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IL TEOREMA
E MARGHERITA
INCUBI
MATEMATICI

di ANDREA ALOI

“Il Teorema di Margherita” della quarantottenne parigina Anna Novion,è uno di quei film che all’apparenza non sembrerebbe adatto a tutti i palati. Perché mai ci si dovrebbe appassionare alla perdizione e rinascita in gloria di una ragazza con una passione totalizzante per la matematica che rischia di fonderle il cervello? Marguerite (Ella Rumpf) si aggira in pantofole (“sto più comoda”, dice) tra aule e corridoi dell’École Normale Supérieure di Parigi, una delle grandi scuole francesi dove si alleva la classe dirigente e accademica. Unica donna nel dipartimento di matematica, trasognata, sembra quasi affetta da un principio di autismo, immersa com’è nella scrittura di una tesi di dottorato ardimentosa, intende aprire una possibile via per venire a capo della “Congettura di Goldbach”, formulata dal grande matematico prussiano nel 1742. Uno dei più “resistenti” problemi irrisolti nella teoria dei numeri primi.



Secondo questa congettura da dimostrare, ogni numero pari maggiore di 2 può venir scritto come somma di due numeri primi, che possono anche essere uguali. Fino a un certo numero di calcoli la cosa fila, poi, arrivati a dimensioni inimmaginabili (ma immaginabilissime dalla matematica pura), la maledetta congettura fa balenare una strada, la prendi e dopo esserti torturato la vita ti trovi davanti a mille possibilità e ciascuna di quelle ne contiene altrettante. Una sfida impossibile e una ragazza occhialuta molto sola in lite con Laurent Werner (Jean-Pierre Darroussin), il suo professore: si profila un corpo a corpo sensazionale tra una giovane innamorata della matematica e un Everest di inciampi. Da scalare - e succederà proprio così - senza pantofole. La povera Marguerite contro il mondo, a questo punto anche chi ritiene inaffrontabile ed esoterica un’equazione di primo grado abbocca alla storia. Anzi, quanto più si vede la matematica come un incubo scolastico mai dimenticato tanto più ci si appassiona, è una giovane donna in lotta col mistero, è lo stupore di vederla mentre spalma su enormi lavagne formule su formule concatenate. Esercizi acrobatici, virtuosismi del pensiero di cui non si capisce un’acca e per questo ci si esalta, come davanti a una trapezista senza rete. A una sacerdotessa che officia un rito strano, a una mirabolante prestigiatrice Ma come diavolo fa? E intanto lo spettatore si immedesima, “sente” che Davide sconfiggerà i Golia, anche quelli interiori, è l’approdo quasi sempre obbligato nella linea vulnerabilità d’esordio-partenza-peripezie-consapevolezza-ritorno-trionfo.


(La congettura di Goldbach)


Molto scolastico sulla carta, il punto è “come” Davide avrà la meglio sui Golia e Anna Novion ha il suo bel savoir faire nel raccontarlo in immagini e pure in scrittura, avendo sceneggiato insieme a Agnès Feuvre, Marie-Stéphane Imbert e Mathieu Robin. A Marguerite crolla il mondo addosso quando, durante una dimostrazione-introduzione in aula del suo lavoro sulla micidiale congettura viene colta in fallo matematico da un dottorando venuto da Oxford all’Ens proprio per lavorare sul Goldbach: qualcosa non quadra, spiega Lucas (Julien Frison), perspicace e carino molto. Marguerite vorrebbe ritentare, il prof le consiglia di cambiare argomento per la tesi di di dottorato, che si rivolga a un altro docente, lui non ha tempo. Da mite a furiosa, la genietta abbandona, ferita, l’École Normale Supérieure all’insaputa della madre Suzanne (Clotilde Coureau), molto apprensiva, e finisce a vivere in un appartamentino del quartiere cinese, nel XIII arrondissement. Lo condivide con Noa (Sonia Bonny), ballerina e perfetto polo opposto alla ricercatrice, ama spassarsela, è una gaudente e la invoglia ad arricchire una vita trascinata tra lavoretti insulsi con qualche sano orgasmo.



