Doveva essere il 1962, al più tardi il 1963. Avevo dieci anni ancora da compiere. Le mie estati era interminabili: sempre a Ostia, sempre con mia nonna (i genitori e il nonno arrivavano solo sabato sera per riprendere il trenino domenica sera). Il bagno si faceva al Plinius, me lo ricordo bianco e blu, con una tonalità di blu chiaro, molto marina.
Quell’anno c’era anche mio cugino Dario e un giorno salendo le scale dello stabilimento vedemmo per terra una banconota da mille lire. Mille lire! Non le avevo mai tenute in mano. C’era Giuseppe Verdi con molto bianco intorno, erano grandi, ma niente in confronto alle diecimila lire color mattone che mio nonno doveva piegare in quattro per farle entrare nel portafoglio.

Voi non ci crederete ma insieme io e Dario decidemmo di comprarci un regalo per mia sorella Loretta e sua sorella Barbara. Nei negozietti di casalinghi della Stella Polare (è una zona e una stazione di Ostia, oggi come allora) dove si vendevano cianfrusaglie e palette da mare, costumi e ciambelle, ombrelloni e giocattoli trovammo una ambitissima Mucca Carolina.
Per chi non se lo ricordasse (o avesse la fortuna di non averla mai vista per meriti di età) era un pupazzo gonfiabile che serviva per fare il bagno a mare. Lungo quasi un metro dalle corna alla coda, con le quattro zampe allargate per mantenere l’equilibrio nell’acqua (ma si usava anche per terra come una specie di sedia totemica). La nostra incomprensibile generosità (davvero non ho idea perché non ci fossimo comprati una pistola ad acqua, le piastrelle, la fionda) non durò molto e dopo qualche giorno Carolina finì bucata e da buttare.
Non c’è nulla di memorabile nella Mucca Carolina. O forse sì. Era un prodotto pubblicitario della Invernizzi che produceva stracchino, formaggini – quello legato alla Mucca si chiamava pretenziosamente Milione - e latticini. Invernizzi e Galbani (che vendeva e vende ancora il Galbanino e il Bel Paese e che aveva lanciato il suo gonfiabile che si chiamava Ercolino sempre in piedi come ha raccontato qui Silvia Garambois) si facevano la guerra per un mercato nascente.

Gli alimentari erano un grande e obbligatorio consumo che stava diventando una vera industria. Sembrerà strano ma in quei primi Sessanta, quando si andava in negozio a comprare la pasta, non si trovavano le confezioni e le marche: il bottegaio (a Roma li chiamavamo pizzicaroli) ti incartava gli spaghetti presi da una grande confezione pesandoli e avvolgendoli in una carta azzurrina (carta da zucchero era il nome, perché anche lo zucchero si metteva in dei cartocci di quel colore), il caffè era in chicchi o macinato e infilato in immancabili buste a righe bianche e verdi o bianche e blu.
Di che marca fossero non importava a nessuno. I formaggi e i salumi venivano dalle campagne, da Amatrice o da Norcia o da luoghi del Lazio dove una lunga tradizione di emigrazione sarda aveva portato il pecorino. La groviera era esotica, il gorgonzola una rarità. Il parmigiano te lo macinavano all’istante e se ne comprava mezz’etto alla volta, il giusto per mangiarci una pastasciutta, non di più. A casa non c’erano i frigoriferi, al massimo qualche ghiacciaia di legno e zinco dove si infilavano le stecche di giaccio portate in spalla da operai che sembravano monatti, visto che avevano il capo protetto da sacchi di iuta e non li si vedeva mai in faccia.
Anche i biscotti a casa mia erano di una solo marca e di un solo tipo: i Gentilini, fatti a Roma da una industria antica che sta sulla Tiburtina e che venivano comprati a etti. I formaggi (e poi il vino) furono i primi a diventare una industria. Galbani e Invernizzi erano tutte e due del Nord. Il primo si trovava a Melzo vicino Milano, il secondo era a Caravaggio in provincia di Bergamo, ma all’epoca queste cose non le sapevamo. Partiti come lattai negli anni Sessanta avevano diverse centinaia di operai e si facevano la guerra.
Era il miracolo economico e l’Italia stava smettendo di essere un paese agricolo per diventare un paese di manifattura industriale. Anche nel campo alimentare. Quel progresso era un bene? Per il Pil e per le tasche della gente sì. Per le nostre pance mica tanto: la qualità si abbassava enormemente, la sicurezza alimentare fu un problema che le leggi provarono a regolare decenni dopo. I pupazzi riempivano i desideri dei bambini e soprattutto riempivano di canzoncine e sketch i primi Caroselli: una cosa tanto importante che quella pubblicità non era una “interruzione”, era il programma più visto di tutta la Rai e forse uno dei più belli. Il boom ci passava sotto gli occhi e aveva la forma di una mucca di plastica con delle ridicole macchie nere.