Liberamente ispirato a un romanzo di Giorgio Scerbanenco del 1942 che sembrava perduto, “L’isola degli idealisti” di Elisabetta Sgarbi è opera di sapienza dichiarata che nasconde, qua e là, allusioni e tranelli anche per i più colti.
In una notte buia e tempestosa approdano su un’isola misteriosa due ladri in fuga dalla polizia dopo aver compiuto un furto. Guido (Renato De Simone) e Beatrice (Elena Radonicich) vengono accolti dai residenti di una ricca villa nobiliare che domina solitaria l’isola che la ospita.
Antonio Reffi (Renato Carpentieri) è un anziano direttore d’orchestra metodico e compiaciuto, suo figlio Celestino (Tommaso Ragno) è un medico che ha abbandonato la professione dopo qualche guaio con la giustizia che ora si occupa di filosofia e matematica, la figlia Carla (Michela Cescon) è una scrittrice piena di sé in ambasce per l’ultimo romanzo scritto, poco gradito dall’editore per le asperità del linguaggio usato.
Completano il quadro Vittorio (un quasi irriconoscibile Mimmo Borrelli), cugino e segretario di Carla, e la moglie Iole (Chiara Caselli), governante della famiglia.
Spetta un ruolo appropriato anche a Giovanni (Tony Laudadio), guardiano dell’isola e della villa, e al cane Pangloss a cui Celestino pretende di insegnare a contare.
Non senza bizzarria, proprio Celestino propone ai due ladri di non consegnarli alla polizia se disposti a sottoporsi a un trattamento di rieducazione che li porti all’affrancamento del loro stato di immoralità.
Sottoscritto il patto verbale, la vita nella villa riprende con le sue singolari attività, con scorribande notturne su un mare limaccioso, passeggiate nell’immenso parco circostante, intriganti conflitti tra i vecchi e i nuovi abitanti.
Respinti in qualche modo i sospetti della polizia il cui commissario Carrua (Vincenzo Nemolato) gioca un ruolo decisamente ambiguo, la vicenda si avvia alla sua inaspettata conclusione anche attraverso la cattura di un potente malavitoso (Antonio Rezza) che tiene in scacco i due giovani ladri.
Film di ardua decifrazione, con rimandi culturali e personali in cui non è semplice districarsi, “L’isola degli idealisti” abbonda di stimoli e spunti anche se la motivazione che dà il senso all’opera oggi suona quantomeno un po’ arcaica.
La narrazione, collocata volutamente fuori dal tempo, si avvale di uno spazio claustrofobico in un’isola “che non c’è” se non nella mente degli autori, complice il fascino della nebbia e del buio.
Lo spunto letterario coniugato dal romanzo di Scerbanenco è ampiamente ripreso nel linguaggio e nei toni dalla sceneggiatura di Eugenio Lio ed Elisabetta Sgarbi che asseconda una ambiguità di fondo che è la cifra del racconto.
Numerosi gli indizi disseminati qui e là che sembrano voler stimolare una sorta di caccia al tesoro.
Il simpatico cane, di cui una didascalia finale avverte che ha finalmente appreso a contare, si chiama Pangloss come il personaggio “ottimista” nel “Candido” di Voltaire; appare fuggevolmente una copertina della rivista di fumetti Linus; la stanza d’albergo in cui si chiude il film ha il numero di Satana 666; Tommaso Ragno indossa un emblematico cappotto cammello; le coppie di pane ferrarese sulla tavola imbandita; la quadreria di famiglia con l’iconica maschera di Adolfo Wildt che guarda dentro a se stessa.
Oltre al giocatore di poker e al portiere d’albergo…
Film notturno, algido e altero, si avvale di un cast sontuoso in cui Tommaso Ragno profonde tutta la sua enigmatica personalità nella costruzione di un carattere tanto tormentato quanto improbabile.
Fotografia malinconica di Andrés Arce Maldonado.
Dal romanzo di Scerbanenco, Elisabetta Sgarbi, che dell’autore è anche editrice con 'La nave di Teso', confeziona un noir esistenziale dal sottile fascino perverso, ricavandone una quasi simbiotica identificazione di linguaggi.
Inusitatamente si assiste a un sostanziale pareggio tra il bene e il male. Buona notizia.
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