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SCENE DI CACCIA
DEMONI E BUGIE
ALL'OMBRA
DEL WOKE

di ANDREA ALOI

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“After the Hunt - Dopo la caccia”, decimo lungometraggio del talentuoso Luca Guadagnino, ambientato a Yale con protagonista una gigantesca Julia Roberts, è un thriller dei sentimenti profondi calato negli anni e negli eccessi del politically correct, dove i colpevoli, se mai lo sono, possono confessare solo una cosa: siamo umani, deboli, fallibili. E la verità non è mai una. Materia, come si può capire, seduttiva e pericolosa, addirittura incandescente negli Stati Uniti, paese che ha cinematograficamente adottato Guadagnino, con tutto quel che ne consegue sul piano dei budget per girare e della malcelata invidia di tanti registi o aspiranti tali di casa nostra spesso incapaci di uscire creativamente dal Grande Raccordo Anulare.



Dopo il dimenticabile “Challengers”, il regista palermitano, sostenuto dalla sceneggiatura di Nora Garrett, parte da un caso di violenza sessuale per cucire una ronde stratificata e labirintica di svelamenti e bugie, magari un po’ verbosa a tratti, ma come potrebbe non esserlo una storia annidata nella facoltà di Filosofia della celebre università americana? Cosa sarebbe Socrate senza logos? La professoressa Alma Imhoff (Julia Roberts) ha mente acuta e temperamento all’apparenza roccioso, una manna per gli studenti capaci di mettersi in gioco. Aspira a una cattedra, perché ben capire e ben spiegare Adorno e Foucault dà soddisfazione, ma il riconoscimento a una lunga vita di studi ne darebbe molta di più. Sposata allo psichiatra Frederik Olsson (Michael Stuhlbarg), tipo sornione, musicofilo e di lei innamorato come il primo giorno ma ricambiato con spenta tenerezza, Alma ha una certa inclinazione amorevole per il giovane e provocatorio collega Hank Gibson (Andrew Garfield), suo amicissimo, come lei in vista di un avanzamento di carriera dopo anni duri di applicazione, smagato, infastidito dagli aspetti più impettiti e talvolta filosoficamente e logicamente deboli (così sostiene) della cultura woke.



Alma nega a se stessa quell’attrazione, un mix di ipocrita ritrosia e mancanza di coraggio, mentre è a sua volta oggetto di ammirazione “amorosa” da parte di Maggie Price (Ayo Edebiri), studentessa nera, figlia di un grande donatore dell’Università e per questo trattata con guanti di velluto e forse comode omissioni: pare abbia praticamente copiato la tesi da un testo di Giorgio Agamben, filosofo amichevolmente citato dal regista. Dopo una serata tra prof e studenti a casa di Alma e Frederik, un salotto perfetto per mettere in soggezione chiunque, tra citazioni, paradossi e malizie, Hank, abbastanza ubriaco, si offre di accompagnare a casa Maggie. Che la mattina dopo, sconvolta, parlandone con Alma, accusa Hank di averla violentata. L’accusato negherà e comunque verrà licenziato.



Dov’è la verità in un dramma in cui vige la presunzione di colpevolezza e l’onda di una revisione/inversione culturale porta all’imputabilità “preventiva” dell’uomo bianco? Maggie ha comportamenti ambigui, Hank un discreto doppiofondo, Alma cela pezzi urticanti di passato, pure lei, da adolescente, ha accusato un suo maturo amante di violenza. Molto, non tutto, verrà a galla nelle due ore abbondanti di un film che non emette ovviamente sentenze sui neoconformismi e le critiche a personalità del passato col metro aggiornato del politically correct (coi Trump che corrono, sembra preistoria) e maneggia con intelligenza il tema della sensibilità nuova portata dal Me Too.



A Guadagnino, nell’ombra incombente (a volte eccessiva) di diverse scene, interessa ancora di più il tratteggio degli umani turbamenti, della fallibilità, del daimon, il demone interiore che talvolta ci possiede e ci fa uscire dai margini. “After the Hunt” segue i sentieri di molte verità alternative, fino a quando chi ha il potere necessario “ne sceglie una come definitiva”, così dice il regista. Julia Roberts emerge in un cast già notevole, dando vita a una delle sue donne ferite ma ostinate (“Erin Brockovich”, “Closer”, “I segreti di Osage County”). Divisa tra l’affetto per Hank e il rispetto per Maggie, riceverà schiaffi simbolici e reali da entrambi e si esporrà a una condanna da parte degli studenti dopo averle cantate alla ragazza: “Vivi in un appartamento piccolo anche se sei ricca perché ti senti in colpa”.



Ad alcuni allievi aveva rimproverato un’eccessiva autocommiserazione, rammaricandosi nel vedere giovani cresciuti nella bambagia che coccolano in continuazione gli inevitabili urti ricevuti dalla vita, un vittimismo pronto a proiettare sull’altro ogni colpa, magari per scaricare la propria. Narcisismo? Una fragilità generazionale? E con quali responsabilità degli adulti? Sono alcune delle tante suggestioni del film, popolato da intellettuali di lingua affilata, a loro agio quando spiegano il complesso di Elettra (un Edipo al femminile) e però preda di banali capitomboli oppure a disagio coi tempi nuovi come Kim Sayers (Chloë Sevigny) psicologa e amica di Alma. E attenzione alla Maggie di Ayo Edebiri, in missione vendicativa verso una professoressa sentita prima come mentore e modello, è un personaggio odiabile e in chiaroscuro costruito con classe.



“After the Hunt”, assistito dall’ottima colonna sonora degli inglesi Trent Reznor e Atticus Ross, già con Guadagnino in diversi film, da “Bones and All” a “Queer” (quest’ultimo forse il miglior lavoro del regista), è prodotto da Amazon e MGM Studios, distribuisce Eagle Pictures.






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