Ripresa la D80 e terminata la circumnavigazione di Capo Corso, si arriva a San Fiorenzu, o, come la si chiama oggi, Saint-Florent, bella cittadina che aspira ad essere considerata una sorta di piccola Saint Tropez corsa. Qui il turista, soprattutto quello con barca e buone risorse, trova di che svagarsi: un magnifico porto turistico, molte boutiques e ristoranti alla moda, ma anche, per fortuna, l’immancabile spiazzo per gli appassionati del gioco della pétanque.
San Fiorenzo occupa il fondo del golfo tra la parte terminale del Capo e il lungo tratto di costa con cui il selvaggio e disabitato Désert des Agriates, con le vigne che forniscono un vino rosso di alta qualità, arriva a baciare il mare con spiagge sterminate e bianchissime, tanto che proprio su una di esse, la spiaggia di Saleccia, fu girata una parte del famoso film “Il giorno più lungo”, che raccontava, con enfasi epica ma anche buona drammatizzazione, lo sbarco degli alleati che ha avuto luogo in Normandia, migliaia di chilometri più a nord e in un mare che non avrà mai il colore e la bellezza di quello corso.

Da Saint Florent, attraverso la strada che si inerpica verso Casta e Tenda, attraversando proprio il Desert des Agriates, si discende verso l’Île-Rousse, Lisula, come la si chiama in corso, la cittadina che fu il porto con cui l’effimera Repubblica Corsa di Pasquale Paoli pensava di poter contrastare il dominio marittimo francese, basato sulla roccaforte di Calvi. Se a Saint-Florent difficilmente posso evitare una sosta, sia per riprendermi dalle centinaia di curve della D80, la strada che circonda Capo Corso, sia per consentire a mia moglie una veloce immersione nello shopping vacanziero, ho imparato ad evitare accuratamente una sosta all’Isola Rossa.
La evito non solo per il traffico caotico: in oltre 40 anni non si è dotata la cittadina (che è peraltro uno dei più importanti punti d’approdo per i vacanzieri provenienti dalla Francia continentale) di una circonvallazione, con il risultato che tanto le vetture private che il traffico commerciale diretto o proveniente da Bastia è costretto, in stagione a code interminabili. Quello che non amo dell’Isola Rossa è l’insensata proliferazione di veri e propri quartieri di condomini e seconde case, anche assai distanti dal mare, che ne hanno stravolto l’aspetto e che, passata la stagione turistica, si trasformano in altrettante città fantasma, deserti che, tuttavia, nulla hanno a che vedere con la selvaggia bellezza del vicino désert des Agriates.

Quindi subito via, pagato il pegno della coda, verso una delle più fertili e dolci regioni della Corsica occidentale, la Balagne, dai cui piccoli villaggi sul mare lo sguardo si volge ammirato verso le imponenti cime della spina dorsale della Corsica, quelle che, passando per Belgodere (Belgudé) ed Asco, si possono raggiungere per la strada che percorre uno dei più bei canyon, tutto in granito rosso, scavato dall’Asco, forse il più bello tra i tanti di cui la Corsica è ricca, e che culminano nel Monte Cinto, 2706 m.s.m., ancora innevato a giugno inoltrato. Qui, tra l’altro, sorge una delle più piccole stazioni sciistiche corse, o - come gli abitanti dell’isola le definiscono - dei campi di neve.
Tra le tante località della costa della Balagne – una delle quali, Lumio, famosa per essere il paese natale di Letitia Casta – l’Algajola (Algaghjola, in corso), a 7 chilometri dall’Isula e 15 da Calvi, merita che si parli di lei e ha costituito la degna conclusione della nostra, troppo breve, vacanza corsa di quest’anno. Il paesino, non più di 300 abitanti, si sviluppa tutto intorno ad un castello, la cui storia riflette l’importanza che, nel passato, Algajola ha rivestito.

Il Castello, che nella parte a mare ha le caratteristiche di una vera e propria fortezza, fu costruito a inizio ‘500 sulle rovine della torre di una ricca famiglia genovese, quella dei Lomellini, ed è servito come residenza del governatore genovese della Balagne fino al 1764, attraversando epoche in cui la Corsica era soggetta alle incursioni delle flotte turche che arrivarono a saccheggiarlo nl 1643, costringendo i genovesi a ricostruirlo, facendolo diventare una delle principali basi per la difesa costiera. Il Castello, classificato Monumento Storico dal 1965 e, oggi, di proprietà privata, non è visitabile. Tuttavia se ne può ammirare l’imponenza passeggiando lungo il “cammino di ronda”, gli antichi bastioni a picco sul mare.
Intorno, si stende il piccolo borgo murato, cui si accede per una porta che dà su una piazza che la sera diventa il punto di riferimento per chi voglia assaporare un buon pasto o semplicemente chiacchierare aspettando il fresco e sorseggiando un pastis (ma che sia un vero pastis corso: Dami o Casanis, mi raccomando) o un boccale della celebre Petra, la birra corsa, il cui gusto particolare dipende dall’aggiunta al malto della farina di castagne proveniente dai boschi che ricoprono una buona parte dell’Isola e, in particolare, della regione che è appunto chiamata Castagniccia.
I vicoli del Centro Storico conducono, oltre che al Castello, anche alla chiesa di San Giorgio, la cui costruzione risale al XV secolo e che è, per la sua parte absidale, integrata nella cinta muraria difensiva. La sera, nei mesi estivi, la passeggiata lungo i bastioni a picco sul mare è frequentatissima e non di rado sede di iniziative culturali. Nella Chiesa sono spesso ospitati concerti di polifonia corsa o della sua più celebre variante, la paghjella, la più tipica espressione musicale dell’Isola, patrimonio dell’UNESCO dal 2009, di cui gli interpreti più famosi sono A Filetta o Barbara Furtuna.

