STADI, L'ITALIA
INSEGUE I MONDIALI
FRA ANNUNCI
E ANTICHI ERRORI

(Lo stadio Olimpico a Roma)

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In Italia è più facile vincere per tre volte di seguito la Coppa Davis che costruire uno stadio. Nel 2032 dovremmo accogliere gli Europei di calcio insieme alla Turchia ma c’è il rischio di avere pochi impianti in grado di farlo. Entro l’ottobre 2026 bisogna indicare i cinque stadi dove si giocheranno le partite. Sono 12 gli impianti in lizza ma ad oggi l’unico ad avere tutti i requisiti richiesti dall’Uefa è l’Allianz Stadium della Juve a Torino. Bergamo e Udine hanno ottime strutture. Per il resto è una corsa contro il tempo, a cominciare dal nuovo San Siro. Anche Roma, il club che è in cima alla serie A, sta per annunciare il lieto evento che avverrà a Pietralata ma l’Europeo si giocherà all’Olimpico. A Firenze i lavori del nuovo Franchi procedono tra ritardi e qualche certezza (chiusura dei cantieri nel 2029). Il governo Meloni ha nominato anche un commissario ad hoc (non sia mai che si faccia qualcosa senza un commissario…) ma è una sorta di fantasma, Massimo Sessa non si è ancora insediato.


(L'Allianz Stadium a Torino)


Eppure la costruzione delle case del calcio potrebbe essere il segnale per varare finalmente una diversa politica del territorio, sana, ragionata, utile per i cittadini. In modo da cancellare il solito copione di speculazione e rapina che ben conosciamo. Non è una questione che riguarda lo sport. Interessa invece il Sistema Paese. Prendiamo il Maradona a Napoli. Non è soltanto un semicesso, come sostiene De Laurentiis. È anche uno stadio che sta nel posto sbagliato. Sabato scorso, un’ora e cinquanta minuti prima che iniziasse Napoli-Atalanta il Maradona ha tremato. Alle 18,55 i sismografi hanno registrato una scossa di terremoto nei Campi Flegrei di magnitudo 3 sprigionatasi a soli 2 chilometri di profondità. Dentro e fuori il catino di Fuorigrotta qualcuno ha sentito la piccola botta, molti altri no. D’altro canto da quelle parti si è fatta l’abitudine alle oscillazioni della terra del bradisismo: ogni giorno da Pozzuoli a Bacoli, da Quarto a Monte di Procida, in molti quartieri di Napoli si avvertono scosse di terremoto a ripetizione. Lo chiamano sciame sismico. Il 30 giugno scorso c’è stata una scossa più forte delle altre, magnitudo 4,6, che ha terrorizzato gli abitanti sfibrati da paure e angosce da troppo tempo.


(Lo stadio di Bergamo)


Il Maradona sta nella conca vulcanica dei Campi Flegrei che da vent’anni conoscono una crisi senza precedenti, con la terra che si solleva ad una velocità che ora ha raggiunto in media i 25 millimetri al mese, una risalita di oltre un metro e mezzo dal novembre 2005 (156,5 centimetri secondo gli ultimi dati dell’Osservatorio Vesuviano). Quando lo stadio venne costruito, negli anni Cinquanta del secolo scorso, nessuno si pose il problema che l’impianto – che è del Comune di Napoli – sorgesse dentro un enorme cratere. Allora il bradisismo era materia da libri e da studiosi. Tra Pozzuoli e Fuorigrotta c’è di tutto: certo troppe case costruite senza alcun criterio urbanistico, spesso fuorilegge. Ma c’è tanto altro tirato su dallo Stato: dall’Accademia Aeronautica alla Facoltà di Ingegneria dell’Università Federico II, undici piani. "Non si doveva costruire lì" disse tomo tomo cacchio cacchio il ministro Musumeci, quello che confonde i terremoti. A pensarci bene, una bacchettata anche agli antichi romani che in quel territorio splendido, ricco di storia e di sibille, costruirono ville, acquedotti, terme.


(Lo stadio di Udine)


Adesso dilagano malcontento e sfiducia per le scarse iniziative della politica, del governo innanzitutto, per fronteggiare la crisi. Sotto accusa anche la scarsa informazione della comunità scientifica: la gente pretende chiarezza e teme soluzioni che la portino molto lontano da quella terra. "Ma perché non ve ne andate…" è il ritornello più stupido che si possa ripetere. In questo scenario non proprio tranquillo, si parla del nuovo stadio del Napoli. Da un lato, il Comune vuole ammodernare il vecchio Maradona in previsione degli Europei. Si prevede una spesa di 200 milioni di euro, la ristrutturazione del terzo anello, una capienza da 70 mila posti. Dall’altro lato, c’è Aurelio De Laurentiis che ogni tanto tira fuori la questione stadio dal suo personalissimo cilindro (come fa del resto per il Centro sportivo del club). Anni fa individuò a Bagnoli l’area per costruire il nuovo stadio sui terreni che furono dell’Italsider, contaminati da mille veleni. La bonifica non c’è mai stata; finalmente pare avviarsi tra lentezze e problemi. Siamo sempre nella zona flegrea a pochi chilometri dallo stadio attuale, su un terreno prospiciente le acque dell’isolotto di Nisida che dovrebbero ospitare i team dell’America’s Cup di vela tra due anni.


(Lo stadio Maradona a Napoli)


L’ultima richiesta del presidente del Napoli è di costruire il nuovo stadio nella zona di Poggioreale, dove c’è un grosso mercato. Il Comune ha detto no, lui insiste. Invece a Napoli - ma anche altrove - dovrebbero mettersi attorno ad un tavolo e valutare che cosa fare. La zona dei Campi Flegrei va decongestionata, mantenere il Maradona lì è un errore. Quello stadio ha resistito alle scosse del terremoto dell’Irpinia di 45 anni fa. È una struttura solida ma ha le rughe della vecchiaia. E allora si può cominciare da Napoli a lanciare il segnale di voler governare il futuro in maniera razionale e moderna con una pianificazione urbanistica seria e al servizio della città, pensando ad esempio ad un polo dello sport (a Napoli manca da anni un palazzetto) in una zona “tranquilla” e attrezzata, facilmente raggiungibile con mezzi pubblici e privati, dotata di parcheggi, ristoranti, negozi. Occorrono grandi capitali, d’accordo. Servono la mano privata e quella pubblica. Ma lo stadio ideale non sta solo nel mondo dei sogni. In Europa ne hanno fatti 200 in quindici anni, durante i quali siamo stati a guardare.

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