Ma cosa succede in America? Una manifestazione “No King” (Nessun Re) in un paese che un re non l’ha mai avuto? Se prendiamo atto che la democrazia, seppure una forma di governo della società da preferire al totalitarismo o a una monarchia, presenta difetti che bisogna accettare e con cui bisogna convivere, allora possiamo stare tranquilli, la democrazia non è a rischio perché quanto accade non è altro che il suo normale svolgimento. In realtà il difetto è più un paradosso: può la libertà di parola (e di pensiero) essere difesa negando la libertà di esprimerla? Il dilemma emerse già nel 5° secolo avanti Cristo, nella patria della democrazia moderna: nella Grecia antica fu Socrate a pagarne le conseguenze, accusato di “corrompere” i giovani influenzando il loro pensiero, e di non credere nei valori religiosi della città, ovvero di diffondere un pensiero controcorrente. Per questo fu considerato un rischio e con la sua morte la “democrazia” realizzò il paradosso per cui l’alto valore della libertà di espressione non può essere minacciato dalla stessa libertà di esprimere dissenso.
Ma fino a che punto una democrazia si deve poter auto-difendere dalla critica? E fino a che punto la libertà sconfina nel controllo o nella coercizione? Vi sono moltissimi paralleli tra la società di oggi e quella in cui visse Socrate. Negli USA, più che da noi, circolano parecchi acronimi, il cui vantaggio è che con poche parole e lettere messe insieme si riesce a sintetizzare pensieri complicati, filosofie di vita o interi movimenti politici. Quelli oggi più diffusi (e che il Presidente Trump ha incluso nella sua lista nera) sono: “DEI”, “IdPol”, “ESG”, “BIPOC”, “LGBTQIA+”, “CRT”, “AFAB/AMAB”, “NB”, insieme a espressioni come “Woke”, “Politically Correct” e “Cancel Culture”. Non si può dire che il pensiero prevalente americano si basi fondamentalmente sui movimenti sottostanti questi acronimi, ma considerando lo scarto non esagerato con cui Trump ha prevalso sulla concorrente Harris nelle scorse elezioni si può dire che una buona fetta della popolazione si identifica con qualcuno dei suddetti movimenti. Facendo fede alla sua campagna elettorale, Trump non ha perso tempo per avviare la sua politica di demolizione (o epurazione?) di questa visione della società.
Tra i primi obiettivi sono le culle del sapere, le università: i luoghi in cui il sapere si crea e si diffonde. L’agorà di Socrate. Già il 10 Marzo scorso il Department of Education (il Ministero dell’Istruzione americano) inviò a 60 università del paese (tra cui anche molte prestigiosissime, come Brown, Columbia, Cornell e Harvard) una lettera in cui si comunicava l’interruzione dei finanziamenti pubblici alle istituzioni che non avessero preso immediate azioni di contrasto (in base al Titolo VI della Costituzione che vieta ogni discriminazione) ad 'attività antisemite' a danno di studenti ebrei, ai quali veniva impedito di partecipare a lezioni o altri momenti di studio a causa della guerra contro la Palestina a Gaza. Furono immediatamente cancellati $400 milioni di fondi per la Columbia di New York, per non aver protetto gli studenti ebrei durante la manifestazione “Pro-Pal” in corso sul campus dell’università in quei giorni. Il richiamo non riguardava solamente attività di antisemitismo: si minacciava di tagliare i fondi pubblici miliardari a chi non si fosse adeguato anche a modificare approccio e posizioni su questioni varie, tra cui DEI, LGBTQIA+ e politiche di immigrazione. Da imprenditore, Trump usa il denaro come forma di ricatto/ricompensa. E siccome i finanziamenti sono davvero miliardari, chi può resiste, ma chi non può permettersi il sacrificio è costretto a sottostare.
Columbia ha dovuto cedere e ha riottenuto $1,3 miliardi di finanziamento (non prima di aver pagato $200 milioni in penali), e anche Harvard, che ha inizialmente resistito vincendo anche un’azione legale contro l’Amministrazione, è in procinto di firmare un accordo costoso per garantirsi oltre $2,2 miliardi di fondi pubblici. Lo Stato del Maine ha visto tagliare i fondi per il supporto dato ad impianti eolici off-shore. L’Università della Pennsylvania per aver concesso a transgender di partecipare a sport femminili. Un “Ordine Presidenziale” è stato diramato per abolire le correzioni linguistiche previste dalle protezioni LGBTQIA+. Altre università, tra cui Harvard, si sono viste tagliare i fondi perché considerate troppo permissive nel concedere sia ammissioni che visti a studenti stranieri, più per rispettare quote minime che per merito. Alcune - coinvolte anche l’Università della Virginia e la George Mason University - sono state penalizzate con l'accusa di aver ricoperto posizioni di lavoro con profili inadatti solo per seguire principi DEI (Diversity, Equity, Inclusion, una sorta di pari-opportunità) e non per meriti. Accusando Biden di aver “abbuonato” in piena campagna elettorale oltre $190 milioni di prestiti a studenti, Trump ha rivisitato i criteri di assegnazione dei prestiti, oltre a riprendere le attività di riscossione sospese da Biden sin dal 2020.
