di
ANDREA ALOI
Una bambina sparita misteriosamente in un parco, due giovani (troppo giovani) genitori in angoscia che ricevono dvd con disturbanti filmati della loro vita quotidiana. Presentato a Venezia, “Stranger eyes. Sguardi nascosti” del trentanovenne singaporiano Yeo Siew Hua è uno dei film più acuti e coinvolgenti sulla società della sorveglianza e del controllo, ne squaderna luci e ombre, ci sollecita, sul filo di una trama superbamente costruita (gran montaggio di Jean-Christophe Bouzy) attraverso impercettibili accumuli di dubbi e suspense. Fino a quando le tante vite s-comunicanti perché mediate solo da videoregistrazione intrusive della privacy, non risultano fattualmente collegate e memoria, dolore, rimpianti dilagano.
Non per nulla la storia è ambientata a Singapore, città-Stato col maggior numero di videocamere pubbliche al mondo, dove l'epidemia di Covid, grazie alla capillare vaccinazione unita al tracciamento massivo degli spostamenti della popolazione e a una rete di contatti reciproci poco curante di qualsiasi riservatezza, ha portato, all’inizio del 2021, al tasso di mortalità da Sars più basso al mondo, lo 0,05%. Strade migliori forse non erano percorribili e comunque nella megalopoli le voci critiche erano state poche.
Junyang (Wu Chien-ho) e Peiying (Anicca Panna) vivono in un casermone, lei è dj, lui, tenuto abbastanza al guinzaglio dalla madre Shuping (Vera Chen), fa il magazziniere in un supermercato. La scomparsa della piccola Bo mentre era in un parco giochi col padre non ha né peggiorato né migliorato la loro relazione, non sappiamo perché si sono sposati, con ogni probabilità per obbedire ai voleri di Shuping. Vivono separatamente il dramma, con momenti di scoramento soprattutto da parte di Peiying, ma l’esperto e smagato agente Zheng (Pete Teo) sembra tranquillo: “Prima o poi Bo la troviamo, qui sappiamo tutto di tutti”. In più l’autore dei filmati, un cinquantenne taciturno, è presto individuato, si chiama Lao Wu (Lee Kang-sheng gli dona una straordinaria intensità), e lavora come direttore, piuttosto bonario, nello stesso supermercato dove Junyang fa il turno di notte.
Il guardone con videocamera abita in un appartamento di fronte ai due ragazzi, è meticoloso, beve senza parsimonia e deve occuparsi della madre, anziana e malata. “Possiamo mandarlo in prigione per un po’ di tempo, nient’altro”, dice l’agente Zheng. Ma perché ha girato tutti quei dvd? È come se volesse costringere Junyang e Peiying a guardarsi: ecco, voi siete così. Vuole metterli in guardia da qualcosa? Del maturo voyeur scopriamo che è separato dalla moglie, molto altro viene a sapere Junyang introducendosi a casa sua: i dvd sono un mucchio, ben catalogati e partono da diversi anni prima. Alcuni riprendono una ragazzina al lavoro da “Winter Fun”, una specie di hangar dotato di neve artificiale e slittini. I puntini iniziano a collegarsi. Peiying affronta Lao Wu a muso duro e gli molla una coltellata ferendolo non gravemente poco prima che Bo venga ritrovata: era stata rapita da una giovane donna che non poteva avere figli. Una inadeguatezza. Come per Lao Wu, un uomo colmo di muta amarezza e Junyang, che si è sposato con superficialità, vista anche la sua propensione - le onnipresenti telecamere non perdonano - ai giochini bisessuali in magazzino. Attenzione, nell’ultimo quarto d’ora è vietato distrarsi.
“Stranger eyes. Sguardi nascosti” smonta con efficacia il meccanismo della dipendenza dagli strumenti di controllo e sorveglianza, pubblici e privati. Ciò che facciamo guardando-filmando è un succedaneo della vita reale, ci illudiamo di partecipare, di avvicinarci, in realtà l’occhio tecnologico, com’è naturale che sia, ci allontana. Il film di Yeo Siew Hua (ha vinto il Pardo d’Oro a Locarno nel 2018 con il noir “A Land Imagined”), se pur con un passo meno emozionale, ricorda “Caché. Niente da nascondere” di Michael Haneke, miglior regia a Cannes nel 2005, dove la vita di Anne (Juliette Binoche) e Georges (Daniel Auteil), conduttore di un popolare programma tv, è sconvolta dall'arrivo di alcune videocassette, che li mostrano all'ingresso e all'uscita della loro abitazione, filmati che sanno di minaccia e vendetta.
Gli occhi appunto estranei e - almeno all’inizio - sconosciuti di “Stranger eyes” sono i kubrickiani “Eyes Wide Shut”, occhi largamente chiusi. Un ossimoro. Ciò che golosamente si filma e non viene condiviso è ciò che non viene detto. È un’azione doppiamente masturbatoria (essendo la cinepresa, in quanto macchina, celibe). Non è insomma vita attiva, che è tale solo quando è sociabile. Tanto è vero che nel momento in cui i cd di “Stranger eyes” sono condivisi le relazioni possono incarnarsi. Siamo davanti a un film che suggerisce indizi e domande, sullo sguardo narcisistico e il rispecchiamento, sul cinema stesso come duplicazione intrinsecamente falsa benché letterale della vita. Sul valore anche economico dell’invasione ormai strutturale e costante della privacy e qui le nostre cronache di spioni abbondano.
La coproduzione Singapore-Taiwan-Francia-Usa è distribuita da Europictures e non mancherà lo streaming su Mubi.
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