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Un missile senza nome, una città in pericolo, il mondo si sporge sull’abisso del conflitto nucleare. Presentato in anteprima a Venezia, “A House of Dynamite” di Kathryn Bigelow è un piccolo gioiello immerso con efficace tensione narrativa nei canoni del film bellico, cassetta degli attrezzi utilizzata dalla regista californiana per entrare nel fenomeno guerra del XXI secolo. Non ci sono deflagrazioni, umani fatti a pezzi, panorami di macerie, infami trincee perché basta e avanza a scuoterci tutto quello che viene innescato da un pericolo indistinto, minaccioso al punto da “costringere” la gigantesca macchina della Difesa americana (Trump l’ha da poco ribattezzata Dipartimento della Guerra, allegria!) a mettersi in moto. Un mastodonte complesso cresciuto su sé stesso: il nemico non è solo alle porte, è tra le mura di casa, nella House of Dynamite.
Alla base di Fort Greely in Alaska i radar segnalano un missile con carica nucleare lanciato da un punto imprecisato del Pacifico, ha orbita progressivamente sempre più bassa, segno che va a colpire. Destinazione Chicago, possibili milioni di morti entro diciannove minuti. Il maggiore Daniel Gonzáles (Anthony Ramos) non si dà pace, nonostante l’enorme spiegamento di occhi elettronici, la località da cui è partito l’ordigno rimane ignota e l’Inatteso senza nome fa ancora più paura perché il sistema difensivo prevede un’automatica micidiale rappresaglia alla cieca. Un menu con tre possibilità di risposta, ben cotta, media o al sangue, come dice, presentandogli il letale menu, un alto ufficiale di Marina al presidente Usa (Idris Elba), trascinato davanti al momento fatale in una giornata che doveva essere di routine.
E qui il cinema di Bigelow dà il meglio, facendo montare emozioni al limite in una cornice ordinaria e suddividendo il film in tre parti che ripercorrono gli stessi micidiali diciannove minuti vissuti dal centro di comando nucleare, dal presidente e dal segretario di Stato alla Difesa Reid Baker (Jared Harris). Un tocco creativo a intrecciare storie di militari con la coscienza in fiamme, di mariti, mogli, figli, madri al telefono per affidare ai propri cari le ultime parole di congedo. Perché non si sa cosa potrebbe succedere, anzi, lo si sa benissimo. Il capitano Olivia Parker (Rebecca Ferguson), tra i responsabili del centro di comando e controllo nucleare, ha lasciato da poco casa e consorte, solite procedure di sicurezza, controlli, password e poi l’angoscia dilagante, veleno perfido quando e dove si decidono le sorti del mondo. Diciannove minuti all’impatto.
Il generale Anthony Brady (Tracy Letts), novello Stranamore, non ha mezzo dubbio, urge una controffensiva, del resto tutto il circo nucleare è già oltre lo stadio di allerta e aspetta solo la decisione del Commander in Chief. Solo Jake Baerington (Gabriel Basso), analista di vaglia ma poco considerato, ci mette un pizzico di razionalità: con chi dovremmo vendicarci? Mosca, Pechino e Pyongyang negano qualsiasi responsabilità: quel missile in orbita bassa puntato su Chicago, dicono, non è cosa nostra. Cominciano le evacuazioni dalla città verso i rifugi antiatomici e i minuti scorrono, inesorabilmente perché il tentativo di distruggere l’ordigno letale con un apposito razzo è fallito. “Quante possibilità abbiamo di distruggere la testata nucleare?”, aveva chiesto il generale e la risposta era stata raggelante: “Circa il sessanta per cento, è come colpire un proiettile con un proiettile”.
Dai cupi paesaggi desertici delle basi missilistiche alle luci artificiali degli alti comandi militari, dalle teorie infinite di auto in fuga dalla metropoli alle strade e alle scuole dove la vita pulsa, tutto sembra una macabra Totentanz, una danza dei morti perché sentiamo incombere un rimosso diventato realtà. Nel segno del conflitto interno alla House of Dynamite, il generale Brady chiede rappresaglia, il presidente è davanti al dilemma: data per persa Chicago, deve ordinare una risposta nucleare che a sua volta darebbe il via all’ultima guerra combattuta dagli uomini o piuttosto accettare un enorme sacrificio di vite per salvare il mondo?
Sceneggiati da Noah Oppenheim, ex direttore di NBC News, i 112 minuti del film hanno un disegno potente e le musiche di Volker Bertelmann incidono con puntuali sottolineature drammatiche, di livello il cast dove emerge il londinese Jared Harris - indimenticabile Moriarty in “Sherlock Holmes-Gioco di Ombre” di Guy Ritchie - nei panni del nevrile segretario di Stato alla Difesa. Kathryn Bigelow sfoggia come sempre una straordinaria padronanza narrativa senza cedere al facile apologo, ottenendo il massimo con disarmante semplicità, doti dispiegate in una carriera all’insegna del gran cinema d’azione, dal thriller-poliziesco “Point Break” al pluriOscar “The Hurt Locker”, su un disinnescatore di bombe dell’esercito americano in Iraq, soldato che, almeno, le vite le salvava. Dopo il passaggio in sala, “A House of Dynamite" è ora disponibile su Netflix. Consigliatissimo, conficcato nello spirito di questi tempi guerreggiati.
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