L'ERRORE CHE DISTRUSSE
UNA VITA E UNA STAR
BELLOCCHIO RIPORTA
ENZO TORTORA IN TV

Il Caso Tortora più che un errore giudiziario è stato un orrore in piena regola, incorniciato da una condanna del presentatore a dieci anni di carcere, sentenza smentita in Appello e seppellita dalla Cassazione. E fortuna che i pm Lucio Di Pietro e Felice Di Persia godevano di ottima fama. Fu un evento mediaticamente subito caldo, netta la prevalenza dei colpevolisti, anche nelle redazioni dei giornali, ad eccezione di Enzo Biagi e Piero Angela. Con un uomo e gentiluomo devastato dall’onta, forse fino a morirne. Alle quattro e mezzo di mattina del 17 giugno dell’83, quando era stato arrestato in un hotel di Roma a favore di telecamere, occhi perduti, manette ai polsi, con l’accusa-macigno di spacciare droga per conto della NCO, la Nuova Camorra Organizzata di Raffaele Cutolo, Enzo Tortora aveva 55 anni e si stava godendo, da presentatore di garbo unico e colto eloquio, una maturità artistica e una popolarità meritata, sigillata dal successo di “Portobello”, il “Mercatino del Venerdì” partito sull’allora Rete 2 nel ’77.


('Portobello', regia Marco Bellocchio. Fabrizio Gifuni nella foto di Anna Camerlingo)


Era una trasmissione lieve ma non contaminata dalla corrività un po’ fessa di tanta tv orizzontale contemporanea, al proscenio andavano discreti casi umani, dal paragnosta al saltimbanco a far da contorno al piatto forte, le compravendite e gli scambi - gestiti dal Centralone - di oggetti e animali (in un caso perfino una volpe) coinvolgenti i telespettatori a casa, in trance e immedesimazione titillata tramite apposite rubriche, da “Fiori d’arancio” per incontri amorosi a “Dove sei”, votata alla ricerca di persone scomparse, geniale momento di tivù seminale, se pensiamo a “Chi l’ha visto” etc. In tolda, accanto al presentatore, il pappagallo verde che dettava il titolo al programma e ogni venerdì veniva sollecitato da un concorrente a pronunciare il suo nome. Per la cronaca, il pappagallo gracchiò stridulamente “Portobello” una volta sola, nel gennaio dell’82, “convinto” dall’attrice Paola Borboni.

Tortora era uno dei quattro moschettieri-presentatori della Rai, accanto a Mike Bongiorno, Corrado e l’arrembante Pippo Baudo. Conduceva con stile, emanando elegante, naturale superiorità al cospetto dei miracolati dai famosi quindici minuti di popolarità warholiana. Lo aveva desiderato invano quel quarto d’ora pure il camorrista pentito e dal cervello sgangherato Giovanni Pandico, che, si seppe successivamente, a Tortora aveva indirizzato numerose lettere in cui parlava di centrini confezionati in carcere. Interrogato in merito dai magistrati, velenosamente (imbeccato?) asserì che il termine “centrini” era un codice che in realtà significava droga. Domenico Barbaro, un suo ex compagno di cella, lo smentì in Appello: “Li ho fatti io all’uncinetto, poi visto che non so scrivere li aveva spediti Pandico a Portobello perché fossero mostrati in trasmissione”.


(Marco Bellocchio sul set di 'Portobello')


Di che cosa voleva vendicarsi Pandico, già soggiornante nel manicomio giudiziario di Aversa, poi in carcere per l’omicidio di due persone in un ufficio del Comune perché da lui ritenute troppo lente nel consegnargli un certificato? Forse della distanza siderale che lo separava da Tortora, un benestante di successo che lui finalmente poteva sputtanare, dimostrandosi superiore? In quel 17 giugno erano finiti agli arresti con Tortora altre 856 persone, accusate di far parte della camorra. Ben 144 di loro risultarono omonimi di sospetti appartenenti alla NCO. Giovanni Pandico "’o pazzo” aveva accusato Tortora insieme a Pasquale Barra "’o animale” e in casa di un terzo “bravo ragazzo”, Giuseppe Puca, detto "’o Giappone”, era spuntata un’agenda con la “prova” del coinvolgimento del presentatore, mentre si trattava di un semplice caso di omonimia: Vincenzo detto Enzo Tortora, si appurò in seguito, era un bibitaro di Salerno, coronamento di quello Che Giorgio Bocca ebbe a definire con buoni motivi “il più grande esempio di macelleria giudiziaria all’ingrosso nel nostro Paese”. Un telefonatina per verificare al numero accanto al nome di Vincenzo Tortora no, vero?

Traffico di stupefacenti e associazione di tipo mafioso in quanto affiliato alla NCO. Accostare simili capi d’imputazione a Enzo Tortora all’istante avrebbe dovuto suonare surreale, un impossibile crossover di mondi viaggianti su orbite inaccostabili, quasi un bis ma stavolta inverato del famoso “pacco” satirico ordito dal Male nel ’79 con le false prime pagine di alcuni giornali recanti il titolone “Arrestato Tognazzi. È il capo delle BR”. Macché, troppa la sadica soddisfazione di veder rotolare Enzo Tortora dagli altari catodici nel fango. Chi non cova in sè ogni tanto, per frustrazione, uno spirito da tricoteuse?


(In carcere - foto di Anna Camerlingo)


L’iter giudiziario di un uomo innocente viaggerà verso gli arresti domiciliari concessi nel gennaio ’84 dopo sette mesi tra Regina Coeli e Rebibbia, a seguire ecco la candidatura di Tortora alle europee nelle fila del Partito Radicale di Pannella: eletto con quasi mezzo milione di voti. Condannato, il presentatore si dimise da parlamentare europeo rinunciando all’immunità. Maggio dell’86 processo d’Appello, esito per lui favorevole e quindi assoluzione definitiva in Cassazione nel giugno dell’87, quattro anni dopo l’arresto. Nel febbraio precedente era tornato in Rai con “Portobello” e queste parole: “Dunque, dove eravamo rimasti? Potrei dire moltissime cose e ne dirò poche. Una me la consentirete: molta gente ha vissuto con me, ha sofferto con me questi terribili anni. Molta gente mi ha offerto quello che poteva, per esempio ha pregato per me, e io questo non lo dimenticherò mai. Io sono qui, e lo so, anche per parlare per conto di quelli che parlare non possono, e sono molti, e sono troppi”. L’8 maggio la morte per un tumore ai polmoni.



Il tragico, quasi grottesco dipanarsi dell’errore-orrore giudiziario era stato portato in tv su Rai 1 nel 2012 con la miniserie “Il caso Enzo Tortora”-Dove eravamo rimasti”, regia di Ricky Tognazzi, pure protagonista nel ruolo del conduttore. Nel prossimo gennaio la piattaforma streaming Hbo Max ospiterà le sei puntate di “Portobello” (le prime due sono appena state presentate a Venezia), serie diretta da Marco Bellocchio. Nei panni di Tortora Fabrizio Gifuni, alle prese con una nuova immedesimazione, pare prodigiosa, dopo l’Aldo Moro così “vero” da apparire straniante di “Esterno notte”, sempre con il regista ottantacinquenne, ma in piena seconda giovinezza, di “Rapito”.

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