'PANARELLA'
DI STABIA
STORIA
DI UN DOLORE

Lamiere incartate nella vegetazione. Sembra il relitto di un aereo precipitato in una foresta colombiana. Intorno c’è fango. Pioggia e nebbia. Fa freddo. L’aria è umida e sa di terriccio. Qualcosa è caduto dal cielo. Come un meteorite, un dardo che ha reciso cavi, tralicci. E vite umane. Pare l’incipit di un disastro aereo made in Usa, all’americana. Tipo la saga dei vari "Airport". No, invece. È Castellammare di Stabia. La vegetazione è quella intorno al monte Faito. Le lamiere appartengono alla cabina della funivia che dalla città porta in cima, a più di mille metri. Vesuvio, golfo, isole, la piana del Sarno. Si ammira tutto da lassù. Sette minuti in cambio di uno spettacolo che non conta né il tempo né le ore.



Sono le tre del pomeriggio. È giovedì santo, giorno di tridui e di passione. È il giorno di una tragedia. Una tragedia che avrà il volto di quattro morti e di un uomo in gravissime condizioni. È la tragedia di un cavo che si stacca – non sappiamo ancora come – e di una cabina impazzita sballottata nel baratro. È la tragedia di corpi schiacciati. È la tragedia di sogni spezzati. Da giorni chiunque, che sia di Castellammare o meno, ha gli occhi incollati lassù. Verso quel monte che da sempre veglia sulla città e i suoi martiri e che per noi stabiesi è un compendio di sacralità, svago, protezione, bellezza. La montagna di San Catello e Sant’Antonino, delle gite fuori porta, la montagna che è l’unica via d’uscita dall’apnea di una città incapace di tirarsi fuori dal pantano in cui si è cacciata. Da giorni me ne sto con gli occhi all’insù, come un bambino che aspetta un sacchetto di caramelle. Incredulo come chi non ha la forza di accettare quanto accaduto.


(Il pilastro della funivia a valle)


Perché non può essere accaduto. Non a quella montagna che si era ripresa finalmente il suo spazio tra le attrazioni turistiche più belle della Campania; che si era buttata alle spalle il periodo buio seguito agli abusi dell’uomo e alla sparizione di Angela Celentano. La panarella – come con affetto chiamiamo le cabine della funivia – sale e scende. Di continuo, come una giostra; come fili che tirano su i sogni di migliaia di persone. Col tempo Faito e la panarella sono diventati un binomio inscindibile. Non pensi a una cosa senza pensare all’altra. Invece un pezzo di questa unione ha ceduto, come nella peggiore delle favole. La panarella è sprofondata, tirata giù (forse) dall’inclemenza del tempo o da chissà cos'altro. Questo sarà appurato.



Intanto, nell’immediato presente, cosa accadrà? Presto per dirlo. La verità è che nessuno – in questo momento – ha la forza di pensare a cosa potrà succedere. Perché, come in una bolla isolata, ognuno di noi non riesce a togliere gli occhi dal Faito e spera inconsciamente che non sia accaduto niente. Che si sia trattato di fake news, di un video montato male e poi diventato virale. Forse però ci farebbe bene ammettere che la tragedia di giovedì è davvero accaduta. E proprio perché tragedia, ha tagliato il respiro e l’anima. E allora, se proprio così deve essere, i fatti non possono che essere andati così. Una cabina con dentro cinque persone è crollata da una montagna. Dentro c’erano una coppia di inglesi, due fratelli israeliani e un macchinista di Vico Equense. Nell’aria bagnata dalla pioggia ancora si sentono le loro voci. Voci spensierate ed allegre. Voci di speranze. E, in fondo a tutte queste voci, c’è quella della panarella. Una voce che ora è rimasta muta. Una voce che provoca uno stallo al cuore. Proprio come quella cabina stramazzata al suolo come un Icaro in volo.

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