RIETI
UMILE VALLE
DEL SILENZIO
FRANCESCANO

Una vera e propria eccezione. La Valle di Rieti. Una piana in mezzo ai colossi di roccia degli Appennini. L’unica nota dissonante di un panorama segnato e scolpito altresì da vette altissime. Si accede a questo vero e proprio gioiello naturale o passando da Avezzano, attraverso la statale impervia che scorre parallela all’autostrada Roma-L’Aquila, oppure da un versante più dolce, quello che ho scelto.



Autostrada del Sole, uscita Fiano Romano, e poi la SS4, disegnata in modo identico sull’antico percorso della Salaria, la consolare romana che metteva in contatto l’Urbe con l’antico Piceno e l’Adriatico. La valle rietina è dolce, lussureggiante. Come la pianura padana ha il Po, la Valle ha il Velino. Un fiume tranquillo, intuibile già dalla Salaria. Scorre per appena 90 km. Dalle sorgenti, poste sul monte Pozzoni a quota quasi 2mila metri, fino a perdersi - in un abbraccio tenero e malinconico - nel fiume Nera, uno dei principali subaffluenti del Tevere.



Nel mezzo il fiume bagna, attraversandola per intero, la città di Rieti. L’Ombelico d’Italia, come si apprende dai cartelli e soprattutto da uno splendido monumento nel centro storico cittadino che celebra questo primato geografico. Centro d’Italia, città natale dell’imperatore Vespasiano, cuore di un territorio capace di produrre grandi eccellenze, come l’olio della Sabina (a cui sono dedicati bellissimi percorsi gastronomici e di trekking), Rieti ha mantenuto nei secoli una compostezza "imperiale". Grandezza da un parte, equilibrio dall’altra.



Basta dare un’occhiata alle sue strade, discrete e regolari, oppure ai ponti che guadano il Velino - limpido e cristallino - in più punti. Rieti dunque non solo come centro d’Italia, cosa che in passato voleva dire centro del Mediterraneo e del mondo, ma anche una città che non si rivela a tutti. In questo Rieti è una prima donna, affascinante, che concede con parsimonia le sue grazie. Per capirlo, e viverlo, bisogna scendere nelle sue viscere, nellla città sottorranea, fatta di cunicoli e passaggi, di antri e corridoi, per accorgersi che Rieti è una sciarada di giochi ed ombre, un equilibrio di "non finito" che la rende irripetibile.



Forse per questa sua unicità, per questo suo non essere per tutti, per questa recondita vocazione alla discrezione e al silenzio, Rieti e la sua Valle furono patria eletta per "il santo poverello" Francesco d’Assisi. Più che nella città umbra, la Valle ha testimoniato l’atto di nascita dell’ordine francescano. Silenzio, preghiera, umiltà, povertà, semplicità. La stessa semplicità che è negli olivi, nei declivi, nella terra dolce e in comunione col creato. Proprio qui, in pieno Medioevo, Francesco ricoverò, con i suoi primi confratelli, alla ricerca di armonia e fede. Per le vie di Rieti, proprio accanto alla basilica cittadina, un monumento sta lì a raccontare questa storia. Francesco orante con le mani rivolte verso il cielo e ai suoi piedi quattro delle pietre d’angolo dei monasteri da lui fondati nella Valle: Greccio, Poggio Bustone (San Giacomo), La Foresta, Fonte Colombo. Tutti posti ad altezze oscillanti tra i 500 e i 700 metri sul livello del mare. Tra terra e cielo, tra natura e fede. Ognuno segnato da un episodio cardine della vita francescana. Greccio, con il suo borgo tra i più belli d’Italia, con lo speco dove Francesco inventò il Presepe nell’anno del Signore 1223, oppure Fonte Colombo, dove il patrono d’Italia dettò a Frate Leone la regola dell’ordine.



Questi luoghi inducono a un cammino. Da iniziare o da riprendere. Poco importa se si è credenti oppure no. Per la strada incrocio cristiani e atei, francescani e semplici turisti. Tutti accomunati da questa idea del cammino verso la semplicità esistenziale. In questo, al di là della fede, risiede il grande insegnamento di Francesco: non percepirsi come uno e basta, così come imposto dal consumismo imperante e dilagante, ma in collegamento con la semplicità del creato e della natura.

Il giro per la Valle reatina, sulle orme francescane, mi ha estenuato. I piedi mi fanno male. Eppure, seduto sotto il portico del monastero di Poggio Bustone, l’anima è cheta. Mentre osservo la piana sottostante, col tramonto che sfuma sulle sagome dei laghi Lungo e Ripasottile, mi ricordo di un vecchio canto ascoltato tante volte. Il canto di San Damiano, ispirato alla sosta che Francesco effettuò nel santuario di San Damiano d’Assisi nel 1212 e dove il santo compose il cantico delle creature.

"Ogni uomo semplice

porta in cuore un sogno,

con amore ed umiltà potrà costruirlo.

Se davvero tu saprai vivere umilmente

più felice tu sarai anche senza niente".

(1. continua)

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