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INCIDENTI
E VENDETTE
TEHERAN
IN UN FURGONE

di MASSIMO CECCONI


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Dopo alcuni contrastati verdetti, mai come quest’anno la Palma d’Oro del Festival di Cannes è stata finalmente attribuita con ampio consenso di critica e di pubblico. “Un semplice incidente”, che si iscrive d’autorità nel miglior filone del cinema civile, rappresenta una coraggiosa e onesta prova del regista Jafar Panahi che conferma e avvalora la sua scelta partigiana (in senso buono) di collocarsi dalla parte dei diritti umani e civili. Che l’Iran sia un paese tormentato (mi si perdoni l’eufemismo) è noto ai più e lo sa più che bene il regista di questo film che è stato spesso ospite delle patrie galere in qualità di resistente contro le angherie politiche e umane del regime vigente.



Teheran, ai nostri giorni. Un’automobile che viaggia nella notte con a bordo un uomo, una donna incinta e una bambina, investe un animale e deve fermarsi per un guasto, rivolgendosi a un’officina. All’operaio Vahid, in precedenza vessato dal regime, sembra di riconoscere, dallo scricchiolio prodotto da una protesi a una gamba, quello che è stato il suo malvagio aguzzino durante un periodo di carcerazione, in quanto oppositore del regime. In carcere, legato e bendato, aveva subito le pesanti angherie di un poliziotto dei servizi, sopranominato “Gambalesta”, proprio per via di una protesi alla gamba destra.



Vahid riesce nell’impresa di sequestrare l’uomo e di nasconderlo, legato e imbavagliato, nel cassone del suo furgone di lavoro. In preda ai dubbi, però, chiede conforto ad alcune persone che, come lui, hanno avuto a che fare con “Gambalesta” e che lo detestano al punto di volerlo vedere morto. Sul furgone, con il sequestrato, si forma una bizzarra comitiva composta da una fotografa, un operaio e una sposa, con futuro marito appresso, che aveva ricevuto in detenzione particolari attenzioni dal poliziotto.



Un susseguirsi di avvenimenti, alcuni ai limiti del grottesco, determina la decisione di liberare l’uomo dopo che lui, almeno apparentemente, ha fatto ammenda dei suoi peccati. Mentre Vahid sembra ritornato alla normalità dei suoi giorni, un’inquietudine scricchiolante si fa spazio nell’udito dell’uomo e dello spettatore a cui il regista lascia interpretare il finale del film.



“Un semplice incidente” inizia con i toni leggeri della commedia per poi assumere il fraseggio del dramma in un’escalation di tragica denuncia delle malefatte del regime iraniano contro i suoi oppositori, o persino presunti tali. In un paese dove la corruzione si manifesta impunemente nelle più banali vicende quotidiane e dove il terrore spinge all’omertà e all’indifferenza, si fa strada il coerente messaggio dell’autore che usa l’ironia per denunciare il malessere di un popolo vessato.



Del resto Panahi conosce bene la materia, avendola più volte sperimentata sulla sua pelle, e svolge il tema con conseguente determinazione per chiedere, ancora una volta, che la democrazia torni nel suo paese, dove troppi avvenimenti calpestano la dignità e la libertà di donne e uomini dissidenti e non. “Un semplice incidente” è un’ulteriore, significativa, manifestazione di cinema civile che non vuole dimenticare e non vuole smettere di lottare per la democrazia, sostenendo al contempo la tesi che le vittime non devono e non possono usare gli stessi strumenti dei carnefici.

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