La telefonata all’alba, da Santiago del Cile, e Rebeca tra le lacrime mi comunica che è morto suo marito, Eduardo Contreras. Per me un fratello. Quando negli anni '75-'84 ero corrispondente dell’Unità all’Avana vivevo al quartiere del Vedado, ad un isolato dal Comitato dei cileni in esilio. Ogni dopopranzo scendevano a casa Eduardo, Mario Gomez Lopez, uno dei grandi giornalisti cileni, e Rubèn Zapata, che era stato deputato del Pc, per bere un “caffè italiano”. Fu Eduardo a chiedermi di entrare alcune volte nel Cile di Pinochet per quelle che si chiamavano allora “missioni internazionaliste”, che ho portato a termine con successo. Poi Eduardo passò in Messico e continuò la sua opera di oppositore determinato e coraggioso al regime dittatoriale.

Quando poté finalmente tornare in Cile continuò una duplice militanza. Fu tra gli organizzatori della spettacolare fuga dal carcere di Santiago di 49 prigionieri politici che il 29 gennaio 1990 riuscirono ad evadere dopo avere scavato un tunnel lungo 80 metri. Quando sono tornato a Santiago dopo la fine della dittatura Eduardo mi portò poco fuori la stazione dei bus. "Sono venuto qui con il compagno che aveva fatto i calcoli per organizzare il percorso della galleria. 'Devono uscire qui' mi disse. E lì uscirono". Alcuni dei fuggiaschi vennero nascosti nella casa dei vecchi genitori e della sorella Gloria di Eduardo fino a quando non fu possibile farli espatriare. Ma era un avvocato e a lui si rivolse la segretaria del Pc Gladys Marin perché presentasse una denuncia criminale contro Pinochet che era ancora il capo delle forze armate cilene. L’accusa era quella di avere arrestato e fatto sparire tutta la direzione del Pc, compreso il marito di Gladys, Jorge Muñoz.

Quando mi telefonò gli chiesi "Non hai paura?" "Sì, ma dovevo farlo, era un dovere etico, politico e professionale". Dopo qualche mese, mentre tornavano da una gita al mare, l’auto con Eduardo e Rebeca improvvisamente si fermò. Scesero per capire cosa fosse successo e arrivò a gran velocità una jeep che li investì e se ne andò come era arrivata. Eduardo ebbe fratture, Rebeca rischiò di morire, fu sottoposta a diverse operazioni e rimase per sempre zoppa.
Dal punto di vista giuridico l’avvocato Contreras aveva un grande problema. Come superare la legge di amnistia che Pinochet prima di dimettersi da Capo dello stato aveva generosamente riservato a sé e ai suoi accoliti? Ho sempre pensato che le Facoltà di legge avrebbero dovuto studiare questo caso. L’idea fu di trasformare la debolezza in forza. L’amnistia sana tutti i delitti, per quanto efferati, commessi e conclusi. Ma la dittatura per aggiungere terrore a terrore aveva fatto sparire migliaia e migliaia di persone, tra le quali appunto la direzione del Pc. Contreras spiegò che in quel caso i delitti non erano conclusi. I desaparecidos potevano ancora essere in vita e prigionieri illegalmente, o altrettanto illegalmente essere stati sepolti da qualche parte. Dunque se i delitti non erano conclusi non erano amnistiabili.

Quando Pinochet prese il potere sostenne ufficialmente con atti della Giunta di governo che in Cile era in corso una guerra. Gli oppositori avevano controbattuto: ma quale guerra, ci state solo massacrando. Ma l’avvocato Contreras utilizzò quella affermazione ufficiale. Se è una guerra, vale la Convenzione di Ginevra che il Cile a suo tempo aveva firmato. Dice che non si possono torturare e assassinare i prigionieri di guerra e che i delitti commessi nel conflitto non sono amnistiabili. La “querella criminal” contro Pinochet finì nelle mani di un giudice di destra, Juan Guzman Tapia che, sorprendentemente, diede corso all’inchiesta, convinto dalle argomentazioni di Eduardo Contreras. Una inchiesta che divenne internazionale quando il giudice spagnolo Baltazar Garzon fece arrestare Pinochet a Londra.

In quei giorni convulsi le telefonate tra Spagna, Gran Bretagna e la casa Contreras a Santiago furono infinite. Il dittatore poi venne rilasciato per logiche politiche e poté tornare in Cile, ma Eduardo riuscì a rovinare a lui gli ultimi anni della vita, e a far incarcerare decine di torturatori e assassini. Nella sua casa di Santiago Eduardo aveva uno studio che era un reperto degli orrori. Una infinità di cartellette azzurre e quando ero tornato in Cile dopo la fine della dittatura mi disse: "Se vuoi leggine alcune". Storie di torture, di morti, di ricerche disperate di moglie e madri che non sapevano che fine avessero fatto i loro cari. Eduardo le seguiva tutte, come se ognuna fosse la vicenda di un suo parente o amico. Mario Gomez Lopez nell’esilio diceva: "Non dobbiamo permettere a Pinochet di rubarci anche l’allegria". E con Eduardo Contreras ho passato alcuni dei momenti più divertenti della mia vita. Che sto ripassando nella mia memoria uno a uno da questa mattina, quando sono stato svegliato da una telefonata da Santiago del Cile.