Sono andato a guardare il tabellino dei giocatori mandati in campo all’inizio di Juve-Milan di domenica scorsa per vedere quanti italiani e quanti stranieri fossero in campo. Certe riflessioni tornano inevitabili quando ci aspettano due settimane di squadre nazionali impegnate per le qualificazioni mondiali (l’Italia di Gattuso gioca sabato 11 ottobre con l’Estonia a Tallinn e martedì 14 con Israele a Udine). Tra le due squadre del match clou, la Juve è stata quella più autoctona. Tudor ha schierato al fischio primario dell’arbitro Guida 5 calciatori italiani e 6 stranieri. Allegri al contrario ha messo solo 2 italiani e ben 9 stranieri. Quindi su 22 giocatori 15 erano stranieri: 4 francesi, 2 inglesi e 2 statunitensi, 1 per sette nazionalità diverse, vale a dire Portogallo, Turchia, Messico, Belgio, Serbia (diventeranno 3 nella ripresa), Croazia, Canada. Nell’ultimo week-end le altre squadre di vertice hanno messo in campo: il Napoli 9 stranieri e 2 italiani – come il Milan - , la Roma 8 stranieri e 3 italiani , l’Inter 7 stranieri e 4 italiani, l’Atalanta 8 stranieri e 3 italiani, il Bologna 8 stranieri e 3 italiani.

Il record storico appartiene a quell’Inter-Udinese dell’aprile 2016 quando all’avvio della partita non c’era nessuno italiano. E sette anni prima, nel 2009, in Portsmouth-Arsenal di Premier League non comparivano player inglesi quando l’arbitro mise la palla al centro. In un calcio mondializzato da tempo, certi conteggi possono sembrare inopportuni. Bisognerebbe guardare più allo spessore tecnico, alla qualità degli atleti che i club chiamano in serie A e riflettere sulle scarse possibilità che hanno i giovani di seconde generazioni di inserirsi in prima squadra. Cosa che non avviene spesso neanche per quei ragazzi che hanno mamma e papà nati a Milano o a Palermo. Il nostro campionato assomiglia più a una casa di riposo che a un asilo. Per fortuna, qualcosa lentamente sta cambiando. Secondo Transfermarkt, sito web tedesco di informazioni di calcio, su 568 calciatori totali in Serie A nella stagione in corso, 380 vengono da altri Paesi (66,9%) per un’età media di 26,3 anni. Il fatto che sorprende è che l’Africa stia in seconda fila tra gli arrivi. La maggior parte viene dall’Europa – certo molti di loro hanno origini africane - e dal Sudamerica: in testa c’è la Francia con 30 giocatori, poi la Spagna (26), l’Argentina (21), il Brasile (16) come l’Olanda; subito dopo Danimarca e Croazia (15), il Belgio (13), la Serbia (11) come Polonia e Germania; e solo qui un Paese africano, la Costa d’Avorio con 10 come la Svizzera.
La Premier League è il campionato che ospita più stranieri. Su 550 giocatori, gli stranieri sono 390 (il 70,9%), età media 25,9 anni. Anche lì tantissimi francesi (40). Gli italiani che giocano in Inghilterra sono 11. La Liga spagnola su 496 giocatori ne ha 215 che vengono da fuori (43,39%),età media 27,2 anni. Qui il podio è fatto così: 23 dall’Argentina, 18 dalla Francia, 14 dal Marocco. Gli italiani sono 4. La BundesLiga tedesca (18 squadre a differenza delle 20 degli altri): su 519 giocatori in totale, gli stranieri sono 303 (58,4%), età media 25,7 anni. Infine la Francia: anche nella Ligue1 (18 squadre) 477 calciatori, 294 vengono da fuori (61,6%), età media 25,1 anni.

Questa Babele ricca e complessa che avvolge tutti gli sport pone dei problemi ai selezionatori delle squadre nazionali. Specie quando l’ambiente è recalcitrante all’apertura alla generazione Z e alla multietnicità. Il nostro calcio è conservatore, a differenza di altre discipline come il volley, il basket, l’atletica leggera. Il ritornello è noto: giocano troppi stranieri. Gattuso se ne lamentava già a inizio mandato: "Nella prima di campionato sono scesi in campo solo 97 italiani, un record negativo". Il problema c’è ma lo si supera probabilmente dando maggiore fiducia ai ragazzi – anche quelli nati da genitori extracomunitari - e giocando meglio. I nostri club però non investono sui giovani, tranne qualcuno. Preferiscono prenderli da fuori anche per questioni fiscali. Lo Strasburgo, secondo in classifica nella Ligue1, nella prima giornata di campionato ha fatto giocare solo ragazzi nati nel terzo millennio. La settimana scorsa in Champions League Luis Enrique ha gettato nella mischia contro il Barcellona, che non è la squadra della parrocchietta, Mbaye che è del 2008, Mayulu del 2006, Barcola 2002, Zayre-Emery 2006. I catalani avevano dentro Cubarsì e la stella Yamal entrambi del 2007. Il Paris SG ha vinto 2-1.

Da noi accade che Jeff Ekhator, attaccante del Genoa e della Under 21, colpisca di tacco un pallone arrivato con un traversone dalla destra e lo mandi in rete. Nello stadio che ha visto Diego Maradona fare queste cose. Ekhator tra un mesetto compirà 19 anni, è nato a Genova , genitori nigeriani, nel quartiere storicamente sampdoriano, Sampierdarena, la Manchester d’Italia come veniva chiamato un tempo per le tante fabbriche, ora un rione multietnico popolato soprattutto da ecuadoriani. Lui tifosissimo del Genoa è cresciuto all’oratorio Don Bosco, una istituzione che ha sfornato anche campioni. Io amo ricordarne uno scomparso da poco che non giocava a pallone: Marco Bonamico, il marine del basket. È lì che Jeff ha cominciato a tirare calci al pallone. Invece Honest Ahanor, bel difensore dell’Atalanta, non ha la cittadinanza italiana e potrebbe alla fine giocare con la Nigeria, paese d’origine dei genitori, arrivati in Italia su un gommone. È nato ad Aversa, nel Casertano. Poi la madre si trasferì in un centro di accoglienza, un’abbazia, ancora in Liguria, ancora Genova e il Genoa: "Sentivo i bambini che giocavano in un campetto vicino casa". Gilardino lo fece esordire in serie A poco più di un anno fa, aveva 16 anni. Non è ancora italiano. Deve aspettare il passaporto e i 18 anni per avere un timbro di italianità.