
Sulla sua vita sono stati girati film, scritti libri, ma alla notizia della sua morte, il commento pieno di rimpianto è stato quello di Svein Graff, presidente della squadra del Valerenga: “Se avesse dedicato al calcio l’applicazione e la passione con cui rubava, sarebbe diventato un grande campione”.