Oggi è la Festa della Liberazione. Del tifoso. Chiude il supermercato del calcio, finiscono le palpitazioni, chi c’è c’è, chi non c’è non serve. Due mesi di inferno. Giocatori che ci cascano addosso come se piovesse, centinaia e centinaia di milioni come fossero bruscolini, prestito con diritto di riscatto, prestito con obbligo di riscatto, clausola rescissoria, nomi mai sentiti come scioglilingua. Viene il mal di testa. E quello che fa: ma vai da Conad. Al Milan invece ci va Rabiot, Zhegrova e Musah vanno alla Juve e all’Atalanta. Alla Cremonese approda un vecchietto illustre, Jamie Vardy, la leggenda del Leicester di Ranieri. Modric, De Bruyne, Immobile e Albiol al Pisa. Ora Vardy, è la serie A dell’INPS. Manca l’Inter nel gruppo di testa composto da Napoli, Juve, Cremonese e Roma. Lautaro e compagni sono andati a sbattere, come una Ferrari qualsiasi, contro il muro dell’Udinese. Neanche il tanto invocato ingresso di Francesco Pio Esposito, fresco di chiamata in nazionale, il più celebre e in ascesa dei three brothers di Castellammare di Stabia , è servito almeno per pareggiare.

Per oggi le comiche: l’arbitro Marchetti annuncia a tutta San Siro che darà un rigore all’Udinese ma nessuno lo sente, il microfono non funziona. Siamo soltanto alla giornata numero due ma in casa nerazzurra sono riaffiorati i fantasmi del finale della scorsa stagione e molti già storcono il muso su Chivu. Così va il nostro calcio, che si diverte anche a fare scherzi. La Juve ha fatto il pieno di vittorie grazie anche al secondo gol in due gare di Dusan Vlahovic (e a una traversa del Genoa all’ultimo secondo). Vlahovic è il parassita da 12 milioni di euro all’anno, stramaledetto dai tifosi e messo alla porta dalla società che non badava a spese fino a ieri. Tudor lo tiene in panchina poi lo fa entrare e il serbo segna. Siccome ha un bel caratterino, prima o poi dopo un gol farà tie' verso la tribuna bianconera. Adesso pare che la telenovela Kolo Muani sia finita. Gasperini invece vorrebbe ancora un paio di giocatori, intanto la Roma è lassù. Due partite, due gol fatti e subiti zero. Il gasperinismo già si vede: squadra propositiva, gente che sa che cosa fare nella trequarti avversaria, Dybala, Ferguson e Soulé un trio che diverte. Chi sta in panchina rimane il primo, gran motore mobile.

Gasperini, Conte e Allegri sono allenatori che imprimono un marchio, cambiano la storia di un club, leggono e risolvono le partite come un Kasparov, un Fischer davanti alla scacchiera. Certo Roma, come Napoli, non è una piazza tranquilla. A Roma sfottevano Luis Enrique chiamandolo Stanlio. Adoravano invece Mourinho che ultimamente non ne imbrocca una e con i giallorossi ha vinto l’ultimo trofeo, la Conference League nel 2022. Purtroppo a Pisa un manipolo di farabutti arrivato dalla capitale si è fatto notare per buffonate da fascistelli. Si è ripresa a suon di gol la Lazio di Sarri, il Bologna ha ridimensionato il Como, la Fiorentina procede a piccoli passi. Stop Serie A. Tocca alla nazionale di Gattuso il quale, poveretto, prova a incollare i cocci di una squadra che ha avuto l’ultimo sussulto nella vittoria del luglio del 2021 agli Europei di Inghilterra sulla ruota della fortuna. Il calcio italiano è un malato cronico. Nessuno però impone farmaci, i dirigenti sono no vax.