Poi, casualmente, Marguerite vede, nel retrobottega del suo padrone di casa cinese, alcuni giocatori di Mah Jong, una specie di domino con 144 tessere, un gioco di combinazioni, con terne, quaterne, scale. L’ideale per una mente matematica. E si apre uno dei momenti più divertenti e freschi del film, con la timida ragazza dell’Ens mutata in giocatrice d’azzardo dai lauti guadagni. Rivede la madre, incrocia il predestinato Lucas e stringe con lui un patto, lavoreranno febbrilmente insieme - senza dir nulla al professore - alla Congettura di Goldbach. Legame che presto andrà oltre campi, disequazioni e sottoinsiemi, c’è del tenero, ma è a rischio, diventerà amore solo quando Marguerite farà un po’ di luce nelle sue zone oscure. Non è che quella pulsione a fuggire dall’Università e dal prof (già di suo un anaffettivo in urticante attesa del successo che potrebbe consegnarlo alla storia della matematica) ha un legame col suo vissuto da piccola, le riapre una ferita? La risposta è facile: sì, il padre ha lasciato la famiglia quando Marguerite era bambina e i rapporti col genitore sono a zero. Un genio della matematica e antichi disagi celati nel profondo, giusto come in “Will Hunting-Genio Ribelle” (1997) di Gus Van Saint, con Matt Damon, l’Indocile Will, e Robin Williams, lo psicoterapeuta Sean Maguire, che aiuta in un colpo solo se stesso a elaborare un lutto e il ragazzo ultradotato a superare la paura - germinata in un ambiente familiare violento - di essere abbandonato che lo induce a fuggire preventivamente da affetti e legami forti.



Marguerite tornerà doppiamente a casa, prima dalla madre a Lione, dove lascerà decantare la sua ossessione matematica e cambierà prospettiva riuscendo a mettere un (applaudito, consacrante) punto fermo nella marcia per espugnare la Congettura di Goldbach. L’altra casa, naturalmente, è l’Ens, che la riabbraccia. Il film di Anna Novion (112 minuti, coproduzione franco-svizzera, distribuisce Wanted Cinema) si avvale di un cast costruito a modino, con la ventinovenne svizzera Ella Rumpf passata in piena disinvoltura dal ruolo di Alexia nell’horror “Raw-Una cruda verità” di Julia Ducournau (Palma d’oro a Cannes per “Titane”) alla indomabile nerd Marguerite. Jean-Pierre Darroussin (per la cronaca, è il marito della regista) come sempre è una garanzia, Julien Frison bravissimo, una presenza forte e seduttiva.



Dopo “Oppenheimer” di Nolan, ancora una volta la scienza dà spettacolo. Ma va forte anche in libreria, vedi l’eccezionale “Maniac” di Benjamin Labatut (Adelphi), che con “Il Teorema di Margherita” ha molto a che fare. Racconta dell’ungherese naturalizzato americano Jancsi von Neumann, un genio quasi inquietante della matematica e della fisica, come Oppenheimer coinvolto nel Progetto Manhattan che avrebbe condotto alla bomba atomica, e prodigioso maieuta del primo computer. Ossessionato dalle potenzialità del calcolo numerico, dell’informatica, dell’intelligenza artificiale. In “Maniac” Labatut assembla un ritratto a più voci di von Neumann. E non mancano pagine che si leggono come un giallo sulle sfide tra il computer più “istruito” del mondo e il coreano Lee Sedol, il campione massimo di Go, un gioco di strategia molto razionale e insieme molto intuitivo. Marguerite sbaragliava a Mah Jong avversari umani. Chi vincerà a Go tra l’intelligenza umana e il superconcentrato di intelligenza artificiale?

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