JACOBS
E TAMBERI
PAURA DEL TRAMONTO

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L’alba e il tramonto. Iliass Aouani è un meraviglioso bronzo nella maratona della notte ai mondiali giapponesi e la prima cosa che dice con quegli sprazzi di barbetta sul viso è: "Sono orgogliosamente italiano, felice di regalare la medaglia al mio paese". Perché il suo paese è l’Italia, dove è arrivato dal Marocco che aveva pochi anni. Meglio chiarire, non si sa mai, avrà pensato l’ingegnere milanese. Il crepuscolo avvolge invece gli dei. "La testa mi dice che non riesco più a reggere queste delusioni, non so se continuare". Quattro anni e 44 giorni dopo l’impresa, su quella stessa pista di Tokyo dove vinse l’oro olimpico sui 100 metri, bissato nella staffetta, Marcell Jacobs sembra annunciare l’addio. Sesto nella semifinale con il tempo di 10 secondi e 16, un crono "che non facevo nemmeno quando gareggiavo anche nel lungo". L’uomo nato in Texas e cresciuto dalle suore dalle parti del lago di Garda, un nome americano senza dire una parola di inglese a quei tempi, pare pensare già ad altro. Avvilito Gianmarco Tamberi, subito fuori nell’alto: "Mi sento uno schifo, il mio risultato fa pena, però voglio subito ricominciare".


(La finale dei 10mila di Tokyo)


Ancora loro due, anche nel declino. Sono stati i protagonisti di un’estate indimenticabile e irripetibile, l’atleta dai muscoli gonfi (anche troppo) e dalla pelle istoriata dai tatuaggi, e lo showman della pedana con la sua barba a metà. Per entrambi una vita costellata di ascese e cadute, di infortuni e medaglie. Marcell è passato come una meteora, Gimbo ci ha rallegrato con le sue mattane, insieme hanno segnato il tempo che ha trasformato l’atletica leggera italiana. Eravamo fermi a Sara Simeoni e a Pietro Mennea. Oggi si investono 8 milioni di euro per stare tra i primi. E noi da casa accompagniamo al traguardo, sospingiamo quasi, Nadia Battocletti per farle acciuffare l’imprendibile Beatrice Chebet nello sprint finale, dopo mezz’ora di corsa nei 10 mila che tolgono il fiato, resistendo alla morsa delle africane. È l’Italia rovesciata dello sport, quella dove si confondono i colori della pelle e delle maglie. Quando cominciò a marciare dalle parti di Taranto, Antonella Palmisano aveva una maglietta su cui era scritto Atletica Don Milani. Lacrime, dediche e semplicità. Leo Fabbri lascia i microfoni della Rai urlando come un ultrà buono: alè Viola. Perché questi sono i giovani della porta accanto, quelli che ti tolgono di mano il bustone del supermercato che pesa dopo aver visto i tuoi capelli bianchi. Lo sport rende gentili e garbati. Ma non sempre si possono dividere i buoni dai cattivi con una riga in mezzo, come si faceva alla lavagna della scuola tanto tempo fa. I cattivi sono ovunque, anche in una corsia dei 200 metri. Non solo sui campi di pallone.

Il calcio intanto comincia a fare sul serio. Finalmente. Siamo tossicodipendenti dell’erba da stadio, anche di questo calcio gradasso e miliardario. Siamo invecchiati con la Luisona. Lo sport più popolare è oramai roba per ricchi: stanno pensando di andare a giocare Milan-Como in Australia perché a febbraio San Siro sarà ostaggio delle coreografie delle Olimpiadi invernali. Rob de matt. Forse ci ripenseranno ma prima o poi accadrà. Sarà per questo che cerchiamo la redenzione guardando e scrivendo di altri sport. Comincia dunque la Champions: 36 squadre, 189 partite, 2 miliardi e mezzo di premi, 527 partite su Sky (con le altre coppe). Ci alletta anche Paolo Sorrentino quando rivela a Fabio Caressa - con una faccia un po’ da fessacchiotto, ci perdoni maestro - che lui si è messo comodo, tanto il film lo scrivono i fuoriclasse del pallone. Spremuti come limoni fino a maggio. Anche noi ci sdraiamo sul divano vogliosi di assistere a gol e a partite bellissime, quelle, s’intende, dove vince la nostra squadra. Adesso in Serie A hanno messo pure il terzo occhio dell’arbitro, per vedere l’effetto che fa. Ecco la Refcam, microcamera di 6 grammi, appoggiata sull’archetto del microfono del poveruomo, quasi infilata nell’orecchio. La trasformazione dell’arbitro in cyborg è completa. La Champions ha 70 anni, di quella prima sfida tra Sporting Lisbona-Partizan Belgrado del 4 settembre 1955 non vi è più traccia.


(Il derby d'Italia)


Il calcio moderno è una industria di intrattenimento, uno show continuo con i salottini tv prima delle partite: Diletta la benedetta, Luca Toni e Bobo Vieri sono cabaret allo stato puro. Il cartellone prevede: Juve-Borussia Dortmund; Ajax-Inter; Paris Saint Germain-Atalanta; Manchester City-Napoli. Il Paris SG campione ha tutti contro, le sei inglesi belle e ricche innanzitutto. Il Barça e il Real vogliono rifarsi. E tanto per gradire 3-0 del City nel derby con lo United, paratona di Donnarumma. In campionato si sta mettendo male per il povero Chivu con un’Inter colabrodo. Ha perso anche a Torino con la Juve dei giovani Yldiz e Adzic in una gara con sette gol, un pranzo al sacco avrebbe detto Adani. Dopo solo tre partite e tre soli punti aleggia già qualche fantasma sul tecnico romeno: un Mourinho pure di seconda mano. Perdono Roma (con il Torino) e Lazio (con il Sassuolo), Gasperini e Sarri hanno problemi e domenica c’è già il derby: si giocherà presto per paura, di giorno la guerriglia tra tifosi si vede meglio. Napoli e Juve sono a punteggio pieno (9 punti), in attesa della Cremonese. Il Milan è lì grazie ad una magia del vecchio bucaniere Modric: 1-0 al Bologna. Di corto muso come piace ad Allegri che si è tolto la giacca perché non gli hanno dato un rigore e l’arbitro, sedotto dai racconti interminabili su Armani, l’ha buttato fuori.

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