A proposito della Paghjella, mi capita sempre di dover specificare la grande diversità che corre tra questo tipo di espressione musicale e quella, anch’essa patrimonio dell’UNESCO, del Canto a tenores della vicina Sardegna. Certo, si tratta in ogni caso di canti che non prevedono accompagnamento musicale e che nascono tutti dalla cultura e dalle tradizioni più profonde delle due isole e dalle lingue, assai diverse, che vi si parlano. Tuttavia, mentre il canto a tenore (che vede impegnato un gruppo di quattro cantanti: boche, mesu boche, contra e bassu) è fortemente ritmico e gutturale, basato su una vocalità profonda e vibrante, tanto da apparire quasi ipnotico, la paghjella (che si canta a tre voci: seconda, bassu e, terza) è invece assai più melodica e lirica, meno 'ritmica', la sua armonia è più mobile, meno legata a un tono fisso, con le voci che, pur drammatiche, sono più fluide rispetto a quello sardo.
Fuori dalle mura della città, le attrazioni di Algajola sono tutte legate allo splendido mare che la circonda. Da un lato, ad ovest, si apre il piccolo porto di San Damiano, la cui primitiva costruzione, al riparo dai frequenti e forti venti di maestrale, risale all’epoca romana. Dopo la caduta dell’impero, il porto conobbe una lunga fase di abbandono che durò fino al XII secolo, quando, costruita una torre di difesa, ritornò a crescere tanto che nel 1620 era considerato il secondo porto più grande dell'isola. Ora S.Damiano serve essenzialmente come porticciolo turistico, visto che, ormai da anni, all’Algajola non è più presente nessun pescatore.
Dall’altro lato, quello verso Isola Rossa, si stende una lunga serie di vaste spiagge, con la più lunga, quella di Aregno, che misura oltre un chilometro e mezzo. Come in tutte le spiagge corse, ed in moltissime delle francesi (se si eccettuano quelle delle celebri località della Costa Azzurra) il mare è davvero a disposizione di tutti e non esiste alcun ostacolo per chi voglia fruirne liberamente. Ovviamente ci sono locali, anche eccellenti come il Casarena, che possono offrire lettini, ombrelloni oltre che un eccellente scelta gastronomica, ma il punto è che la scelta di come fruire della spiaggia e del mare resta solo e soltanto del bagnante, senza i vincoli (e i costi) cui noi italiani siamo, volenti e più spesso nolenti, assoggettati da una politica di concessioni “in aeternum” di cui neppure la UE sembra capace di ottenere la fine.

Un’altra delle attrazioni di Algajola è certamente la piccola ferrovia che la attraversa tutta, fino alla stazioncina che è situata appena dopo le mura del Borgo antico. Si tratta del ramo del celebre Chemin de Fer de la Corse, la rete ferroviaria a scartamento ridotto che serve 16 stazioni e 49 scali e rappresenta di per sé una delle principali attrazioni turistiche dell’isola, visto che il suo tracciato corre lungo un itinerario che risulta irraggiungibile con qualsiasi altro mezzo di trasporto, superando, con arditi manufatti - alcuni dei quali progettati proprio da quell’Ing. Eiffel, cui si deve la Torre parigina - gole profonde e le montagne che costituiscono la spina dorsale dell’Isola, fino a perdersi dentro foreste di altissimi abeti e collegare, certamente in modo pittoresco ma senza alcuna ambizione di rapidità, quattro delle principali città della Corsica: Calvi, Corte, Ajaccio e Bastia. Il ramo che attraversa Algajola è quello che collega Calvi all’Ile Rousse ed è percorso diverse volte al giorno da un piccolo trenino, che si annuncia con la sua sirena, chiedendo a tutti di fermarsi per lasciarlo passare.
Qualche rigo per raccontare dell’interessante offerta alberghiera di Algajola: praticamente tutti gli alberghi che si stendono intorno al Castello e sulle arcate a picco sul mare, che coprono la stretta Via Marina che conduce alla spiaggia di Aregno, sono, sulla carta, dei due stelle. Ma sbaglierebbe di molto chi, solo per questo, si aspettasse una sistemazione modesta. Mentre cenavamo sulla terrazza a picco sul mare, con una vista eccezionale sul Castello e sulla piccola Chapelle Saint-Michel, accuditi da Andrea - un simpatico italiano delle montagne che dividono la Liguria dal Cuneese, che da anni alterna i propri interessi tra l’estate ad Algajola e le altre stagioni nelle sue valli ad organizzare trekking cicloturistici – abbiamo chiesto alla proprietaria dell’Hotel de la Plage Santa Vittoria che ci ha ospitati il perché di quella che ci è apparsa una valutazione del tutto sottostimata della qualità dell’ospitalità offerta ai turisti. Letizia – che ha lasciato un impiego alla Corte di Giustizia del Lussemburgo per tornare ad occuparsi dell’albergo familiare – ci ha risposto: “Meglio che gli ospiti si stupiscano della qualità dell’ospitalità del nostro due stelle piuttosto che si lamentino di ciò che invece manca o risulta scadente in quegli alberghi che di stelle possono vantarne assai di più”.

Ed è con questa pillola di saggezza che mi piace chiudere il racconto su alcune delle più belle, e forse meno note, località della Corsica settentrionale. Del resto dell’isola che mi è così cara, avremo certamente modo di raccontare in qualche prossima occasione.
3. FINE