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di
MASSIMO CECCONI
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Elisa Zanetti (Barbara Ronchi) è in carcere da dieci anni per aver ucciso la sorella e tentato l’omicidio della madre.
La casa circondariale che la ospita, sulle alpi della Svizzera francese, è una particolare struttura all’avanguardia immersa nella natura, dove si sperimenta un approccio diverso e innovativo con le detenute.
Nei progetti di recupero è previsto anche l’intervento del professor Alaoui (Roschdy Zem), un criminologo, docente universitario, che sta conducendo una ricerca sulle motivazioni recondite di chi ha commesso un crimine.
E il crimine di Elisa è enorme. Cresciuta in una solida famiglia borghese, era inserita con un ruolo importante nell’impresa familiare, vivendo però la propria presunta inadeguatezza con una sempre più crescente tensione interiore che, senza motivi apparenti, l’aveva poi portata all’omicidio della sorella e al tentativo di occultare/negare il cadavere bruciandolo.
Di questo clamoroso episodio, Elisa sembra non ricordare nulla, persa nella indeterminatezza della sua psiche aggredita dal malessere.
Successivamente alla morte della sorella, uno scatto d’ira incontrollato la porterà a tentare anche l’omicidio della madre.
Nel corso dei colloqui con il prof. Alaoui sembra che Elisa riacquisti coscienza degli episodi traumatici del suoi passato. L’avvicinarsi però a una rinnovata coscienza la spinge a rifiutare gli incontri con il padre (Diego Ribon), l’unico della famiglia che ha tentato una riconciliazione, e a interrompere gli incontri con il professore.
In un abulico rifiuto di contatto con ciò che la circonda, Elisa rielabora il senso profondo del proprio disagio, affidando a un diario i primi prodomi di una possibile redenzione.
Tratto dal libro “Io volevo ucciderla. Per una criminologia dell’incontro” di Adolfo Ceretti e Lorenzo Natali, professori di criminologia di ampie conoscenze scientifiche, il film di Leonardo Di Costanzo è duro e crudo, senza alcuna concessione allo spettacolo.
Una riflessione intensa e profonda che scava con sapienza nelle contorsioni dell’animo umano di una donna che presenta una personalità complessa, manipolatrice, fragile e al contempo determinata e feroce come del resto spiega il professor Alaoui quando afferma: "La responsabilità del colpevole va cercata nella sua umanità".
La colpa e il dolore plasmano l’umano calvario di Elisa che deve liberarsi dei suoi fantasmi per poter ritrovare almeno un barlume di identità.
Barbara Ronchi conferma la sua assoluta maturità artistica attraverso un’interpretazione perfetta che le permette di cogliere gli aspetti più nascosti di una personalità malata.
Al suo fianco Roschdy Zem, con sobria partecipazione, restituisce la sua fama di interprete/autore tra i più significativi della scena francese.
Pudico e persino straziante il dolore che esprime Diego Ribon, un padre messo di fronte a un enorme mistero che lo ha travolto e annichilito.
Con una parte laterale si misura Valeria Golino nel ruolo di una madre alla ricerca di uno sprazzo di luce in una straziante vicenda di violenza che ha coinvolto il giovane figlio.
Ancora una volta Leonardo Di Costanzo si conferma regista “anomalo”, di rara sensibilità, nel nostro trasandato panorama cinematografico.
Senza nulla concedere alla platea, costruisce un altro personaggio indimenticabile come Silvio Orlando o Toni Servillo in “Aria ferma” e Raffaella Giordano in “L’intrusa”.
In concorso all’ultima Mostra del cinema di Venezia, quanto meno l’interpretazione di Barbara Ronchi avrebbe meritato un atto di coraggio da parte della giuria.
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