Un accorato com’eravamo o, meglio, com’erano i militanti, ma anche i dirigenti del Partito Comunista Italiano dagli anni ’50 del secolo scorso sino alla definitiva svolta della Bolognina (12 novembre 1989), quando l’allora segretario del Partito Achille Occhetto, con lacrime al ciglio, decretò la fine di una straordinaria esperienza storica durata poco più di sessant’anni, compresi i tragici e infausti anni del fascismo e della guerra nonché del riscatto della gloriosa Resistenza.
Giovanni Piperno, l’autore del documentario “16 millimetri alla rivoluzione”, che per fortuna ancora gira per le sale dei cinema d’essai, ha attinto a piene mani al patrimonio immenso, per contenuti e per significati, dell’Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico e ricostruisce, attraverso immagini e parole, una vicenda che ha segnato profondamente e indelebilmente il nostro ‘900.
Le parole sono affidate alla voce narrante di Luciana Castellina, comunista eretica, iscritta al Partito diciottenne nel 1947 e radiata nel 1970 per via dell’adesione al gruppo del Manifesto.
Il suo rientro nel PCI nel 1984 fu poi vanificato dall’improvvisa morte di Enrico Berlinguer che aveva tentato una riconciliazione coi vecchi compagni di un tempo.
In poco più di un’ora, il film propone una riflessione sull’essere (stati) comunisti avvalendosi di materiali visivi che fanno parte dell’immaginario collettivo di più generazioni: le manifestazioni nelle fabbriche e nelle città, gli scioperi, le assemblee di sezione, le lotte studentesche, le Feste dell’Unità, persino le immagini un po’ imbalsamate delle delegazioni del Partito nei Paesi dell’Est.
Riprendono corpo i volti di tanti militanti che hanno creduto, pensato, sperato di partecipare da protagonisti a un cambiamento radicale della società per ritrovarsi, dopo la Resistenza, le lotte di fabbrica e di quartiere, negli incubi neri dei nostri travagliati giorni.
Ci sono le immagini commosse dei militanti che sfilano con il pugno chiuso, chi il destro, chi il sinistro, durante i funerali di Enrico Berlinguer, strazianti e memorabili per quanto hanno rappresentato, capitolo finale di una stagione che stava definitivamente tramontando. La caduta del muro di Berlino era giusto lì dietro l’angolo.
Ingessato in un cappottone invernale, Palmiro Togliatti, con Nilde Jotti e la loro figliola adottiva, naviga su un battello in acque russe in quelle che dovevano essere le loro vacanze “istituzionali” nei primi anni ’60.
Vladimir Ilic Lenin è sorpreso dalla macchina da presa mentre gioca con un gattino in quel che dicono essere l’unico filmato in cui è ripreso in ambito familiare.
Passano brani di “Io voto, tu voti” (1981) di Giorgio Ferrara, una docufiction in cui Ninetto Davoli e Franco Citti sostengono la causa di Luigi Petroselli a sostegno della sua nomina a sindaco di Roma nelle amministrative di quell’anno.
Ecco, forse un piccolo limite nel bel lavoro di Piperno è di essere un po’ troppo romanocentrico, punteggiato dalla ricerca di luoghi, volti e figure familiari, anche se lo spirito della rilettura e della riproposizione di quel periodo rimane vivido e attendibile.
Se l’indagine condotta da Nanni Moretti con il suo “La cosa” (1990) tentava di cogliere gli umori di un momento storico in cui disorientamento e sgomento si affiancavano a speranza e fiducia per un nuovo movimento democratico che stava nascendo, “16 millimetri alla rivoluzione” di Giovanni Piperno preferisce affidarsi alle immagini di quegli anni, a volte commissionate dal Partito stesso per darsi e crearsi un’identità, spesso colte nella spontaneità del momento, nel colore e nel calore della strada, delle fabbriche, delle sezioni.
Ma va da sé che mentre Moretti si interrogava in presa diretta su quegli avvenimenti (la “cosa” si riferiva al nuovo nome non ancora definito del Partito), Piperno naturalmente sa già come è andata a finire.
Mentre, le ultime battute del film sono affidate all’arguzia di Cesare Zavattini e alla ironica militanza di Ugo Gregoretti, riemerge la lucida analisi di Luciana Castellina secondo cui tutte le rivoluzioni precedenti hanno fallito perché laddove era stata conclamata la libertà era stata soffocata l’uguaglianza e quando si è voluto proclamare l’uguaglianza lo si è fatto a discapito della libertà.
Ma, conclude Castellina:”Essere comunisti vuol dire provarci ancora”.
Poco male che una voce fuori campo ammonisca che siamo a soli 90 secondi dall’apocalisse.
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