TRE RETTRICI A MILANO
ORA FATECI SOGNARE

Marina Brambilla è la prima donna alla guida dell’Università Statale di Milano. Ha stravinto al ballottaggio su Luca Solari, 1652 preferenze contro 645. Questa la sua dichiarazione al Corriere della Sera: “È una vittoria della comunità della Statale e anche per le donne. Dopo 100 anni possiamo rappresentare anche i vertici del nostro ateneo, e io vorrei che questo fosse un risultato anche per tutte le colleghe e studentesse: il passato che abbiamo ereditato ha dei confini che andremo a riscrivere. Non sarà più un’eccezione poter contribuire anche ai vertici delle istituzioni con il nostro lavoro”.

È la terza rettrice a entrare in carica a Milano. Nel 2023 anche il Politecnico aveva eletto Donatella Sciuto, la prima donna al massimo incarico, e nel 2019 lo aveva già fatto l’Università Bicocca con Giovanna Iannantuoni che dallo scorso anno è anche la prima donna presidente della CRUI, la Conferenza nazionale dei rettori delle università italiane.

Marina Brambilla

Evviva! Come in ogni momento che si vorrebbe di portata storica giornali e siti sono pieni di commenti mirabili, dal frivolo “la Statale finalmente in rosa” al solenne “Il soffitto di cristallo è stato finalmente rotto”, fino all’immancabile classico “Nulla sarà più come prima”. Però di fronte all’entusiasmo generale qualche dubbio rimane. Il primo deriva dall’esperienza. Ogni volta che abbiamo visto le donne occupare posizioni tradizionalmente maschili ci siamo poi velocemente rese conto che i posti erano diventati disponibili (e contendibili) perché gli uomini non li giudicavano più così interessanti. Troppo onerosi, non sufficientemente pagati e meno prestigiosi di un tempo.

Il secondo dubbio riguarda la reale capacità di rottura delle regole e dello status quo da parte delle donne neo-nominate ai vertici. Spesso infatti appartengono al sistema che le sceglie, ne sono parte integrante da tempo e hanno dato sufficienti garanzie di continuità. Nel caso specifico delle rettrici parliamo di tre donne che sono state in posizione di rilievo per diversi anni. Marina Brambilla era prorettrice delegata ai servizi per la didattica e agli studenti; Donatella Sciuto è stata prima vice rettore e poi vice rettore esecutivo; Giovanna Iannantuoni era presidente della Scuola di dottorato di economia.

Donatella Sciuto

Il terzo dubbio – il più difficile, quello che solo a sussurrarlo attira sguardi malevoli e commenti taglienti – riguarda la difficoltà a dare per scontato il valore delle donne, di tutte le donne. Viviamo in una città che ha sperimentato le gioie del primo sindaco donna, Letizia Moratti, che non si è esattamente distinta per la buona amministrazione. Impossibile dimenticare la relazione dei revisori dei conti del comune sul bilancio 2010 a proposito dei buchi coperti solo da operazioni straordinarie ed entrate una tantum come proprio non si dovrebbe fare. O la sua condanna in via definitiva da parte della Corte dei conti a versare oltre 591 mila euro per due voci di spesa: 11 incarichi dirigenziali esterni a non laureati per quasi 1 milione e 900 mila euro, e retribuzioni ritenute troppo costose, più di 1 milione, di alcuni addetti stampa.

E ancora, viviamo in un paese dove la prima donna premier oscilla tra il farsi chiamare “Il signor presidente del consiglio” e il dichiarare che “La festa della donna non è solo un giorno di celebrazione, ma un’occasione per riflettere sulle conquiste raggiunte e sugli obiettivi ancora da perseguire”. Nel mezzo ci sta la retorica di una dimensione femminile comunque subalterna, tutta interna a una famiglia tradizionale che si fatica persino a ricordare, figuriamoci a trovare.

Giovanna Iannantuoni

Ma non si vuole perdere la speranza. Tre rettrici in una sola città e alla testa di tre università che insieme contano oltre 140mila iscritti sono una grande opportunità. Potrebbero fare davvero la differenza. Ora e nel futuro. Potrebbero dimostrarci che Milano torna ad essere la città delle opportunità per tutti, quell’ascensore sociale che nel secolo scorso ha permesso ai figli degli immigrati operai delle industrie milanesi di diventare ingegneri, avvocati, medici, manager, direttori… Potrebbero cambiare la narrazione di Milano, non più città vetrina destinata ai ricchi del mondo, ma laboratorio di nuove economie e nuove socialità. Potrebbero seppellire le baronie in nome prima di tutto della loro stessa libertà d’azione.

A tutte le rettrici l’augurio di riuscire se non a infrangere il soffitto di cristallo per le decine di migliaia di studentesse che popolano i loro atenei, almeno di avere la forza di uscire dalle logiche perverse, burocratiche e così maschili del posizionamento nel ranking mondiale delle migliori università dando invece la priorità alla qualità della ricerca e dell’offerta didattica, agli interessi degli studenti e al diritto allo studio.

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