VELLUTO, SALE PIENE
E SIGARETTE
QUANDO ANDAVAMO
AL CINEMA

Si usciva dal cinema, in quelle sere fredde d’inverno. Imbacuccato nel cappottone, il Veri sentenziava: “Un film inutile…” Nel gruppo, il Veri era una sorta di autoproclamato commissario politico, e a noi ragazzi strappava un ghigno di compiacenza. In realtà, quei film ci piacevano quasi tutti e ci piacevano soprattutto quei pomeriggi nella sala buia, rubati ai compiti a casa.

Siamo vissuti – noi, nostra generazione- a pane, politica e cinema. Nei tempi d’oro, la nostra “piccola città, bastardo posto”, Grosseto, contava ben cinque sale cinematografiche, sempre affollate. Una per una: il Marraccini, l’Odeon, il Moderno, l’Industri. Infine, l’Astra, detta “pidocchino” per la qualità infima della clientela e della programmazione. Tipo: “Ultimo tango a Zagarolo, o “L’insegnante va in collegio.”

Al sontuoso Marraccini si andava più volentieri nei pomeriggi di primavera: come in tutti i vecchi teatri, c’era la platea con le poltrone di velluto e l’alta galleria, da cui spesso volavano verso il basso cicche spente e altra roba masticata. Nell’intervallo tra il primo e il secondo tempo il soffitto si scoperchiava lentamente come la valva di un’ostrica, il fumo delle sigarette saliva verso l’alto e si mostrava un cielo azzurro e senza nubi, con la gazzarra delle rondini a far da colonna sonora. Nell’intervallo potevi scambiare quattro parole, o sbirciare le compagne di scuola, sempre in gruppo e finalmente libere dai rigidi rituali della classe.



Di cinema si viveva e di cinema si chiacchierava. Prima, durante e dopo ogni proiezione: di registi, di attori, di splendide attrici. C’era tanta America in quegli anni: amata-odiata America. Quando al Marraccini proiettarono il film patriottico “Berretti verdi”, quello fu per noi una sorta di doloroso tradimento. Il gruppo – non saprei come chiamarlo diversamente – cercò anche di organizzare un garbato boicottaggio della visione, con volantinaggio accluso davanti alla biglietteria. Così, quando la stessa America scaraventò nelle sale europee e italiane l’inno alla libertà che fu “Easy Rider”, l’incanto di quei ragazzi in fuga nei vasti deserti del New Mexico fu per noi una sorta di rivincita sulle forze del male e dell’imperialismo che si annidavano nei meandri dell’industria hollywoodiana.

Prima ancora della maggiore età andavamo qualche volta al cinema anche nell’agosto balneare, durante le vacanze in spiaggia. La sera, dopo la doccia, rivestiti e in gruppo: la sala si chiamava Tirreno, e altro non ricordo. Ma era più per accarezzare nel buio le cosce di Cecilia. Cecilia aveva sedici anni e anche io avevo sedici anni, e insomma: non è che il film a noi due ci interessasse più di tanto.

Ragazzi fortunati. Frequentammo l’università negli anni della contestazione, e fu uno sballo. Passo dopo passo, il cinema – il nostro cinema – ci accompagnava. E fu non solo America, ma l’incanto del cinema francese, la durezza del cinema polacco, il mistero dei primi film che venivano dall’Oriente. Un cineclub a Firenze, non chiedetemi il nome, ma la sala me la ricordo bene: angusta, accaldata, affollata di contestatori. Già dal primo tempo verso lo schermo volava di tutto. Uno scarpone, una volta, e tra gli schiamazzi si dovette interrompere la proiezione, sfollare la platea. Carlo, iscritto a giurisprudenza, trascorse il primo anno con una media di tre film al giorno: il pomeriggio, la sera, e una strana matinée alle dieci in punto. Esami zero, finché la famiglia allarmata minacciò di ritirarlo dall’università.



Ma questi sono fragili ricordi domestici. L’amore per il cinema – per tutto il cinema – mi viene da lì: da quelle sale affollate, da quelle sedie scomode, dall’improvviso silenzio che precede il fascio di luce sullo schermo. Ogni film era una storia, e dietro la storia si affollavano migliaia di altre storie: i registi e gli attori, i romanzi e le sceneggiature, le colonne sonore, i protagonisti e i comprimari. Adoravo il dolce strabismo di Karen Black, conoscevo a memoria tutta la straordinaria filmografia di Robert Altman, amavo il mitico e ormai dimenticato “Chi è Harry Kellermann e perché parla male di me?” Ricordavo – ricordo ancora – il nome della bionda conturbante protagonista di “Cane di paglia”, mi commuovevo davanti all’incedere lento di western crepuscolari come “La ballata di Cable Hogue”.

Siamo invecchiati insieme, io e quelle mille figurine. Per farla breve: al cinema non si va più. Le cinque sale cittadine del mio antico paesone sono ormai trasformate in negozi e autorimesse. Il vecchio, nobile Marraccini è chiuso da anni, gli austeri portoni sbarrati da barriere di compensato: immagino che il grande palazzo non trovi un compratore, come un gentiluomo decaduto. Mi chiedo: e quel soffitto che si spalancava nei nostri pomeriggi primaverili?

In città – o meglio: alle estreme e opposte periferie della città – sfolgorano nella notte due multisale ormai vetuste che proiettano tre sere a settimana le stesse identiche pellicole: in gran parte spazzatura e botte da orbi per adolescenti. All’ingresso ti prende alla gola il lezzo rancido e mieloso del pop corn, alle casse c’è folla e frastuono, nelle sale un silenzio funebre e tre o quattro spettatori stravaccati sulle poltrone. Provateci voi, a proiettare “Chi è Harry Kellerman e perché parla male di me?”



Ci resta - a noi irriducibili – uno sgangherato cineclub nei pressi della stazione. Le sedie sono scomode, lo schermo angusto. Ogni anno sembra essere l’ultimo e ogni anno miracolosamente – eroicamente - la programmazione riprende. Nelle serate d’inverno e nei pomeriggi domenicali ci ritroviamo lì, appollaiati su cigolanti sedili di legno. Siamo ormai un club: anziani, ma pur sempre aggiornati sulle novità dello schermo e dei Festival. Kaurismaki, Ozòn, i coreani che vanno tanto di moda, i vincitori di Cannes e degli Oscar. Posso dirlo che “The brutalist” mi ha annoiato e indispettito? Più o meno siamo tutti lì, reduci dei nostri sogni, e pronti a sognare ancora. Non c’è Carlo, che alla fine si laureò in giurisprudenza – uso il passato remoto – e che ora vive a Firenze, nonno amato di due splendide nipotine. Chissà se ha ancora tempo per andare al cinema.

Press ESC to close