Ci vuole una forza speciale per accettare di perdere una figlia dopo quarant’anni di vita condivisa. Ci vuole una generosità notevole per raccontarla, perché nessuno la dimentichi. E possa portare con sé, ancora a lungo, l’immagine di quei capelli biondi e di quegli occhi azzurri. Quella forza e quella generosità Renzo Facondi le ha. È così che ha deciso di raccontare Lara, sua figlia, diventata “vento, o pioggia, o terra, o acqua” come diceva lei, a causa di un cancro. Lo ha fatto raccogliendone gli articoli e le parole, con ciglio asciutto e cuore gonfio di rimpianto e ammirazione.
Lara è stata una giornalista che ha seminato parecchio. Laureata in psicologia, è diventata una cronista capace “di un punto di vista laterale, mai scontato sui fatti”, come ha scritto Danilo Chirico, che l’ha avuta al Nuovo Paese sera. Una professionista che “non si prende mai troppo sul serio, ma è una persona dannatamente seria”. Aveva cominciato seguendo i campi rom insieme all’Arci. Per lei quelli non erano “gli zingari”, ma ragazzi, uomini e donne con nomi e cognomi e, addosso, “l’odore della legna che brucia”. Storie da raccontare con rispetto. Valgono, tra le tante, le parole della sua amica e collega di Paese sera, Carmen Vogani, che la ricorda così: “Dal suo modo di fare la giornalista ha ricevuto molto: la gratitudine di una comunità. Una comunità fatta di ultimi e fragili, sfigati ed emarginati, silenziosi costruttori di pace e di relazioni, intellettuali visionari e coraggiosi. Molti di loro erano invisibili prima che Lara li raccontasse”.

Il padre, Renzo, ricostruisce il percorso della malattia fin dall’inizio, nel gennaio 2018, perché Lara fin dal primo momento ne ha parlato. E da subito ne ha parlato e scritto a modo suo: con lo sguardo laterale che permette di vedere ciò che non tutti vedono. L’ha aiutata, in questo, il rapporto con persone speciali come il dottor Salvo Catania, fondatore del gruppo “Ragazze fuori di seno”. Un professionista dotato della giusta, e rara, dose di follia e di ironia. Il risultato, per Lara e le sue compagne, è stata l’elaborazione di un modo per vivere, accettare e affrontare “questa malattia di merda”. Importante, se non fondamentale, il modo di parlare della malattia a una persona con metastasi: “Non parlatele di futuro perché non lo avrà”, dice Lara ai dottori, ma anche a caregivers, amici e parenti. Altro caposaldo: “Le terapie curano, le relazioni guariscono”. Fino alla conquista di una nuova dimensione e consapevolezza: “Grazie al tumore ho scoperto…”, “Grazie al tumore ho imparato a vivere una vita più piena, più intensa, più felice”.

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Parole pronunciate non solo da Lara, ma da altre donne grazie a lei, che è stata fra gli organizzatori di convegni, in Italia e all’estero, come quello di Bruxelles su “Donne, lavoro e cancro” a inizio dicembre 2018. “Noi siamo le rose, voi istituzioni locali e decisori nazionali dateci il pane”: un programma politico, da troppi disatteso. La morte di Nadia Toffa, che aveva la stessa età di Lara, e la lettura sui giornali delle solite metafore (“Sconfitta da un male incurabile”, “Ha lottato contro un brutto male”) l’aveva indotta a scrivere un articolo su un tema mai abbastanza approfondito: “Perché per parlare di malattia prendiamo in prestito le parole della guerra?”. La solita Lara. Quella che, ormai prossima alla fine, scrisse al dottor Catania, uno dei pochissimi medici capaci di empatia: “Tra le tante (troppe) cose brutte di questa malattia di merda lei è stato un raggio di sole”. Nel libro di Renzo Facondi c’è anche la ricostruzione, narrata con molta discrezione, dell’impatto che l’irruzione di un cancro ha nel microcosmo familiare. Anche per questo la lettura di queste pagine è importante. Lara è morta alle 4,10 di un giorno di gennaio 2021. Ha avuto venti giorni per dire addio alla propria famiglia e ai suoi amici. Rivive nelle pagine che suo padre ha saputo raccogliere. E in quelle che lei stessa aveva scritto in una poesia dedicata alle sue cellule tumorali:

Siete contente adesso?
Adesso che siete penetrate in tutti i miei organi? Adesso che avete invaso il mio fegato, le mie ossa? Adesso che avete raggiunto anche il mio cervello? Adesso che avete divorato il mio corpo?
Siete soddisfatte? Che ne avete tratto?
Divorando il mio corpo vi siete scavata la fossa,
ne è valsa la pena?
Ora finirete nel fuoco eterno insieme a me. Voi sarete maledette per sempre, mentre io continuerò a vivere, almeno per un po’, nel ricordo dei miei cari…