E che dire del “Woke Spending”, i fondi utilizzati solo - secondo la tesi Maga - per appoggiare una convinzione ideologica? All’Università di New York (NYU) sono stati tagliati $6 milioni per ricerche sull’uso dei monopattini da parte di turisti a basso reddito. Altri $6 milioni sono stati tagliati all’Università di New Orleans per una ricerca su come la pace di quartiere incentivi una giustizia ecologica. L’approccio seguito ha innescato un acceso dibattito sull’ingerenza di un governo sulla gestione dell’istruzione, senza che però gli accusati mettano in discussione la gestione stessa. Sembra quasi di tornare al paradosso iniziale, dove si esige la libertà di gestione ma non si permette di questionare su di essa. Il dibattito nasconde in realtà una questione assai più sottile, e riguarda la diversa visione che le parti contrapposte hanno della società. Da un lato il pensiero conservatore, tradizionalista sui valori morali ed economici, mira ad una società basata sull’iniziativa individuale dove ognuno ha in base al proprio lavoro. Dall’altro il pensiero progressista, basato sulla libertà individuale e sull’inclusione. Sul piano sociale, i primi sono a favore di una società stabile e radicata in un insieme (protetto) di valori culturali, mentre i secondi vedono la società più aperta, pluralista e in costante revisione. E quello che succede in America è quanto accade quando arriva un nuovo padrone di casa: risparmiare quanto si accetta del vecchio e cambiare tutto il resto.
Ma per Trump ce n’è, e parecchio, da cambiare. La mossa della Casa Bianca mira a colpire l’élite intellettuale del paese, la fucina del pensiero liberale, e lo si fa agendo sul sostegno pubblico, anche questa una mossa ideologica che mira a destinare il denaro dei contribuenti alle cause più “meritevoli.” Le istituzioni scolastiche dovranno valutare la strategia che vorranno seguire con attenzione. Vantare di avere illustri premi Nobel nel proprio corpo docente - come appena fatto dalla University of California - potrebbe non essere sufficiente (specie se le ricerche godono di finanziamenti pubblici). D’altro canto, opporre una resistenza ad oltranza potrebbe rivelarsi una battaglia molto costosa sia per le spese legali che per il rischio di essere esclusi da qualunque piano di fianziamento. Intanto, lo scorso 20 ottobre è scaduto il termine entro cui 9 università avrebbero dovuto rispondere alle richieste di cambiamento imposte da Trump, tra cui impedire l’uso comune di bagni a persone transgender, il riconoscimento dell’esistenza di soli due sessi (maschile e femminile), il blocco delle rette per cinque anni, la limitazione dell’accesso a studenti stranieri, l'armonizzazione dei test di ammissione escludendo quote minime riservate a categorie speciali di studenti, e infine l'impegno a rimanere su posizioni neutrali su questioni sociali e politiche che non riguardano direttamente le istituzioni. Il rifiuto avrebbe comportato la cancellazione di ogni programma di sostegno economico pubblico. Sette di questi atenei hanno categoricamente rifiutato di sottostare alle condizioni (MIT, Brown, Pennsylvania, Southern California, Virginia, Dartmouth, Arizona). Altre due (Vanderbilt e Texas) sono invece più propense al dialogo con l’Amministrazione. “L’istruzione universitaria ha perso la strada, e sta corrompendo i giovani e la società con ideologie WOKE, socialista e antiamericana. La mia amministrazione con la Grande Riforma dell’Istruzione Universitaria si sta adoperando per rimediare velocemente allo stato delle cose”, scrive Trump sul suo profilo di social media. Il conflitto, uno dei tanti scatenati dal Presidente, procede. Vedremo quali saranno le contromosse che il sistema universitario opporrà in sua difesa. Sperando che un sorso di cicuta non sia un’opzione sul tavolo delle trattative.
(1. continua)