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CLOUD
ISOLE
NELLA FOLLIA
DEL WEB

di ANDREA ALOI

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Ryosuke (Masaki Suda) sembra il classico nerd da tastiera, ma non è un ragazzetto innocuo, ci sa fare con le truffe commerciali via internet, acquista a due lire macchinette del caffè, “miracolosi” dispositivi antidolore, borse firmate autenticamente false e le vende a prezzi osceni. Paccottiglia, merce contraffatta nella maggior parte dei casi, eppure c’è chi abbocca. Si è scelto il curioso nome d’arte di Ratel, come il ratele o tasso del miele, un mustelide vorace e feroce, il nickname è impegnativo ma troverà il modo di giustificarlo in uno slittamento inesorabile di violenza quando le sue vittime, sconosciuti da spennare, entità lontane si presenteranno in carne e ossa per un drammatico rendiconto.



Il web che separa e trasforma in isole, l’avidità che aumenta insieme alla tensione per un thriller nero pece: il giapponese Kiyoshi Kurosawa, quasi settantenne, al solito pure sceneggiatore, offre con le due ore di “Cloud” una summa delle sue inclinazioni per il cinema di genere, dall’action al giallo, dal mistery alla fantascienza, innervato da uno sguardo sensibile e crudo su scompensi e pessime derive della società contemporanea. Il cloud è l’indistinto lontano, il web un mare pescoso per Ryosuke, giovinotto letteralmente amorale, al pari della sua fidanzata Akiko (Kotone Furukawa), tenuta all’oscuro dei maneggi e però pronta a compiacersene quando vanno a vivere insieme in una splendida villa con mega finestre davanti a un lago fuori città perché gli affari prosperano e serve spazio per stoccare la merce da rivendere.



Ryosuke ormai ha lasciato il lavoro in fabbrica, nonostante gli inviti pressanti di Takimoto (Yoshiyoshi Arakawa), un dirigente che avrebbe voluto promuoverlo a supervisore dei nuovi assunti. Forse, a parte l’idea di tirar su denaro, non sa bene cosa vuole, al momento si sente realizzato così, mentre Akiko è eccitata dalla possibilità - parole sue - di comprarsi un sacco di oggetti con cui riempire la casa. Obiettivo umanamente minimalista.



Metodico, tranquillo, il giovane pacchista dell’e-commerce tenta un colpo grosso con le statuette di un personaggio femminile dei manga, le compra tutte in blocco al negoziante e le posta in vendita sul web a prezzo centuplicato, forte, così immagina, dell’esclusiva. Nella villa si fa assistere da Sano (Daiken Okudaira), un giovane tuttofare sveglio e curioso che, nonostante esplicito divieto, occhieggiando sui computer scopre il giro di compravendite e per questo viene cacciato, giusto quando, come l'ombra di Banco nel “Macbeth” scespiriano, compare una pattuglia di raggirati che riesce a individuare e sequestrare Ryosuke. L’obiettivo è punirlo con qualche tortura medioevale prima di farlo fuori. È gente esacerbata, dall’ex compagno di scuola e delinquentello alle prime armi Muraoka (Masataka Kubota, il migliore del cast) che si è sentito tradito perché Ryosuke non l’ha preso come socio al poveraccio finito in malora comprando la merce falsa o scadente spacciata via web, un crac alle origini del suicidio della moglie.



Con loro pure l’inventore dei macchinari antidolore pagati uno zerovirgola e l’ormai ex dirigente della fabbrica da cui Ryosuke si era licenziato, offendendolo: è mentalmente andato e latitante, ha ucciso moglie e figli e gli resta ancora un omicidio da compiere. Prima erano tutti quanti solo cliccate all’amo, non persone ingannate, magari con storie pesanti alle spalle. Il Male è (anche) l’indifferenza di fatto verso gli altri coltivata davanti al computer. “Cloud” è un thriller “sociale”, ci fa percorrere luoghi intasati di merci, case stracolme di cianfrusaglie, fabbriche abbandonate, depositi polverosi e isolati, Kurosawa ammonisce e spettacolarizza, scatenandosi nell’ultima mezz’ora in sparatorie da western strepitosamente coreografate. Ryosuke viene portato in un magazzino in disuso per subire il trattamento speciale, è ovviamente terrorizzato e si rende conto di quanto ha sottovalutato e messo tra parentesi il mondo reale. Mai però avrebbe immaginato di dover partecipare a un meeting con la follia.



Lo soccorre in extremis l’ex assistente Sano, molto a suo agio con le armi da fuoco. Normale, è un killer della Yakuza e il sindacato del crimine apprezza Ryosuke, ne ammira le potenzialità criminali tanto da volerlo reclutare. Dal loro punto di vista una scelta condivisibile, il nerd amorale imparerà, dopo qualche riluttanza, a far male pure vis-à-vis per salvarsi la pelle e rivedrà Akiko, sempre più ingorda di soldi, in un ultimo incontro.



Kurosawa si è fatto apprezzare dal largo pubblico nel ’97 col thriller parapsicologico “Cure” (assassini in stato d’ipnosi governati tramite magnetismo da un solenne bastardo), nel 2008 ha vinto a Cannes il premio della Giuria nella sezione 'Un Certain regard' col dramma familiare “Tokio Sonata”, riconoscimento bissato sette anni dopo con “Journey to shore”, viaggio verso riva, protagonista il fantasma di un marito che torna dalla moglie per guidarla in un viaggio attraverso il Giappone prima che il suo tempo scada definitivamente. E nel 2020 ha ottenuto il Leone d’argento a Venezia per la miglior regia con “Spy no tsuma”, ovvero “moglie di una spia”, un mix riuscito di melodramma e, come da titolo, spy story, fra tradimenti e verità nascoste. In “Cloud” il regista non viene meno ai suoi canoni: pochissima musica, peso millimetrico di ogni inquadratura, campi lunghi, angoscia montante, lucido sguardo su un Giappone inesorabilmente competitivo.



Memorabili nel finale gli effetti speciali di Yukari Yaginuma, distribuisce Minerva Pictures.






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