Quando ancora si trovavano i flipper, io e altri tre amici andavamo sempre in un bar appena usciti di scuola. Avevamo all’incirca 14-15 anni, circa un quarto d’ora di tempo libero prima di correre a casa per il pranzo in famiglia, e in tasca appena 50 lire ciascuno.
Nonostante la limitazione finanziaria, puntavamo questo bar per un motivo preciso. Il locale era diviso in due, con la parte anteriore adibita al banco tipico mentre a seguire c’era una sala con due o tre tavolini e un flipper. Era una sala giochi, dove era facile nel pomeriggio trovare degli anziani a giocare a tresette e, ogni tanto, qualche ragazzino che smanettava con i pulsanti del flipper. C’era anche un “calcio balilla” ma mancavano le palline.

Io e la mia comitiva avevamo due punti preferiti di ritrovo: il bar in questione e un dopolavoro serale dove si riversavano, a partire dalle 18 circa, operai profumati, pettinati e ben vestiti appena usciti di casa in cerca di qualche svago per distendere le tensioni accumulate in giornata sui cantieri o nelle fabbriche. Il dopolavoro era zeppo di flipper, tavoli di biliardo, calcio balilla e fumo di sigarette.
Nel bar, all’ora in cui andavamo, eravamo solo noi e lui: il flipper “Gotlieb.”
Ogni flipper aveva un tema: uno si chiamava “Texas Ranger”, un altro “Royal Pair”. Dal nome dovevi capire a che si giocava. Ad esempio nel Royal Pair per fare punti bisognava buttare giù delle mattonelle disposte sul piano inclinato e raggiungere dei punteggi da poker: tris, coppia, full eccetera.
Non ricordo il tema del flipper del nostro bar, ma ricordo che al gioco eravamo dei maghi.

La posta in gioco era una partita gratis se si arrivava a un punteggio. Facciamo conto che arrivati a un milione si andava a reclamare la vincita. Il proprietario veniva per accertare il punteggio e ci dava una moneta da 50 lire da giocare subito. E noi giocavamo. Subito.
Ma c’era il trucco.
Nel bar il pavimento era di marmo, credo pietra di Trani. Era tirato talmente a lucido che sembrava appena posato. Per questo i piedini del flipper scivolavano con grande facilità, come se ci fosse dell’olio sul pavimento.
Per chi non lo sapesse, il flipper è dotato di un meccanismo oscillatorio che blocca il gioco nel caso l’intero macchinario venga spostato per impedire che la pallina cada in una zona fuori gioco ed entri in buca. Il famoso “tilt”. In questo caso bisogna utilizzare un’altra delle palline messe a disposizione. All’epoca, con 50 lire, se ne avevano 5 e con quelle 5 bisognava arrivare a 1 milione di punti.

Ma noi al milione ci arrivavamo con 3, massimo 4 palline. E lo facevamo spostando il flipper col ginocchio ogniqualvolta la pallina prendeva la direzione della buca. Ma la nostra era una furbizia innocente in risposta alla furbizia truffaldina della Gotlieb!
C’erano due tipi di flipper in giro: un modello aveva le leve corte per colpire la pallina e un altro le aveva più lunghe, quasi il doppio. Il primo aveva una sonorità molto vivace con campanelli di diverso tono e aveva una zona in alto dove i colpi di rimbalzo della pallina, abbinati con la traslazione del flipper che facevamo col ginocchio intrappolava la pallina medesima, che generava punti a gogò. La nostra bravura era di farla rimanere il più possibile in quell’area spostando di continuo il flipper. E il contatore dei punti girava come l’indicatore della pompa di benzina al rifornimento.
La cosa andò avanti per qualche mese e noi eravamo contenti che con 50 lire potevamo giocare a turno per ore, ma dopo quel quarto d’ora a disposizione dovevamo a malincuore far cadere la pallina in buca per correre a casa.
Un giorno, il gestore del bar decise di assistere a una nostra sfida. Un po' come nessuno si azzarda a fare un’infrazione dinanzi a un vigile, neanche noi ci azzardammo a ricorrere al ginocchio per prolungare la partita, che, stranamente, durò appena 3 minuti. Una dietro l’altra, le palline prendevano la via del non ritorno mentre noi, impassibili, la guardavamo cadere. Una settimana dopo, al nostro arrivo trovammo un nuovo flipper. Uno del secondo tipo, a leve lunghe.
Preferimmo cambiare bar, per una questione di onorabilità e non essere spacciati per malandrini.

Al dopolavoro i 6-7 flipper erano quasi attaccati l’un l’altro. Ma anche se ce ne fosse stato uno solo, sul pavimento c’era uno strato di grasso, terra e cicche di sigarette che sarebbero servite delle funi per spostare il flipper. Le nostre speranze erano perse.
Il flipper a leve lunghe era diverso, più spento, meno sonoro e al posto dell’area con “funghi” di rimbalzo quasi sempre aveva delle corsie ristrette in cui la pallina, entrando, faceva segnare dei “jack pot” e regalava un bel po' di punti. Il problema era che l’uscita dalla corsia la indirizzava dritta nella buca, per cui bisognava evitare che vi entrasse; ma non entrando, e mancando i funghi di rimbalzo, la pallina segnava pochi punti e il gioco durava poco, vista la lotta impari con il piano inclinato del flipper e i rimbalzi guidati per mandare le palle dritte in buca.
Finimmo col cambiare gioco e dedicarci al calcio balilla, ma quando il gestore si accorse della moneta che incastravamo nella leva che avremmo dovuto tirare per far cadere le palline una volta inserite le 50 lire per giocare - facendo così in modo che a ogni gol segnato la pallina uscisse nuovamente consentendoci di giocare ancora (gratis!) - ci buttò fuori, avvertendoci di non farci più vivi.
Fu allora che incominciammo ad interessarci alle ragazze.