Massimiliano Allegri, ovvero il mestiere di allenatore. Che è il più difficile su un campo da gioco. Alla mercé di tifosi che fanno i tifosi e non capiscono un tubo della materia e dei giocatori, volubili e coccolati da quelli (ci sarebbero anche i giornalisti, ma negli ultimi tempi hanno smesso di graffiare e preferiscono lisciare). Allegri era considerato più che bollito prima di questa nuova avventura al Milan, portato in cima al campionato a pari punti con il Napoli e la Roma. La vera sorpresa (e anche qui c’è di mezzo un tecnico, Gasperini, capace di cavare sangue dalle rape). I tifosi della Juve lo rincorrevano con i forconi dopo il biennio di magra, negli studi televisivi si celebravano processi e il livornese veniva condannato per aver violato l’articolo 1 del calcio moderno: lo spettacolo.
Lui e Fefè De Giorgi sono stati i protagonisti della scorsa domenica. Per carità, Fefè stava molto meglio di Massimiliano, ma chissà dove sarebbe adesso se non avesse vinto il mondiale del volley, con la statua di Julio Velasco davanti come quella del Commendatore nel 'Don Giovanni' di Mozart. In una delle sue ultime litigate in tv con Lele Adani – che poi fu allontanato da Sky: Adani può piacere o meno, ma non è un mezzobusto tartufo – il comandante Max espose il suo credo calcistico: "Giocare bene al calcio è molto semplice, però tra giocare bene e vincere ci passa una roba sottile che sembra sottile ma sottile non è. Per giocare bene metto i terzini che fanno le ali, i centrocampisti di qualità ma quando alla fine tiri una riga, dove sei arrivato? Secondo, terzo, quarto…". In sostanza, non vinci. "Fare l’allenatore non è metterti al tavolino e disegnare schemi tattici . Infatti, c’è un problema in Italia, state diventando tutti teorici…".
Il calcio di Allegri è speculativo, pragmatico, “all’italiana” che oramai suona come un’offesa. È un calcio dove l’allenatore conta il cinque per cento, come gli piace dire: largo alla fantasia dei giocatori. Con il suo Milan ha infilato un Napoli rabberciato in difesa con due contropiedi micidiali, oh scusate, ripartenze. È la teoria del “corto muso”, il suo mantra, basta un gol di scarto per vincere, un muso di un cavallo su un altro al fotofinish per arrivare in alto. Lui ha una scuderia di cavalli vincenti, uno lo ha chiamato proprio così: Corto Muso. Ha vinto sei scudetti, Allegri, cinque di seguito con la Juve, un altro nella sua prima vita al Milan; cinque Coppe Italia sempre con i bianconeri; tre Supercoppe italiane (una con il Milan e due con la Juve). Ha portato due volte in finale di Champions, senza afferrarla, la squadra degli Agnelli – Giampiero Mughini sostiene che non è più la squadra degli Agnelli, non è neppure più la squadra degli italiani e che dovrebbe addirittura cambiare nome: strano che non sappia che noi - che amiamo i colori e il bianco e il nero ci piace solo al cinema - di altri nomi alla Juve gliele abbiamo dati tanti.
Ma quella Juve aveva di fronte una volta il Barcellona di Iniesta, Messi, Neymar, Luis Suarez e un’altra volta il Real Madrid di Kroos, Modric, Benzema, Cristiano Ronaldo. Gli manca il grande successo internazionale, un po’ come Conte. In realtà, una volta arrabbiandosi ha detto che le sue squadre sanno difendersi e segnano molti gol: "Questa storia del corto muso mi ha stufato". Allegri è un tipaccio, è antipatico, ha litigato con mezza serie A, mente quando va in tv, altrimenti se dovesse dire quello che pensa a fine partita non lo farebbero parlare. E lui sarebbe felice. Da piccolo non credeva alle favole. Cresciuto al Coteto, quartiere di periferia di Livorno, madre infermiera, padre portuale, ha combinato poco a scuola. A Dario Cresto-Dina che lo intervistava per Repubblica, una volta disse: "Non ci credevo alle favole… La regola è vivere, che tu abbia mille euro al mese o diecimila… Questa città mi ha insegnato a non patire le differenze, chi non ha nulla ragiona come se fosse ricco sfondato. Io andavo male a scuola e ambivo a fare il preside. Non ci prendiamo sul serio, siamo difficili da capire, cani che abbaiano molto e mordono poco. Io mordo educatamente".
Infatti verso la fine delle partite comincia il suo show da tarantolato: si leva la giacca, lancia il cappotto, li sbatte per terra, prende a calci le bottigliette di plastica, probabilmente da toscanaccio chiama in causa tutti i santi del calendario. Però è capace come pochi di cambiare il corso di una partita e di fare le mosse giuste. È uno che non mortifica il talento e che sa trattare i giocatori. De Bruyne manda a quel paese Conte che lo sostituisce a San Siro e l’allenatore del Napoli mette subito le cose in chiaro ribadendo le gerarchie: "Mi auguro che De Bruyne sia contrariato per il risultato, in caso contrario ha trovato la persona sbagliata". Forse il conte Max quella frase non l’avrebbe mai pronunciata davanti alle telecamere. Domenica sera ritroverà la Juve, facendo finta di nulla.