DAL MARE AL TEMPIO
LA FACCIA ANTICA
DI TERRACINA

Se una giornata di mezza estate si trasforma in un pomeriggio di pieno autunno e ti ritrovi in mezzo alla piana pontina, precisamente sulla via Flacca, nel tratto da Terracina a Sperlonga (per gli oriundi, Salto di Fondi), che fai? Niente spiaggia, niente bagni, niente nuotate. Il mare senza mare è una vera sfida.

Assediati dal maltempo, decidiamo di raggiungere Terracina sotto scrosci di grandine. Ma il lungomare di solito pieno di turisti è deserto. Solo case, asfalto e pioggia, lidi vuoti, sedie accatastate, tavoli inumiditi. Così abbandoniamo l’auto impantanata in traffico e acqua in un parcheggio all’ingresso della città con l’intenzione di prendere un bus per raggiungere il tempio su Monte Sant’Angelo. Corriamo verso la fermata della linea “O” che ci avevano indicato, ma appena la scorgiamo da lontano vediamo la navetta partire. Sembra saltata anche questa via di fuga dalla città marittima. Invece basta un cenno con la mano e l’autista inchioda. “Dove andate?” Noi: “Al tempio”. Lui: “Salite”. Quasi un taxi al prezzo di un euro. La navetta fa un giro sinuoso attraverso periferie brutte, centri commerciali, distributori di benzina e capannoni in disuso, mentre l’autista si lamenta con noi (unici passeggeri): “Tutti in macchina, tutto bloccato, Terracina non è un posto per il turismo, sono contadini!”.



Ma solo pochi minuti dopo lo scenario muta radicalmente. Il bus inizia la salita ed entra nel mondo incantato della storia: torri medievali, archi, gradoni del teatro romano, tutto intervallato da alberi di ulivo centenari. Il centro storico di Terracina è davvero di una bellezza mozzafiato: altro che quel lungomare di cemento, quegli ombrelli chiusi, quei bar deserti. Siamo solo a mezza costa e già siamo circondati da un altro scenario. Il bus continua ad arrampicarsi su tornanti ripidissimi. Un colpo di clacson e una chiamata: “Aho’, che devi sali’? Monta dai, se eri giovane non lo facevo”. Così sale il terzo passeggero, un vecchietto piegato in due carico di sporte della spesa. “Lo conosco sa- spiega l’autista – abita in alto”. Dopo un paio di curvoni e una salita di circa 50 metri il vecchietto ringrazia e scende. L’autista continua a fare da Cicerone: “Ora voi scendete, fate la visita, e all’una torna il bus a prendervi”.



All’ingresso del sito archeologico del Monte Sant’Angelo facciamo la fila alla biglietteria. Lì c’è Marco (il nome lo avremmo scoperto dopo) che con pazienza e precisione spiega il percorso a ciascun visitatore mostrando una mappa: “Seguite questo sentiero, al numero uno trovate il campo trincerato, al due il tempietto in antis poi la sede dell’oracolo quindi il tempio di Anxur …” e così via. Per gli stranieri tutto è tradotto in inglese. Paghiamo (10 euro ciascuno, “non ci sono sconti, il sito è comunale”) e iniziamo la scoperta del sito. Ci eravamo aspettati di vedere da vicino solo il filare di archi (il criptoportico del tempio di Anxur) che si vede in basso da ogni punto della città. Invece oltre a diverse vestigia classiche (due templi, la pietra oracolare e il campo trincerato) troviamo anche resti di un monastero medievale, una cisterna per la raccolta dell’acqua e diverse torri di avvistamento. E in più, un panorama spettacolare, con le isole pontine in mezzo al mare e la costa che disegna calette e promontori. Riusciamo a visitare tutto in un’oretta, nonostante le potenti raffiche di vento.



All’una usciamo e ci sediamo su una panchina in attesa del bus per riscendere. Marco chiude la biglietteria e ci dice: “Dai salite vi porto io dove volete”. Un servizio ineccepibile, osservo. E lui: “Non è del Comune, è mio, di Marco. lo faccio sempre. Ieri ho portato al porto una signora tedesca che sta visitando l’Italia a piedi. Non ci poteva credere!” In auto, mentre scendiamo, ci racconta la sua vita di insegnante di storia del cinema a Frosinone, guida a Terracina, collaboratore del centro sperimentale. Una vita piena di sogni e di progetti. Tra una chiacchiera e l’altra scopriamo pure di avere un amico in comune e lo chiamiamo. Che dire? È bastata una pioggia per scoprire l’altro volto di Terracina.

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