Se vuoi esplorare l’Amazzonia devi andare a Chinatown. Non sto scherzando: prendi un treno per Milano, poi la metropolitana, che ti lascia a qualche centinaio di metri da via Procaccini, nel cuore di Chinatown appunto, e poi ti fai accompagnare da una guida straordinaria, uno dei fotografi più ammirati al mondo: Sebastião Salgado. Ma c’è un altro paradosso: l'Amazzonia la trovi dove mai te l’aspetteresti, ossia sotto le navate degli sterminati capannoni di un’industria nata a fine Ottocento per produrre treni, che adesso però ospitano uno spazio culturale poliedrico, gestito dal Comune di Milano, che si chiama, non a caso, “Fabbrica del Vapore”.
Vapore che ora si leva dal fitto della foresta raccontata dal fotografo brasiliano (che a febbraio compirà ottant’anni) e che fa da sipario a una mostra di oltre 200 fotografie esposte, appese alle volte della Fabbrica, su diversi livelli, proprio dare l’idea dell’immergersi nell’ambiente ed esplorarlo, appunto. E nel caso non ti bastasse l’organo della vista, ecco che accorre in piacevole supporto la colonna sonora della giungla, ossia una composizione musicale creata ad hoc da Jean-Michel Jarre (e chi meglio di lui?) ispirata ai suoni dello stormire delle fronde, al canto degli uccelli e allo scrosciare dell’acqua di una cascata o di un fiume che scorre nel suo letto.
Ma al di là dell’esperienza che, come va di moda dire, definirei decisamente immersiva, l’aspetto che da appassionato fotografo mi colpisce di più è una magia che non è da tutti saper creare. Una magia che Salgado compie con le alchimie del suo leggendario bianconero, grazie al quale ci è concesso di cogliere tutte le possibili sfumature di verde della foresta attraverso mille impossibili sfumature di grigio, dal bianco al nero e ritorno. E quando ti rendi conto che non è una magia, sei ormai dentro la foresta e non ne vorresti più uscire.
In questa giungla disegnata dall’acqua puoi scoprire meraviglie a volte reali, a volte immaginarie, eppure tutte vere: fiumi che scorrono placidi e sinuosi per poi allargarsi a ventaglio in cento canali, piante di ogni genere che sembrano fare a gara per arrivare più in alto possibile, nuvole gonfie che sembrano stampate in 3D, nebbie che accarezzano gli alberi e pian piano li inghiottono, la foresta che sembra tuffarsi nel Rio delle Amazzoni il quale si trasforma, nella magia di Salgado, in segno grafico che indica vita, attraversando in diagonale la metà esatta di una foto in grande formato appesa alla parete della Fabbrica.
Il “fotoreporter della natura” ha impiegato sette anni di ricerche e di lavoro, a volte anche in condizioni davvero difficili, per arrivare a questa mostra, in cui la protagonista è la più grande foresta della Terra e che lui racconta proponendo come su un palcoscenico fantastico tutti i suoi abitanti, popoli compresi pertanto: gli Awá-Guajá, ridotti a 450 persone, la tribù indigena più minacciata del pianeta; gli Yawanawá, che, sul punto di sparire, hanno ripreso possesso delle loro terre e della loro cultura; e i Korubo, una delle tribù che hanno meno rapporti con il mondo al di là degli alberi; gli Zo’è il cui nome significa “Noi siamo persone”, che più di altri hanno avuto contatti con i “bianchi” e il cui ambiente è rimasto protetto dalle devastazioni perché il terreno, al confine tra Brasile e Guiana, è roccioso, impervio, difficile da raggiungere anche attraverso il fiume.
Ogni popolo con i suoi usi, le sue abitudini, le sue caratteristiche che Salgado ha ritratto in set fotografici improvvisati in mezzo alla giungla, con gli sfondi avvolti nella tela cerata per poter essere srotolati ma soprattutto riavvolti rapidamente al sicuro in caso (molto frequente) di pioggia. Due video completano il percorso di visita, che lascia tutti ammirati, soprattutto i bambini che sono moltissimi, anche se questo non è giorno di scuola.
“Il mio desiderio, con tutto il cuore, con tutta la mia energia, con tutta la passione che possiedo – ha spiegato Salgado presentando la sua opera - è che tra 50 anni questa mostra non assomigli a una testimonianza di un mondo perduto. L’Amazzonia deve continuare a vivere e ad avere sempre nel suo cuore i suoi abitanti indigeni”. Amazônia, questo il titolo della mostra, è curata dalla moglie del grande fotografo, Lélia Wanick Salgado, e sarà visitabile fino al 28 gennaio 2024.
(Info sul sito https://salgadoamazonia.it/)