Non è questione soltanto di risultati. Prendiamo ad esempio qualche dato della prima giornata della serie A. Sono scesi in campo solo 77 giocatori italiani su 220 titolari (l’ha scritto Marcello Di Dio sul Giornale). Su 473 calciatori convocati, gli italiani erano 170, poco più di uno su tre. Il Cagliari è il club autarchico, il Como quello più strangers. Un altro piccolo sintomo della malattia: la Federcalcio ha deciso in questi giorni di rinunciare a concorrere per organizzare l’Europeo femminile del 2029, dando via libera ad altri Paesi con Danimarca e Svezia in pole position. Non abbiamo stadi e infrastrutture adeguate. Ezio Maria Simonelli, che è il numero 1 della Lega, ha detto che, fatta eccezione per gli impianti di Udine, Torino e Bergamo, il resto degli stadi nostrani "è in uno stato comatoso". Quindi potrebbero toglierci anche gli Europei del 2032 (che dovremmo ospitare con la Turchia). Federcalcio e Lega fanno a scaricabarile con la politica, che pure è colpevole, sulle responsabilità del coma. Gabriele Gravina, il don Abbondio al vertice, si pavoneggia con i dati dell’ultimo Report elaborato dal Centro Studi Figc: oltre un milione di tesserati, 1.131.906 per la precisione, con quasi 900 mila giovani tra ragazzi e ragazze (quest’ultime più che raddoppiate).

Il calcio continua ad avere un impatto sul nostro Pil intorno al 12,4 miliardi. Se Sinner non si offende, il pallone resta lo sport nazionale. La domanda però sorge spontanea: che fine fanno questi ragazzi? Moltissimi lasciano, è ovvio, ma tutti gli altri? Le mamme italiane non fabbricano più i Totti, i Baggio, i Del Piero, i Buffon e nei cortili non si gioca più. Quelli che vanno avanti finiscono in un limbo. Se arrivano sui grandi palcoscenici devono pulire gli scarpini ai più grandi. Oppure, come accade per medici, architetti, ricercatori se ne vanno all’estero. Ok, è un mercato globalizzato. Chi investe su un ventenne in Italia? Quale squadra scaraventa in campo un giovane dalla faccia da bambino, 17 anni il 29 agosto, nei minuti finali di una partita che stai pareggiando e quello ti segna al minuto 100 il gol della vittoria? Da noi nessuna. In Inghilterra invece succede. È capitato in Newcastle-Liverpool, stava finendo 2-2 e sul filo di sirena Rio Ngumoha ha piazzato la botta decisiva. La Premier è spendacciona e indecente, oltre 3 miliardi di euro per questo mercato, però poi i ragazzi li fa giocare.

Mortificati dalla Norvegia, sotto Spalletti, Gattuso ha bisogno di sei vittorie per raggiungere i play off, gli spareggi per il mondiale dell’anno prossimo in America. Acchiappare Haaland e compagni sembra impossibile: servono non solo sei vittorie ma anche una montagna di gol. In questi giorni ci aspettano prima l’Estonia e poi Israele. A proposito, perché non si può far finta di niente, colpisce quanto ha scritto Paolo Giordano sul Corriere della Sera parlando della manifestazione pro Palestina a Venezia e di un documentario sulla vita di Seymour Hersh, il famoso giornalista statunitense che raccontò al mondo il massacro di Mỹ Lai (ma anche le sevizie nel carcere iracheno di Abu Ghraib e, di recente, il controverso sabotaggio del gasdotto Nord Stream) il piccolo villaggio vietnamita dove le truppe americane uccisero centinaia di civili inermi, bambini, vecchi, donne nel marzo del 1968. Ebbene, scrive Giordano, ad un certo punto del film, Hersh ricorda: "C’era questa verità enorme (laggiù in Vietnam) a cui non sapevo come arrivare". Da questa frase lo scrittore torinese trae spunto per manifestare una sensazione che è in molti di noi a proposito di Gaza. Conosciamo quanto sta accadendo laggiù ma non sappiamo come arrivarci. I governi europei si trovano in una impasse, Trump vuole farci un resort di lusso e dare 5 mila dollari a chi va via. A fronte di una protesta che invece sale dal basso, sbrindellata, contraddittoria, a volte sbagliata. Ma che crede, disperatamente, che possa ancora servire a fermare uccisioni e deportazioni.