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ZAMORA
CALCI A UN PALLONE
NELL'ITALIA
DEI SESSANTA

di MASSIMO CECCONI

L’esordio alla regia cinematografica di Neri Marcorè, attore versatile con una bella voce anche canterina, sceglie i toni della commedia utilizzando a piene mani le metafore legate al gioco del calcio, con una morale appropriata, giocoforza un tantino buonista.

Lasciata la natia Vigevano, il giovane ragioniere Walter Vismara (Alberto Paradossi) approda come contabile in un’azienda all’avanguardia della grande Milano condotta dal cavalier Tosetto (Giovanni Storti) che, oltre a essere un industriale lungimirante, nutre un’enorme passione per “el fòlber” che, per i non milanesi più che doc, si traduce con gioco del pallone.



Tosetto è anche interista sfegatato e gli piace far recitare alla sua arcigna segreteria (Pia Engleberth) la formazione nerazzurra che vinse la Coppa dei Campioni nel 1965, resa famosa anche da Nanni Moretti nel suo “Ecce Bombo” (1978).

Tanta incrollabile passione porta il cavaliere a costringere i propri dipendenti ad allenarsi tutte le settimane, in previsione dell’annuale sfida del Primo Maggio in cui scapoli vs ammogliati debbono affrontarsi sul campo di calcio per conquistare l’ambitissimo trofeo aziendale.



Il contabile Vismara, per cavarsi d’impaccio e non subire le ire del cavaliere, dichiara di essere disponibile per il ruolo di portiere per cui dai colleghi beffardi, tra i quali si distingue malignamente l’ing. Herbert Gusperti (Walter Leonardi), viene subito soprannominato Zamora.

Per la cronaca, Ricardo Zamora Martinez (1901-1978) è stato uno dei più grandi portieri di calcio di sempre, emblema del Real Madrid e della Nazionale spagnola di cui è stato a lungo capitano.



Ospite della sorella malmaritata Elvira in una vecchia casa della vecchia Milano, il Vismara, come si direbbe appunto a Milano, presto conosce anche i piaceri e i dispiaceri dei rapporti sentimentali per via di una simpatia per la collega Ada (Marta Gastini) che prenderà però una piega inaspettata.

A proposito di Milano, dove il film è esplicitamente ambientato, vale notare che di questa città appaiono solo alcuni iconici luoghi (piazza del Duomo, gli esterni del cinema Manzoni nella relativa galleria e l’Arena Civica intitolata a Gianni Brera che di fòlber era sicuramente un grande esperto).

Gli esterni del film sono stati infatti realizzati in gran parte a Torino e in alcune località del Piemonte dove evidentemente è più facile conciliare la ricostruzione storica con le riprese.



Per imparare i rudimenti del mestiere di portiere di calcio l’imbranato rag. Vismara si vede costretto a ingaggiare Giorgio Cavazzoni (Neri Marcorè), ex portiere del Milan e della Nazionale caduto in disgrazia per indole fragile e cattive frequentazioni.

Gli allenamenti di svezzamento al ruolo avvengono nella magica quanto improbabile cornice notturna dell’Arena Civica dove un benevolente custode (Marino Bartoletti) concede a Cavazzoni di esercitare le sue lezioni di sport e di vita.

E intanto si avvicina il Primo Maggio…

Come andrà a finire non è dato svelare.



Apologo buonista, “Zamora”, tratto dall’omonimo romanzo di Roberto Perrone, ha dalla sua l’ottima fama di cui gode la persona di Neri Marcorè che qui si ritaglia, in una vicenda anche con tracce autobiografiche, il ruolo complesso del vecchio calciatore asfaltato dalla vita che, per dirla con Jannacci, “fa quel che vouer, chi va, chi resta chi, chi invece mouer” (El me indiriss).

Interessante la ricostruzione degli anni ’60 con tutte le loro piccole manie casalinghe e non, semplice ma coinvolgente la trama e decisamente appropriati gli interpreti su cui svettano, anche per la prestanza fisica, Paradossi e Marcorè, e l’armonia divertita di un cast di lusso in cui, oltre ai citati, compaiono Antonio Catania, Giacomo Poretti, Ale e Franz, Giovanni Esposito e Pia Lanciotti. Camei divertenti per Marino Bartoletti e Davide Ferrario.

Gradevole la colonna sonora a cura di Pacifico, con due brani originali intrepretati amabilmente dallo stesso Marcorè oltre a immancabili canzoni d’epoca.



Insomma, una piccola storia intimista di formazione umana e sentimentale raccontata bene, con la giusta delicatezza e sincerità.

La metafora del gioco del calcio regge con qualche gracilità di contenuto. Anche qui vale il richiamo a una canzone d’autore secondo cui "un giocatore lo vedi dal coraggio, dall’altruismo e dalla fantasia" e da ciò che segue nella splendida ballata "La leva calcistica della classe ‘68" di Francesco De Gregori, che si colloca negli stessi anni in cui è ambientato il film di Marcorè.

Un piccolo quesito: perché la Fiat 600 del ragionier Vismara, nato e cresciuto in quel di Vigevano, è targata Milano e non Pavia?

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