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LA SALA
PROFESSORI
UN THRILLER
FRA I BANCHI

di ANDREA ALOI

Fra i tanti generi che ogni giorno la scuola sa mettere in scena, dalla commedia al dramma, dalle baruffe semicomiche alle avventure burocratiche, il quarantenne regista tedesco di origini turche Ilker Çatak ne ha scelto uno - per fortuna - piuttosto raro, il thriller. Con una storia, scritta insieme a Johannes Duncker, suo compagno di scuola (!), che ne rispetta i canoni classici per dare molto di più. “La sala professori”, candidato per la Germania all’Oscar come miglior film straniero, è lo spaccato, vivido e senza risparmio di suspense, di una istituzione che assorbe tante problematiche dalla società e altre ne coltiva in proprio, tra generosità, errori, sogni. Piccoli e grandi errori. Perché rubare è un discreto peccato, inventarsi detective è peggio.



La polacca Carla Nowak (Leonie Benesch si tiene sulle spalle il film con piena maturità espressiva) non ha superato da molto la trentina, insegna matematica e ginnastica a una multietnica classe di dodicenni, è molto compresa nel ruolo. Pretende dagli studenti, punisce chi copia, mantiene l’ordine. Si è perfettamente inserita nel contesto tedesco e la scuola dove lavora è ben tenuta (dettaglio da sottolineare, se guardiamo certe fatiscenze nostrane) e governata dalla preside Bettina Böhm (Anne-Katrin Gummich) secondo i dettami della “tolleranza zero”. D’accordo, si può anche tollerare meno di zero però qualche casino può sempre succedere. In sala professori si chiacchiera di un furto, accaduto presumibilmente nella classe di Carla, scatta una perquisizione e i sospetti convergono su Ali, trovato con un portafogli eccessivamente ricco per il figlio di un emigrato turco.



Lo ha indicato come possibile colpevole uno dei rappresentanti di classe, convocato in presidenza e invitato a scegliere dalla lista dei compagni. Carla sarà pure una professoressa severa, ma non condivide il metodo, i ragazzi sono scossi e per di più i genitori, lestamente convocati, scagionano Ali: avevano dato loro del denaro al figlio per acquistare dei regali. E poi, dice torvo il padre, “lui lo sa, se ruba gli spezzo gambe”. Soffia una certa arietta di sospetti, la “normalità” è come uno specchio d’acqua che inizia a incresparsi. In sala professori si commenta, il vicepreside Milosz (Rafael Stachowiak), collega polacco che Carla, irreprensibile, invita a parlargli in tedesco non è per nulla turbato dall’interrogatorio ad Ali, il professor Thomas Liebenwerda (Michael Klammer) ha una sola stella polare, la famosa tolleranza zero. E dagli.



Carla, equilibrata e amante della sua professione, ha però l’idea poco felice di indagare in prima persona sul furto. Così tiene aperto il computer per inquadrare con la webcam la giacca, lasciata a bella posta sulla sedia col portafogli. Se ne esce e quando torna scopre che è stata alleggerita. Senza pensare manco per un attimo che in casi simili sarebbe meglio contattare, d’intesa con la preside, la polizia, aggiunge un altro sassolino che si trasformerà in frana. Controlla quanto ha registrato: entra in campo una mano che fruga nella sua giacca, ma si vede anche il braccio, con un dettaglio che sembra inchiodare Friedericke, una delle segretarie (Eva Löbau). “La sala professori” ha il passo del thriller e il colpevole è di norma il boccone più prelibato, (attenzione: ammesso che si riesca a smascherarlo senza alcun dubbio), comunque la catena di fraintendimenti, ulteriori sospetti, malafede in un mood di alta tensione basta e avanza.

Il ciclone coinvolge tutti, dentro e fuori la scuola. E al centro c’è Carla.



I genitori, riuniti per discutere il caso di Ali, sono perfetti dietrologi da era social col dito puntato verso di lei, che ha permesso l’interrogatorio del ragazzino, mentre in realtà ha cercato di attutirne gli effetti, sinceramente preoccupata. Madri e padri spendono parole pesanti, semplificano emozionalmente senza troppo ragionare (operazione che richiede tempo mentre l’accelerazione dei tempi nostri lo permette sempre meno), si avverte separatezza, una dolorosa mancanza di fiducia. Carla non può scagionarsi, è obbligata alla bocca chiusa perché è in corso un’indagine ed è micidiale vedere a confronto una docente coi suoi doveri e diversi adulti irresponsabili, evento tra i più abituali, come le cronache mostrano in abbondanza. I genitori sono seduti in classe ai banchi dei figli, vengono in mente i volti attenti dei piccoli, le interrogazioni, la consegna dei compiti, la quotidianità della classe. Tenerezza e speranza.



La riservatezza nuocerà a Carla anche nell’intervista concessa ai redattori del giornalino d’istituto. Sono sui quindici-sedici anni, astiosetti e vittimisti giocano a fare i cronisti d’assalto e scambiano lo scandalismo e una verità chiaramente di parte sul furto in sala professori (quella di Friedericke), per la verità tutta intera. Per loro Carla è una spiona, il “mostro” da sbattere in pagina, quasi un tic mediatico indotto da certe trasmissioni tv di grana grossa. “La sala professori” viviseziona con occhio deciso una scuola indebolita, impegnata a rincorrere con fatica i mutamenti sociali, una istituzione incerta tra aperture e necessità di ristabilire autorità e valori, magari didatticamente pigra. Che scricchiola.

Alla sequenza indomabile degli eventi si aggiunge la bieca capacità della sospettata del furto di strumentalizzare il figlio Oskar (Leonard Stettnisch, davvero notevole). È uno studente modello, brillante, sta nella classe di Carla e naturalmente patisce le voci sulla madre. Combatterà la sua guerra, Carla non dimenticherà, neanche nei momenti più duri, la missione di insegnante.



I novantotto minuti di “La sala professori” mettono sotto il microscopio il caos esploso in una realtà incapace di governarlo, “documentando”. Zero effetti o furbate di regia per disorientare lo spettatore, solo qualche efficace contrappunto musicale metallico di Marvin Miller. Regia essenziale, ottimo il cast, con Leonie Benesch proposta spesso in intensi primi piani. Qualcuno la ricorderà in “Il nastro bianco” di Haneke nel ruolo della bambinaia Eva affiancata dal maestro interpretato da Christian Friedel, appena visto come Rudolph Höss in “La zona di interesse”. Il film di Çatak - lo distribuisce la Lucky Red di Andrea Occhipinti - aggredisce il mondo scuola del terzo millennio da un versante inedito ma - almeno per lo sguardo acuto e partecipe - si avvicina a “La classe-Entre les murs” (2008) di Laurent Cantet, che già nel titolo originale mostrava l’intenzione di immergersi nel cuore della vita scolastica per illuminare la complessità di compiti e ruoli di insegnanti e studenti. Il protagonista, François Bégaudeau, era pure nella vita reale insegnante di francese in una scuola superiore a Parigi: segno di una precisa poetica. Preceduto da “The Holdovers” di Alexander Payne, con lo strepitoso Paul Giamatti, “La sala professori” sarà seguito tra non molto da “Un métier sérieux” di Thomas Lilti, protagonista Vincente Lacoste giovane dottorando che fa supplenze di matematica per pagarsi gli studi. Anche in questo caso per chi sta dietro la cattedra a esercitare un “mestiere serio” non sarà una passeggiata.

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