CIAO, LA LIBERTÀ
IN CICLOMOTORE
FRA TRAFFICO E CAMION

Fu il premio per la promozione in quinta ginnasio nel 1969. Dopo una estenuante battaglia. Ogni tanto mi chiedo come siamo sopravvissuti noi boomers: il casco non esisteva proprio. E lui era un fuscello. Lui era il Ciao , molto più di un semplice ciclomotore: è stato un vero e proprio fenomeno di costume e un simbolo di libertà per intere generazioni. Prodotto dalla Piaggio dal 1967 al 2006, ha venduto milioni di esemplari ed è ancora oggi riconoscibile e amato.



Il Ciao fu presentato l'11 ottobre 1967 alla Fiera del Mare di Genova, frutto del lavoro dell'ingegner Bruno Gaddi e del team Piaggio. L'obiettivo era creare un mezzo di trasporto economico, leggero e facile da usare, che si ponesse a metà strada tra una bici e una moto. E ci riuscì in pieno. Linee pulite, quasi da bicicletta, con un telaio semplice e un motore ben integrato. Pesava circa 40 kg, era estremamente maneggevole e facile da guidare, anche per noi ragazze, a cui inizialmente era rivolto in modo particolare. Per i ragazzi c’era la Vespa 50.



Lo slogan pubblicitario "Chi Vespa mangia le mele" veniva riadattato dalle ragazze: anche “Chi Ciao mangia le mele”. Divenne un tormentone, e il titolo del film "La Boum" del 1980 (la festa) venne tradotto con "Il tempo delle mele". Lo slogan della Vespa, nato nel 1969, giocava sull'ambiguità del termine "vespare", che all'epoca, oltre a indicare l'azione di andare in Vespa, era usato anche per riferirsi al "petting". L'associazione con la mela, frutto del peccato, creava un'allusione maliziosa e giocosa alla sfera della sessualità adolescenziale.



"Il tempo delle mele" pur non avendo un significato letterale in francese evocava metaforicamente il periodo della crescita, della scoperta dell'amore e della sessualità, un'età "acerba" e in fase di maturazione, proprio come le mele. Lo slogan della Vespa e il titolo del film riflettevano lo stesso immaginario culturale degli anni '70, legato alla scoperta e all'esplorazione della sessualità e all’avvio dell’unica rivoluzione pacifica che abbia avuto successo, quella delle donne.

Una delle peculiarità del Ciao era l'avviamento a pedali. Se la benzina finiva, o se semplicemente si voleva fare un po' di esercizio, si poteva pedalare come una bicicletta. Era incredibilmente economico da acquistare (all'epoca circa 55.000-66.000 lire, meno della metà dello stipendio medio di un operaio) e da mantenere, con consumi irrisori Il Ciao divenne rapidamente un successo clamoroso. Fu il ciclomotore più venduto in Italia, con oltre 3,5 milioni di esemplari prodotti in quasi 40 anni. La sua diffusione fu tale che divenne parte del panorama italiano.



Anche il Ciao aveva il proprio slogan pubblicitario: “Le sardomobili hanno cieli di latta. Liberi chi Ciao", che catturava perfettamente lo spirito del tempo, contrapponendo la libertà e l'agilità del ciclomotore alla staticità e al traffico delle automobili. Era un simbolo di libertà e indipendenza. Per molte di noi, il Ciao rappresentava il primo vero mezzo di trasporto, la possibilità di muoversi autonomamente, raggiungere gli amici, andare a scuola o al lavoro senza dipendere dai genitori. O dal ragazzo, che avendo la Vespa 50 pretendeva di caricarti. Cosa vietata ma possibile grazie al sedile lungo. Era il mezzo perfetto per le scorribande con le amiche, per raggiungere il mare o la campagna. Io da Terracina ci andavo fin dopo Sperlonga, quando sulla statale giravano tutti i camion. Il Ciao, uno dei tanti pericoli a cui siamo sopravvissute.



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